Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Giro di tango

Dalla memoria degli esuli argentini a Parigi all'analisi della Uisp come soggetto protagonista del rinnovamento nella crisi

di Vincenzo Manco

da Area Uisp n. 15

QUALCHE giorno fa, per non incappare nell'ennesimo ritardo, ho fatto di corsa le scale del condominio per raggiungere la macchina parcheggiata nel viale. Aperto il portone sono stato avvolto da una fitta nebbia che erano anni che non se ne vedeva. Ero atteso in un vecchio ristorante da un nutrito gruppo di dirigenti della Lega Ciclismo insieme alle rispettive mogli e compagne. Attraversando la bassa parmense le mie narici si inondavano del profumo dei salumi tipici di quelle parti; cominciavo a percepire i sapori del culatello, dello strolghino, della spalla cotta; immaginavo un trionfo del gusto. Eccomi arrivato, i saluti e gli abbracci di rito, le pacche sulle spalle: "Allora, come va?", "Bene dai". Prendiamo posto e dopo qualche minuto irrompono i camerieri e quei sapori immaginati poco prima prendono corpo, diventano realtà. Un po' di lambrusco accompagna lo scambio di idee e scioglie la lingua; c'è un bel clima tra gli astanti. Qui c'è passione, anni di storia associativa, donne e uomini che hanno deciso di dedicare il loro tempo libero per rendere migliore non solo questa parte di territorio ma l'intero paese. Passano i minuti tra racconti, ricordi, sorrisi e qualche amarezza che di tanto in tanto affiora negli aneddoti che fanno ricca la cena. Quante domeniche passate sulla strada, quanti chilometri di vita vissuta su quelle due ruote che diventano amore infinito, parte di sé, della propria storia. Intanto abbiamo superato degli ottimi primi piatti e si passa al rito delle premiazioni, alla giusta gratificazione dei volontari, siano essi giudici, dirigenti, motostaffettisti, protezione civile, pro loco. È l'ossatura del movimento: senza di loro nessun ciclista avrebbe l'opportunità di misurarsi ogni fine settimana. È tempo di una pausa.

Girando per la sala, vicino al guardaroba, per caso lo sguardo si sofferma su di un piccolo quadro: in primo piano ci sono due tangueros che ballano dentro una cornice di colori vivaci. Il tango... e la mente senza guida si prepara al viaggio. Ecco le prime note di Astor Piazzolla e l'immaginazione vola: c'è un teatro e persone intente a vociare fino a quando non compaiono i ballerini e la musica si afferma sulla scena. Ora c'è silenzio, appare l'eleganza, la raffinatezza e l'esperienza di lunghi anni di passione e melancolìa trascorsi con quella intensità che caratterizza i tangueros sul palco. Lo spettacolo diventa sempre più esaltante, le movenze sempre più appassionanti. Era l'anno 1985 e mi trovavo in un cinema d'essai. Quella sera proiettavano "Tangos, l'exil de Gardel". Alla fine degli anni '70, un gruppo di argentini vive in esilio volontario o forzato a Parigi. Sono in gran parte degli intellettuali, scrittori o gente dello spettacolo, che hanno trovato asilo in Francia a seguito del colpo di stato operato nel loro paese. Intanto pensano di mettere su uno spettacolo, per scuotere l'apatia e l'indifferenza generale. E lo chiamano "Tanghedia", per farne memoria, testimonianza e ragione di vita. La "tanghedia" consiste in una serie di scene dove i fatti e le vicende anche di carattere personale saranno raccontati, simbolizzati, cantati e danzati con l'ausilio di decine di tanghi, soprattutto quelli del celeberrimo Carlos Gardel.

Torno alla realtà perché i camerieri hanno nel frattempo servito i secondi a tavola. È il momento della politica. "Cosa ne pensi del nuovo governo?". Penso che si cominci a respirare un po' d'aria nuova, pulita, senza tossine. Negli ultimi mesi nel nostro paese sono stati due i punti di riferimento istituzionali forti che hanno evitato all'Italia di precipitare in una crisi dagli effetti molto più gravi di quelli che già stiamo vivendo: l'Europa e la Presidenza della Repubblica, ossia la carica dello Stato più alta e che sintetizza l'unità nazionale. Ne deriva un chiaro segnale al paese, a cui si ricorda che per superare la crisi e ritornare a contare nella politica internazionale oggi abbiamo bisogno dell'apporto di tutti. Sotto questo aspetto la Uisp è in campo come parte integrante di quei corpi intermedi tanto vituperati dal governo Berlusconi. Insieme agli altri Enti di promozione sportiva, al mondo della promozione sociale e del Terzo Settore si può tornare a essere una risorsa, soprattutto in questa fase di profonda crisi economica e verso un'idea di stato veramente federalista. Si può pensare a una nuova realtà in cui la soggettività di organizzazioni come la nostra sia di fatto riconosciuta e valorizzata come apporto integrato alle politiche di welfare in vista del raggiungimento di uno degli obiettivi che si è posto il governo Monti, cioè l'equità. È tempo di uno scatto chiaro in tal senso.

Abbiamo più di sessant'anni di storia, siamo stati protagonisti della ricostruzione postbellica del paese, abbiamo attraversato non senza difficoltà gli anni '80 e '90, quelli del neoliberismo che hanno determinato la situazione odierna, e siamo sempre riusciti a essere un punto di riferimento per centinaia di migliaia di cittadini. Non possiamo che guardare con ottimismo a questa nuova fase. Se davvero si vuole uscire da questa crisi profonda, si ha bisogno delle migliori energie sociali e noi siamo pronti a fare la nostra parte. Va letta positivamente la grande sorpresa dell'istituzione del Ministero allo sport nel governo Monti. In una fase emergenziale, lascia ben sperare che insieme alle deleghe sulla coesione territoriale e sulla cooperazione e integrazione internazionale si sia pensato allo sport, ancorché senza portafoglio, come uno dei valori attraverso i quali si possano creare condizioni di tutela, di benessere e di integrazione delle politiche sociali.

Molti osservatori hanno sostenuto che il governo Monti è il prodotto della sconfitta della politica, ormai incapace di rappresentare i bisogni dei cittadini e di individuare le necessarie azioni per il rispettivo soddisfacimento. La politica è finalmente messa da parte, questo si è detto. Resto invece convinto che la vera sconfitta sia legata a quella visione distorta della politica, ammantata di populismo, di leaderismo, di partiti azienda, di un'idea per cui la legittimazione del voto popolare si trasforma in un plebiscito  che consente di considerare i corpi intermedi e perfino le istituzioni come inutili e improduttive ai fini della costruzione delle politiche pubbliche, perché è sufficiente il rapporto diretto tra chi ha ricevuto il mandato e il popolo. Ciò di cui si è sofferto in questi anni è proprio un chiaro punto di riferimento politico capace di interpretare il cambiamento e di mettere in campo misure per fronteggiarlo e governarlo. Oggi c'è più bisogno di politica, di quella nobile, capace di mettersi al servizio dei cittadini e di trovare sintesi con risposte che guardino ai problemi della gente. Questo è il nuovo umanesimo da auspicare. Occorre rimettere al centro l'uomo e non gli interessi di bottega.

Penso, pertanto, alla necessità di uno scatto. Io credo si stia aprendo una fase storica particolarmente impegnativa per tutte le forze progressiste che sono presenti in ogni parte del mondo ma soprattutto per quelle che fanno riferimento all'Europa, poiché la dimensione della crisi economica, la riorganizzazione delle forze economiche e finanziarie, la precarietà del lavoro, il sentimento xenofobo dilagante, la fine del modello fordista della produzione dei beni, la fine dello stato-nazione portano a un necessario ripensamento di una visione ideale che possa garantire ai popoli uguaglianza di diritti e di opportunità e, soprattutto oggi, uguali tutele e garanzie. Questa è la visione ideale che bisogna rimettere in campo. Il nuovo governo, se supportato politicamente, può offrire una sponda in tal senso, concedendo alla politica il tempo per riorganizzarsi, rinnovarsi e pensare al futuro con uno sguardo rivolto ai cittadini e al loro benessere.

È arrivato, nel frattempo, il giro del caffè e anche la politica lascia il suo posto, con uno sguardo alla speranza. Intanto nella mia mente ritorna la melancolìa del tango che si è riappropriata delle mie orecchie. E mi assento, prendo tempo. Ci sarà un mondo migliore. C'è, ne sono sicuro. E lo vado a cercare nelle note di "Por una cabesa" di Carlos Gardel. Torno lì, a quella melodia malinconica che permette una profonda e feconda riflessione. Mentre, a sorpresa, si insinua un ritmo incalzante, arriva da lontano e contamina, è il cante jondo di Federico Garcìa Lorca, è la vibrazione del duende che si avverte, è il canto straziante dei gitani e il pianto delle loro chitarre. È anch'esso un canto primitivo e popolare che ricompone l'armonia del corpo e della mente provati dalle fatiche e dal dolore sociale, è come la taranta che è tornata a pizzicare. È l'urlo di una nuova Italia che vuole tornare a sognare.

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