Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Il lungo addio

Recensione al film "L'uomo in più" di Paolo Sorrentino

La locandina di 'L'uomo in più' di Paolo Sorrentinodi Francesco Frisari

da Area Uisp n. 15

"SOTTO casa tua, finisce la mia via. Che malinconia..." canta Antonio Pisapia, detto Tony, nella piazza semivuota di un paesino, infreddolito sul palco. Intanto l'altro Antonio Pisapia, ex giocatore di serie A, sta perdendo tutto: la squadra, la possibilità di allenare e ora anche la moglie lo abbandona. Da una parte l'arrogante, laido cantante confidenziale di mezz'età, un po' Fred Bongusto un po' Califano, che all'apice del successo si fa sorprendere a letto con una minorenne e così si rovina. Dall'altra il calciatore serio e onesto, ossessionato dallo schema che va progettando per rivoluzionare il calcio, o almeno per rimanerci dopo il ritiro dai campi, in cui invece termina impigliato tanto da finire a fondo. Il regista Paolo Sorrentino racconta le loro storie ne' "L'uomo in più" (7,50 euro in Dvd, 2001), suo primo film, da lui anche sceneggiato. Le racconta in un'apparente parallelismo, ma il legame fra i due non è tanto nella simmetria delle rispettive vicende - due storie di una caduta, con in mezzo tentativi malriusciti di rialzarsi - ma in qualcosa in più, che sta proprio in quel nome diviso in due, nel comune destino. La sensazione è quella di una stessa vita divisa in due, forse non equamente, più che di due vite parallele.

La stessa caduta di Tony Pisapia, playboy cocainomane che riempie teatri con i suoi successi di compiaciuta e scaltra tristezza - malinconici? non proprio - e che ha la faccia furba e insieme distante di Toni Servillo, sembra essere già realizzata negli occhi di Antonio Pisapia (Andrea Renzi). I due sguardi si somigliano, ma Tony non può abbandonare la propria furbizia, il proprio disincanto, e solo gli occhi di Antonio, preoccupati e spaventati anche nei successi, timidi - "i timidi decidono di fare i difensori, si nascondono dietro gli attaccanti" - e anche un po' stolidi, ci permettono di capire subito la tristezza che condividono. Ciò che li accomuna, più che il fallimento, è una tristezza e una solitudine che costeggiano la malinconia, quella mancanza che non ha oggetto - Tony ha perso un fratello in mare, che riesce solo a intravedere nei suoi ricorrenti sogni - e che isola e immobilizza, che rende tutto indifferente. Antonio Pisapia proprio dove sembra abbandonarsi alla malinconia in realtà le resiste e per questo paradossalmente si perde, tramite la propria ossessione, lo schema dell'"uomo in più", l'ultimo suo interesse e investimento nel mondo, che una volta scomparso lo porta a scomparire a sua volta. Tony Pisapia invece, personaggio "larger than life", sopravvive alle proprie sventure e alle proprie tristezze (la canzone "I will survive" chiude il film), così come a quelle del suo omonimo, proprio prendendosi il carico della di lui vita e della di lui scomparsa, riconoscendo e vendicando in lui il proprio lutto, come se ritrovasse in quest'altro uomo, in questo suo doppio e nel suo fallimento, la propria stessa morte al mondo e quella del fratello, la propria mancanza e indifferenza, perfino la propria spregevolezza.

Le due vite, che convergono in brevi momenti senza giungere a un vero incontro, arrivano così a sovrapporsi attraverso un flusso evocativo di immagini e simboli, di sogni, finché Tony assorbe e incorpora Antonio - i frequenti piani sequenza di Sorrentino non sono linee continue, ma innanzitutto immersioni e inabissamenti, come nel mare di facce e incontri della scena della discoteca, dove il flusso delle situazioni avvolge e stordisce lo spettatore quanto Tony. Se da un lato infatti la regia di Sorrentino tiene la scansione temporale ed episodica che parte dai primi anni '80 e segue i personaggi per gli anni successivi, marcandone distanze e affinità, dall'altro mette in scena proprio questo assorbimento, il fatto che Tony arrivi a "mangiarsi" Antonio - non è un caso che sia l'attore più bravo fra i due, perché qui Toni Servillo è inarrivabilmente bravo, a sopravvivere, a compiere quest'assimilazione, quest'impersonazione - fino al redde rationem del monologo che entrambi, a distanza di una settimana, si trovano a fare in una trasmissione televisiva in cerca di dolori e drammi. Se per Antonio è il luogo dell'atterraggio, dove la caduta si compie davvero, nel suo modo  pallido e quasi incolore, per Tony - e per Toni Servillo - è invece un grande exploit, dove si rivela per quello che è, dice tutto con sfrontatezza e arroganza, dalla cocaina tirata alla voglia di cantare che parte dall'infanzia, dal potere alla caduta, dagli smoking alle ispezioni anali della galera, e in mezzo alla propria vita ricorda "un amico, si chiamava Antonio Pisapia, era un grande calciatore, voleva fare l'allenatore e non gliel'hanno fatto fare".

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