Comitato Regionale

Emilia-Romagna

La follia dei nostri tempi

L'intreccio della storia Uisp con la storia italiana sullo sfondo delle rivoluzioni nordafricane.

Foto di Matteo Angelinidi Vincenzo Manco

(da Area Uisp n. 13)

Un lampo di luce la lezione sul Risorgimento tenuta da Roberto Benigni a Sanremo, un bagliore nel buio delle menti nel quale il paese è ormai caduto da tempo. C'è ancora una speranza che può rappresentare l'ancora di salvezza attraverso cui salvaguardare la nostra dignità di popolo e di nazione. L'indice degli ascolti che si sono registrati lascia intendere che c'è una voglia di riscatto, di uscire dal torpore nel quale siamo stati ricacciati in anni e anni di reality show e di bugie raccontate. Sono giorni in cui più di un milione di persone è sceso in piazza - e non solo in Italia - a manifestare la necessità di riprendersi un profilo culturale che possa valere per l'intero paese a partire dalla difesa della dignità e dell'orgoglio di essere donne, donne che abitano un corpo che non vuole essere scambiato con qualsivoglia favore ma che a sé rivendica solo la libertà di scegliere. La manifestazione del 13 febbraio scorso ha dato una scossa vera, ha rilanciato prepotentemente il tema del ruolo delle donne in politica e nelle istituzioni.

Scrivo mentre le sorti di una parte del globo sono ancora sospese tra la rivendicazione dei propri diritti e la repressione sanguinosa di una protesta legittima, tesa a conquistare una libertà ancora tutta da venire ma che ha già determinato la caduta di due dittatori di paesi nordafricani. Le manifestazioni si estendono nel mondo arabo. È come se stia crescendo la consapevolezza di una nuova soggettività che parte da paesi considerati ancora in via di sviluppo dalle economie occidentali, paesi che si reggono spesso attraverso oligarchie che concentrano in mani familiari il potere e le istituzioni pubbliche piegandoli agli interessi della casta con l'accumulazione di somme ingenti di denaro fatte depositare presso banche estere attraverso conti protetti.

Ulrich Beck su "la Repubblica" sostiene che chiunque avesse predetto che due regimi autoritari del mondo arabo sarebbero caduti e che gli altri avrebbero vacillato sarebbe stato considerato pazzo, perché ci si poteva al limite immaginare un eventuale cambiamento dall'alto e non su spinta della società civile che si é resa protagonista del cambiamento. È un segnale di particolare importanza che desta anche una certa preoccupazione per la vicinanza dei confini ma che lascia sicuramente aperta una grande riflessione su ciò che può accadere in prospettiva, tenendo soprattutto conto dello sfondo intorno al quale ruotano le vicende e cioè la crisi economica da cui ancora non si intravede una via d'uscita. È dietro l'angolo, pertanto, il rischio di una radicalizzazione dello scontro, con l'ulteriore conseguenza di vederne compromesso lo sbocco democratico attraverso una deriva fondamentalista. Tuttavia il grido di protesta che si alza da quei luoghi chiede partecipazione, democrazia, migliori condizioni materiali per tutti, estensione dei diritti di cittadinanza. Produce cioè istanze che, proprio per il contesto politico sociale nel quale si svolgono, non potremmo e non dovremmo attardarci a definire folli.

Ma qualcuno affermava che le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia. Come quelle di Erasmo da Rotterdam, che sosteneva che l'incanto dell'infanzia è dovuto a quella sua "follia pazzerellona". Un po' di follia dà sapore alla vita, favorisce la convivialità e le amicizie, insomma ci permette di sopportarci a vicenda. È quindi quella "sana" follia che non determina lo stigma, ma che anzi rompe i pregiudizi, che dice basta alle paure ed alle discriminazioni e che usa la condivisione e la vicinanza come cura del benessere della persona. È quella che crea le condizioni per fare assieme le esperienze, che produce contaminazione culturale, responsabilizzazione e protagonismo.

I personaggi del Novecento, soprattutto coloro che si sono resi protagonisti di grandi cambiamenti politici e sociali nei vari territori del mondo, si dice che avessero "il fuoco nella mente". Credo ce l'avessero anche i soci fondatori della Uisp, i dirigenti e i soci che ne hanno determinato le trasformazioni e l'aggiornamento della finalità associativa, perché hanno annodato la trama della storia associativa attorno al filo dello sviluppo del paese, accompagnandosi spesso ai cambiamenti, talvolta anticipandoli se non addirittura determinandoli. Allargare, in quegli anni, le opportunità di pratica sportiva alle classi sociali meno abbienti rappresentava infatti un tentativo di incidere sulle sorti del paese attraverso la partecipazione e l'impegno civile e democratico. Lo statuto della Uisp andava a braccetto con la Carta fondamentale della nostra Repubblica e proprio per questo nel suo articolato non poteva fare a meno di garantire percorsi di emancipazione attraverso lo sport e i momenti di aggregazione che esso era in grado di creare e di far vivere. Per non parlare della scelta, negli anni sessanta, della costituzione dei Centri di formazione fisico-sportiva con l'introduzione e la pratica di nuove forme di attività quale occasione formativa delle fasce giovanili non più subordinate agli indirizzi dettati dagli organi ufficiali dello sport. Per proseguire negli anni settanta con la ginnastica dolce per la popolazione anziana. La Uisp ha avuto la primogenitura, lanciando nel paese la cultura per la promozione e il mantenimento della salute per tutti, nessuno escluso.

Ma la vera "follia" è rappresentata dal congresso Uisp del 1990. Dallo sport popolare allo sportpertutti, dalla prestazione alla persona, con le proprie motivazioni e i propri limiti. Estendendo lo sport al suo rapporto con diritti, ambiente e solidarietà. Sono trascorsi più di vent'anni da allora e, come sempre nella nostra storia, abbiamo contribuito a migliorare il benessere individuale e collettivo delle nostre comunità, abbiamo accresciuto la nostra coscienza e sensibilità ambientale, allargato i nostri orizzonti oltre i confini nazionali fino ad attivare progetti di cooperazione decentrata in diverse zone del mondo, acquistato ruoli di primo piano tra la comunità della rappresentanza sociale e sportiva in Europa. Mobilitiamo quotidianamente più di un milione e duecentomila cittadini nostri soci nelle palestre, nei campi, nelle piazze cittadine, nei parchi, nelle aree protette; cerchiamo di accompagnarli nella loro vita promuovendo spazi di socializzazione e di confronto, iniziative e dibattiti con il coinvolgimento delle istituzioni e di altre associazioni. Lo facciamo consapevoli del fatto che nel frattempo non stiamo solo permettendo di esercitare il diritto di praticare uno sport o di svolgere attività motoria per la propria salute, ma stiamo costruendo occasioni di partecipazione alla vita pubblica. Questo è il vero grande valore dello sport di cittadinanza, una grande opportunità per vivere esperienze collettive, capaci di determinare coesione sociale, quel collante necessario per tenere insieme le comunità cercando di sconfiggere o di ridurre il più possibile la solitudine delle persone. Magari nuotando contro corrente, perché non è mai stato facile per noi durante tutta la nostra storia aver dovuto affermare la nostra pari dignità rispetto alle istituzioni dello "sport ufficiale". Quanta fatica per farlo comprendere e quanta ne facciamo ancora oggi, nonostante gli spazi e i ruoli acquisiti. Stiamo già pensando a come festeggiare il 150° dell'Unità d'Italia: faremo sentire tutta la nostra forza dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, ci impegneremo così tanto da fare arrivare un messaggio di sostegno chiaro al nostro presidente Giorgio Napolitano, baluardo non solo dell'unità del paese ma soprattutto strenuo difensore dei valori repubblicani e custode arcigno della Costituzione. Al ministro Calderoli diciamo che il 17 marzo per noi continuerà ad essere "follia", come l'ha definita lui, ma come al solito la interpreteremo a nostro modo, evidenzieremo la nostra cifra, il nostro tratto identitario che trova ispirazione nei valori risorgimentali prima e repubblicani poi. Scriveva Franco Basaglia: "la follia è una condizione umana". In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Ministro Calderoli, repetita iuvant!

SERVIZIO CIVILE: Mettiti in gioco con Uisp!

 

UP! Uisp Podcast - Sport, politica e attualità

SPORT POINT - Consulenza accessibile per lo Sport

Differenze in Gioco - Sport libera tutt*

PartecipAzione: AssociAzioni in-formazione

Briciole di Pollicino: la formazione Uisp

Il calendario degli appuntamenti di formazione per istruttori Uisp

Forum Terzo Settore Emilia-Romagna

Il sito del Forum del Terzo Settore Emilia-Romagna