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Emilia-Romagna

Si gioca a memoria

Oppure a fantasia. Come nel percorso apparentemente sconclusionato del libro di Edmondo Berselli "Il più mancino dei tiri". Dove si parte da Mariolino Corso per arrivare a Giulio Andreotti, passando per Paul Klee e Walter Benjamin. Senza ordine e "divagando - potenzialmente - all'infinito"

di Fabrizio Pompei

 

INIZIANDO dal calcio, si sa, si può finire a parlare di politica e geometria, di storia e letteratura. Magari si parte ricordando i dribbling in sequenza di Best e velocemente si passa alla musica dei Beatles, oppure ci si lascia andare a una disquisizione tattica sul 4-3-3 che presto si trasforma in una discussione sull'idea di ali, attacco, Olanda, Milan, anni Novanta, Mani pulite, Berlusconi. Insomma, il calcio è un ottimo punto di partenza per ricordare, per parlare di noi e della nostra storia. Ed è quello che fa Edmondo Berselli ne' "Il più mancino dei tiri" (Mondadori. Milano, 2006. pp. 125 - 9 euro), volume del 1995 ristampato da Mondadori nel 2006. Un libro in cui "programmaticamente" si salta "di palo in frasca" - apparentemente - senza nessuna logica se non per il gusto di parlare, raccontare storie e descrivere particolari più o meno nascosti.
 
Eppure "Il più mancino dei tiri" non si ferma al "prender spunto" dallo sport per poi tracciare una storia del nostro paese, della cultura - alta e popolare -, della politica. Berselli mira più in alto e parla della vita nella sua interezza: non racconta una storia condivisa, o almeno non solo quella. Racconta la sua di storia e per far questo adotta l'unico metodo onesto possibile, affidandosi interamente alla memoria. Il libro diventa così una specie di scommessa con se stesso e con il lettore: ogni risultato, ogni partita, ogni data vengono scritti così come l'autore li ricorda, senza mai controllare la realtà dei fatti. Lo scrittore che per lungo tempo era stato correttore di bozze per Il Mulino, casa editrice di saggistica per eccellenza, cambia strada e decide di lasciare da parte annuari, tabellini e statistiche, per improvvisare.

Ne viene fuori un libro malinconico ma non nostalgico. Se si parla di un calcio in bianco e nero, con giocatori leggermente zoppi o sovrappeso, non è per rimpiangere un passato poetico e perduto ma semplicemente per gustare con altri (o probabilmente solo con se stessi) i propri ricordi. Ricordi e pensieri che a volte si sviluppano in dialoghi ironici con interlocutori assenti: ora ipotetici colleghi di lavoro, ora severi critici letterari pronti a rintracciare mille diverse trame nascoste all'interno del libro. Perciò, prima di rischiare di trovarne qualcuna, è meglio affrettarsi a giungere al punto.

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