Comitato Territoriale

Bergamo

Oltre il Muro, il punto sull'attività in carcere a Bergamo dell'UISP

Il progetto che la Uisp a livello nazionale sta da anni portando avanti nelle carceri italiane a Bergamo viene sinteticamente chiamato “Oltre il muro”. In realtà il nome dell’iniziativa non si ferma a quelle tre parole e prosegue con un “Porte aperte allo sport”. Non poco come aggiunta, non pensate?

E’ come se per descriverci noi dimenticassimo di parlare delle nostre radici, luogo da cui dobbiamo necessariamente partire e ove è indispensabile, senza eccedere, ricondurre il proprio pensiero per proporre un nuovo agire.

Il dizionario Treccani offre parecchie descrizioni del verbo aprire, parla di “aprire una strada, aprire una via….” ed è quello che noi a Bergamo dal 2013 stiamo cercando di fare esportando il valore dello sport nel non luogo per eccellenza e partecipando, grazie allo sport, a quel processo culturale e sociale che vuole restituire alle persone detenute opportunità, consapevolezza, rispetto, la gioia del/nel gioco.

Ci siamo riusciti? Noi crediamo di sì eppure non siamo ancora soddisfatti come vorremmo. Pensiamo si possa e si debba fare di più.

Abbiamo inserito quanto da noi fatto in una cronistoria sempre in aggiornamento ma all’atto del bilancio ci siamo detti che sarebbe stato ingiusto e limitante non fare alcune brevi considerazioni, non segnalare quanto il covid 19 ha influito sulle nostre vite (nostre, di tutti, donne e uomini liberi e donne e uomini detenute/detenuti) sulle nostre attività, sul lavoro delle nostre operatrici e dei nostri operatori, sulle richieste di chi avrebbe dovuto beneficiare del nostro lavoro.

L'Associazione Antigone ha destinato uno specifico studio a “Il carcere al tempo del coronavirus” e nella parte dedicata, non a caso, alla lettura psicologica di questo periodo si legge “le misure adottate in tutta Italia per fronteggiare l’emergenza sanitaria in carcere hanno assunto la forma di quello che potremmo definire un vero e proprio isolamento mentale “.

La nostra Carta Costituzionale non cita espressamente lo sport eppure all’art. 32 noi tutti possiamo leggere parole intrise di umanità, parole che indicano la strada al Diritto, quella stessa strada che porta a riconoscere la dignità come valore indiscutibile: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Lo sport è salute, è movimento, è allegria e fatica insieme, è coscienza del proprio corpo e dei propri limiti, è conoscenza dell’avversario, è apprezzamento delle regole, è libertà di sentirsi vivi.

Esser stati costretti a causa delle restrizioni poste in essere nelle carceri italiane per l’emergenza Covid a sospendere il nostro ingresso e le attività sportive da noi coordinate nel carcere di Bergamo (interveniamo sia nella casa circondariale sia nel penale) ci ha profondamente segnato. E ciò che abbiamo provato è ancora lontano da ciò che hanno vissuto sulla loro pelle tutti coloro che vivono in quella struttura e i familiari dei detenuti, dai grandi ai piccini, obbligati a rimandare il bisogno di contatto fisico con i propri cari sino a data da destinarsi.

I rischi erano l’insofferenza alle limitazioni delle prigioniere e dei prigionieri e la nostra assuefazione alla sosta forzata, all’assenza. Questa assuefazione non ci ha mai colpito e neanche la rassegnazione. Pur consci della gravità e delicatezza del problema, infatti, abbiamo sin dall’inizio voluto trovare un modo per rimanere in contatto con chi in carcere viveva una situazione di isolamento ancora più pesante di prima.

Ben scrive Patrizio Gonnella quando afferma “L’emergenza coronavirus nelle carceri non è però solo una questione di salute pubblica. I rischi da contagio producono ansia, solitudine, paura, panico, disperazione, disagio psichico che si aggiungono alla sofferenza connaturata alla pena e possono determinare una crescita esponenziale della violenza verso sé stessi e verso gli altri, nonché l’incremento di atteggiamenti auto-distruttivi”.

Mesi fa Fabio, uno di noi, scrisse che quando parliamo di prigioni, ancor più in situazioni tragicamente eccezionali, è necessario chiedere a ogni individuo di aderire a un senso di responsabilità collettiva, di fondare il proprio agire sul rispetto delle dignità e dei diritti altrui in un tempo che è comunque un tempo sospeso, inedito e imprevisto.

È ricercando quel senso che abbiamo deciso, in una città martoriata di cui oggi il mondo intero conosce il nome, di guardarci intorno, di ascoltare, di lasciarci coinvolgere da altre esperienze e così abbiamo, per esempio, aperto una collaborazione con i ragazzi e le ragazze della Curva Nord dell’Atalanta. Con loro ci siamo confrontati, a loro abbiamo esposto il sogno del re- inserimento delle persone escluse. Grazie a loro sono stati raccolti oltre otto quintali di vestiti, una parte dei quali consegnati ai detenuti e alle detenute attraverso la Comunità don Milani di Sorisole. Inoltre sono stati donati al carcere bergamasco un proiettore con impianto audio video per facilitare le attività didattiche e formative e anche i rapporti tra i/le prigionieri/e e le loro famiglie.

Abbiamo così sostenuto, per opporre alla tragedia del covid il desiderio di guardare avanti, l’importanza di rimettere a disposizione della popolazione reclusa la  magia del grande schermo e grazie alla disponibilità e sensibilità dell’Amministrazione Penitenziaria abbiamo fatto proiettare alcuni film (Le petit bus rouge e Ragazze vincenti) sia nelle sezioni maschili sia in quella femminile (ove è stato mostrato di sera in cortile permettendo perciò la vista di un cielo pieno di stelle!). Lo abbiamo fatto effettuando addirittura un collegamento online con la Tunisia, Paese ove la dr.ssa Caterina Doni, studiosa del linguaggio cinematografico, sta approfondendo lo studio del cinema arabo e africano e da dove è intervenuta portando il suo prezioso contributo.

Abbiamo anche svolto, attraverso la didattica online, diverse lezioni: body building per la sezione maschile con i personal trainer Alberto Morotti e Marco Gritti e ginnastica funzionale con l’intervento delle allenatrici Antonella Leuzzi e Beatrice Ceribelli per la sezione femminile. Le attività sportive sono state supportate da schede di allenamenti personalizzate, redatte dagli istruttori e consegnate ai detenuti e alle detenute.

In questo strano anno altre collaborazioni si sono attivate:

  • abbiamo portato la mostra fotografica “Scatti oltre il muro” (qui trovate alcune tra le fotografie scattate da Francesca Ferrandi, Alessandra Beltrame e Sebastiano Dal Lago) presso il circolo culturale Ink Club, organizzando anche un confronto pubblico su “Quale è il senso della pena?
  • Cinque squadre di calcio prima dell’emergenza sanitaria erano già pronte ad entrare in carcere tutte le domeniche per partecipare ad un campionato insieme anche a due squadre della sezione circondariale e penale;
  • Il Circolo ricreativo di Pignolo ci ha offerto i suoi spazi (e la connessione internet) per effettuare le lezioni online;
  • Abbiamo promosso una campagna di autofinanziamento proponendo la vendita di magliette fatte dalla cooperativa romana Made in Jail, con cui condividiamo da tempo idealità e valori.

Insomma, ci siamo aperti alla città e la città si è aperta a tematiche delicate come la privazione della libertà, i diritti delle persone recluse, la dignità, il reinserimento.

Noi donne e uomini liberi siamo stati obbligati, da un virus che molto ci dovrebbe far riflettere, all’isolamento. Siamo stati costretti a non incontrare familiari, amici e, forse, accomunati dalla reclusione forzata, abbiamo sentito una sorte di simbiosi con tutte e tutti coloro che ogni giorno vivono restrizioni e obblighi.  Costretti a chiuderci in casa (però, diciamocelo, consapevoli di essere liberi), costretti a negarci l’abituale quotidianità ci siamo interrogati non solo sul dopo ma anche su un oggi che non può esser guidato dalla paura e dal pregiudizio.

Riprendere, ripartire, riscoprire, ritrovarsi, rigenerarsi, con lo sport.

Questo l’impegno che abbiamo proposto e continueremo a proporre, perché tutti abbiamo il diritto, tutti abbiamo il dovere, di esser soggetti attivi.

 Il gruppo carcere Uisp Bergamo

Milvo Ferrandi, Presidente Comitato Territoriale

Fabio Canavesi

Antonella Leuzzi

Marco Gritti

 

 

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