Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Il mondiale è troppo azzurro per Arp

Giovanni Arpino racconta in un romanzo del '77 i campionati di calcio di tre anni prima in Germania, seguiti come inviato de' La Stampa. Un romanzo dal controllato funambolismo linguistico in cui non si materializzano le promesse iniziali

La copertina di "Azzurro Tenebra" di Giovanni Arpinodi Francesco Frisari

dal numero 1 di Fuori Area



GIOVANNI Arpino scrive mondiali fra virgolette, e pure minuscolo, così: "mondiali". La cosa mi ha colpito, sembrava dovesse significar qualcosa il fatto che un giornalista che scrive un romanzo, autobiografico, sui mondiali di calcio del '74 in Germania, sulla sconfitta dell'Italia e sull'effetto pessimo e malinconico che fece star lì, poi li mettesse fra virgolette, e minuscoli, questi mondiali. Pensavo che magari volesse isolarli dal resto, segnalarli come qualcosa di cui dover dar conto, magari per giocarci o smontarli. O che stesse dicendo capitemi, su, quella competizione lì che si chiama così, scusate l'abbreviazione, scusate, e allo stesso tempo guardate, la presunzione di molti che tutti capiscano cosa si intende quando se ne parla, mentre, come spesso succede, non sappiamo di cosa parliamo. E invece no, questa scelta non significava molto. Ché il romanzo sembra prometter qualcosa, un'atmosfera, una distanza, un ribaltamento o una sensazione - qualcuno ha parlato di storia segreta di quei mondiali - ma alla fine non sembra darla. All'inizio invece sembra esserci, soprattutto nel primo capitolo, che inizia con le battute e le insensatezze di due amici, Arp/Arpino e il Vecio/Bearzot - i protagonisti noti compaiono qui solo tramite soprannome -, che senza dirsi nulla nel ritiro della nazionale già intravedono le nebbie e le ombre delle partite a venire. Solo che Azzurro tenebra di lì in poi disorienta meno, riprende il filo delle partite e della cronaca, e le continue battute del protagonista - "Il solito pugno di uomini indecisi a tutto", "Siamo gli ultimi romantici, anche se in brache corte", "Deutschland uber balles" -, alcune belle, altre meno, sembrano tracciare il cliché del giornalista sapido, disincantato, intelligente e colto, che alla sera legge le Vite dei Cesari di Svetonio e che è stanco e nauseato dal proprio lavoro, qui il calcio e tutto quello che gli gira intorno. Questo cliché non si realizza mai fino in fondo, ché Arpino è molto capace, e però si è sempre dinanzi allo scetticismo senza mai il dubbio, a un tono crepuscolare senza crepuscolo - è stato scritto nel '77 e c'è qualche brevissimo ma inutile riferimento all'Italia di quegli anni -, a un detective noir, sigaretta sempre in bocca, senza la Los Angeles anni '40.

Insieme a questo controllato funambolismo linguistico - gioco maschile, o meglio dei maschi che non sanno, o non possono fare più i funamboli con il pallone -, l'altro tono che domina il romanzo è invece quasi lirico, anche se spigoloso e scuro, e poi ricco, troppo ricco, ché Arpino scrive molto bene. Faccio un esempio. L'Italia pareggia con l'Argentina, giocando male, e Mazzola detto il Baffo, sbaglia un gol. Arp/Arpino lo scrive così: "Il Baffo volava sull'erba spalancataglisi davanti, magri gli ossi delle spalle e serrati. Evitava un uomo, un altro, sparava il suo affondo quasi per anticipare le infinite trecce d'illusione che la folla gli scaraventava nella spina dorsale pur di aiutarlo. [...]Una montagna d'occhi e bocche e pugni tese vide la palla rotolare, pulita. Troppo pulita esce sfiorando il palo, l'ombra la ingoia, il greve risucchio dello stadio si sgonfia come balena morente".

Le immagini sono belle, precise e spiazzanti, "ricercate", solo che nell'insieme del romanzo, dopo molti passi altrettanto intensi, questa "ricerca" non si capisce di cosa sia, verso cosa sia diretta - non è elogio del calcio epico visto che qui si perde e male, non è malinconia dei giochi d'infanzia, non è cronaca poetica e d'occasione. Il romanzo dunque è sì capace di bei momenti e insieme bizzarri, come definire l'allenamento di Giacinto Facchetti "il materializzarsi arcano e pudico d'una gioia sufficiente a se stessa", ma sembra essere sempre un poco "forzato", perché non arriva né precipita, né nel lirico né nello scettico, risulta anzi a volte gratuito, ma non della gratuità e inutilità del paradosso - che vivificano in parte il primo capitolo -, ma di un barocco senza vertigine, a volte lezioso. D'altronde è Arp stesso a lamentarsi del "barocco rivoltante" delle sue immagini, e forse questo suo saluto al calcio - dopo aver scritto il romanzo abbandona il giornalismo sportivo - si perde proprio nel tentativo di riuscire a trasfigurarlo, e trasfigurare sé e il proprio mestiere letterariamente. Per capirci, il gol di Mazzola per La Stampa di Torino lo aveva raccontato così: "Mazzola si trova anche sui piedi la palla della possibile vittoria. Il tocco in sicurezza esce a lato di pochi millimetri". Pur avendo scritto già altri romanzi, dopo anni da giornalista a dosare, limare in fretta, usar virgolette - sì, le usava anche su La Stampa -, e controllare "quell'uragano che disperatamente circondava la tribuna stampa, lo scatto dell'aggettivo, del neologismo, della metafora", non è riuscito a scansarlo o farsene dominare, ma sembra averlo cercato di controllare ancor di più, alla ricerca di un letterario che però sfugge dal controllo.

SERVIZIO CIVILE: Mettiti in gioco con Uisp!

 

UP! Uisp Podcast - Sport, politica e attualità

SPORT POINT - Consulenza accessibile per lo Sport

Differenze in Gioco - Sport libera tutt*

PartecipAzione: AssociAzioni in-formazione

Briciole di Pollicino: la formazione Uisp

Il calendario degli appuntamenti di formazione per istruttori Uisp

Forum Terzo Settore Emilia-Romagna

Il sito del Forum del Terzo Settore Emilia-Romagna