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Bergamo

Parkour, tra sportivizzazione e spettacolarizzazione

Molte discipline, dal parkour alle arti marziali (ma anche l’arrampicata e molte altre), utilizzano un’attività basata sul movimento per la crescita della persona. Alcune discipline nascono come sport o nella loro transizione dalla pratica di gioco al sistema sportivo non perdono identità e contenuti, ma ci sono discipline che nascono nella “realtà” e solo in questa mantengono una loro ragione di esistere. Le componenti tecniche e le finalità sono un tutt’uno se si vuole rimanere in questo ambito. 

Il parkour nasce come sistema per prepararsi a superare qualsiasi ostacolo nel mondo reale, sia esso un salto tra due palazzi, il superamento di una panchina nel parco o arrampicarsi giù per la parete di una casa in fiamme. Per questo motivo la pratica del parkour è un allenamento “ad obiettivo” che è funzionale, olistico e richiede continuo adattamento e applicazione da parte del praticante. Oltre a questo, l’arte dello spostamento offre un modo per utilizzare gli spazi pubblici in maniera creativa ed alternativa, per esprimere un modo di essere in relazione con lo spazio che ci circonda.

Inevitabilmente il processo della “sportivizzazione” ne limita l’azione, riduce la profondità e ne sposta la finalità. Tutte queste attività, quando sportivizzate, finiscono per conservare parte della tecnicalità ma risultano svuotate di significato. Questo meccanismo diluisce il “principio attivo” della disciplina stessa, impoverendola e rendendola meno utile. 

Il processo della “spettacolarizzazione” è ancora più devastante: i meccanismi televisivi, le finzioni, le teatralizzazioni… tutto ciò avviene in funzione del valore commerciale del prodotto, non certo nel rispetto della funzione originaria della disciplina. Sicuramente serve a puntare un riflettore, a imporre agli occhi di più persone un’attività ancora poco nota. La domanda è: qual è il prezzo? Se il parkour perde gradualmente il suo potenziale originario, a che serve massificarlo? E ancora, quanto durerà prima che il media, consumata tutta la potenzialità commerciale, lo abbandoni e passi ad altro?

Ninja Warrior (abbreviato NW) è un talent show, un programma televisivo. Un gruppo di concorrenti si sfidano per arrivare alla fine di un percorso ad ostacoli nel minor tempo possibile e senza cadere in acqua. Essendo tutto predisposto e conforme a norme di sicurezza, possono permettersi di trascurare cose che nel mondo reale sono importanti e viceversa. Per esempio è importante arrivare in fondo (magari anche alla svelta) ma non è importante non cadere (tanto sotto c’è l’acqua), è importante riuscire ad arrivare sulla piazzola ma non come ci si arriva (tanto è imbottita di gommapiuma), è importante imparare a resistere allo stress sociale della telecamera mentre non è importante riuscire a vedere possibilità alternative al percorso prestabilito.

Monument Crew (abbreviato MC) è una specie di reality show in cui 6 atleti-attori vengono seguiti da una troupe mentre praticano parkour nei pressi di famosi monumenti italiani. Ma non si tratta di un documentario. La differenza tra un documentario ed un reality show è che il primo nasce per descrivere e approfondire un fenomeno culturale cercando di ridurre al massimo l’influenza dell’osservatore sul soggetto, il secondo è un programma di intrattenimento che propone riprese dal vivo di situazioni reali o presunte tali, della vita quotidiana di persone comuni. In MC ampio spazio viene concesso alle dinamiche del gruppo e alla preparazione dei “trick” prima della “run”. Obiettivo della puntata è quello di mettere in pratica la run sul monumento designato, cercando di trovare un’applicazione semplice e finendo per appiattire il fenomeno del parkour per renderlo comprensibile e comunicabile senza troppa fatica.

In entrambi questi programmi, NW e MC, è evidente come la motivazione alla pratica sia prevalentemente sostenuta da fattori esterni (ovvero si rinforza quando l’individuo ottiene un riconoscimento dall’esterno). Al termine della performance di NW l’atleta viene gratificato da applausi, luci colorate, una bella classifica sui tempi e il bacio della fidanzata (che i registi stanno bene attenti a non perdersi). In MC il momento della suspense, il pathos creato ad arte dai registi, la speranza di diventare famosi sono probabilmente elementi importanti nel gratificare gli atleti che vi partecipano.

L’artificiosità (intesa come non autenticità) e la motivazione estrinseca, tipici dello spettacolo, sono proprio i due fattori che allontanano gli spettatori da una comprensione autentica del parkour.

Oggi il potere si esercita fondamentalmente a partire dalla produzione e diffusione dei codici culturali, degli atteggiamenti e dei valori contenuti nelle informazioni che vengono diffuse, più o meno tacitamente o subdolamente, dai media (McLaren, Macrine & Hill, 2010 in Isidori 2015).Il problema risiede proprio qui, nei codici culturali che vengono selezionati e rappresentati, ricordiamoci che NW e MC rimangono, nella loro struttura di base, degli show il cui scopo è di spettacolarizzare una merce per poterla vendere meglio.

Ecco come la spettacolarizzazione, in funzione del profitto, manipola movimenti, discipline e culture per i suoi propri fini. 

Cosa ci rimane? Ci rimane il diritto al dissenso, e la presa di coscienza che per fare da contrappeso a una diffusione massificata e superficiale serve un esercito di praticanti, educatori, insegnanti, cittadini critici e liberi pensatori che lavorino sulla qualità e per approfondire. Ognuno attraverso la propria disciplina e specializzazione sarà chiamato a contrastare la passività, la superficialità e la paura di non diventare mai dei campioni, di parkour come di qualsiasi altra cosa. Sarà dura ma dovremo far capire a tutti che, alla fine, non è quello che importa.

Gato Mazzoleni, ParkourWave - Franco Biavati, responsabile Uisp discipline orientali

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