Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Torneremo a giocare a calcio?

I fatti accaduti prima, durante e dopo la recente finale di calcio di Coppa non possono solo stupirci

di Mauro Rozzi - presidente Uisp Emilia-Romagna

 

BOLOGNA - Il ripetersi di azioni degenerate e violente, assolutamente estranee e opposte a quello spirito che gli eventi sportivi dovrebbero in realtà rappresentare ed esaltare, ci lascia sicuramente attoniti ma, oramai, la diffusione e la sempre più ravvicinata frequenza con la quale si rinnovano situazioni di questo tipo non lasciano più alibi e non consentono più temporeggiamenti. I mezzi per combattere queste illegalità ci sono, quello che manca è la volontà. Anche in altre nazioni i problemi ci sono stati, ma quella che in Italia oggi è considerata una brutale realtà in altri stati è stata vissuta come una piaga sociale, è stata affrontata e debellata o almeno drasticamente ridimensionata. La sconfitta, nel caso specifico della triste serata di sabato 3 maggio, non è rappresentata solo dall'atteggiamento degli ultras, dalla visibilità consegnata alle azioni rituali dei loro così definiti "capi", ma piuttosto dal fatto che si siano "dovute" dare spiegazioni e che si sia ritenuto opportuno concertare le scelte con loro per questioni di ordine pubblico e incolumità di tutti i tifosi di uno stadio. È grave pensare che sia necessario scendere a patti (e non voglio credere che questo sia realmente accaduto) ma deve letteralmente scandalizzare che si ritenga necessario intavolare una comunicazione con chi si pone a capo del tifo organizzato più esasperato. Questi sono protagonisti violenti dello sport e la violenza come tale va condannata. Non tifosi ma delinquenti, individui che, oltre ad aver perso il senso della misura, non pensano più alle due squadre in campo che si incontrano in una partita ma trasferiscono la sfida in un'altra dimensione, quella dello scontro sociale.

Le forze di polizia e della Digos hanno ripetuto più volte che non c'è stata trattativa ma solo un rituale programmato e necessario per evitare il peggio e per tranquillizzare il pubblico rispetto al prosieguo dello spettacolo. Proprio questo il problema: la necessità di dover valutare che qualcuno altro che non sia la forza di polizia abbia il potere di condizionare la sicurezza di migliaia di persone durante uno spettacolo. La pagina triste che stiamo scrivendo non è dovuta solo la maglietta di Gennaro "la carogna" - che con la sua t-shirt chiede libertà per gli ultras, libertà per Speziale, (il tifoso condannato per l'uccisione dell'ispettore Filippo Raciti otto anni fa al termine del derby Catania-Palermo e dopo sei anni di processi) - ma anche al vigile del fuoco ferito da un petardo e agli altri atti di razzismo che nelle ultime settimane sono stati spesso protagonisti anche dei campionati amatoriali organizzati dagli enti di promozione sportiva.

Esprimiamo quindi, anche se tardivamente, doverosa solidarietà ad una donna, ad una vedova e ai suoi figli e condanniamo decisamente chi non rispetta il Paese e il nostro canto nazionale. L'incognita complessiva è del sistema calcio che però sottovaluta il problema. Un problema che coinvolge altri aspetti, compresi la malavita organizzata, le scommesse, il doping, il calciomercato. Perché non si torna a giocare? Il calcio professionistico è complice e non può avere un atteggiamento sorpreso e ambiguo, non può tirarsene fuori facendosi scudo con il ruolo di vittima quando le vittime oggi sono solo i veri appassionati dello sport in genere. Il martire è il gioco, forse anche il gioco del pallone ma non di certo quel calcio professionistico che con i suoi interessi miliardari si indigna ma si adegua, fa poco o nulla per cambiare davvero perché ha un sistema da garantire.

Il problema però l'abbiamo anche come ente di promozione sportiva perché questo calcio malato ci ha fatto un po' da modello, da esempio, da maledetto richiamo di successo. Molti nostri dirigenti e nostre associazioni pensano che sia quello il prototipo, seppur sofferente, da seguire. Perché il vero calcio è così. Ognuno dovrà guardare i propri ambiti e con le proprie forze e fare qualcosa per cambiare. È per questo che sono sicuro che anche la nostra lega calcio dell'Emilia-Romagna e le nostre diramazioni territoriali sapranno cogliere quegli stimoli che a nome della Uisp regionale ho avuto modo di esprimere in modo molto esplicito in un recente consiglio di lega. Serve agire, servono nuovi progetti, servono proposte diverse, competenze nuove ed esterne per affrontare un'emergenza, per poter riprendere in mano l'etica, il divertimento il piacere di giocare. Dobbiamo fornire nuove conoscenze e strumenti ai nostri arbitri, ai nostri dirigenti ai nostri giocatori. Obiettivi che la più grande e strutturata delle nostre aree di attività sono certo saprà ricercare con forza.

La Uisp sta già facendo molto e si sta distinguendo con esperienze innovative e importanti ma, in particolare nella nostra regione, abbiamo la necessità di sperimentare e rinnovare. Ci sono sempre più realtà affiliate alla Uisp su tutto il territorio nazionale, che propongono un altro modo di fare calcio. L'inchiesta di Repubblica/Espresso sul calcio popolare recita: "Squadre costruite dal basso grazie a tifosi, attivisti dei movimenti e anche a gruppi ultras. Non tutte si riconoscono nella definizione di calcio popolare, ma hanno lo stesso modo di intendere l'essenza dello sport più amato al mondo come strumento di partecipazione e condivisione, di passioni così come di valori". Quasi tutte queste realtà popolari e spontanee hanno come minimo comune denominatore un forte spirito antirazzista e antifascista.  Con la Figc è stato già ottenuto un primo risultato grazie a "Gioco anch'io", la campagna promossa con la Uisp dalle palestre popolari e dalle squadre del progetto "Sport alla Rovescia", oppure con il progetto "Il Calciastorie", presentato a Bologna il 24 aprile e nato dalla collaborazione tra Uisp, Lega Serie A e Associazione italiana calciatori, per raccontare l'integrazione con il calcio, trasmettendo ai ragazzi esempi tratti dal mondo del pallone. Senza dimenticare poi la manifestazione simbolo della scommessa Uisp di pensare a un modo differente di fare e vivere lo sport: i Mondiali Antirazzisti. Una manifestazione nata nel 1997 dal Progetto Ultrà della Uisp Emilia-Romagna, in collaborazione con l'Istituto storico per la resistenza (Istoreco) di Reggio Emilia, da un'idea molto semplice: organizzare una vera e propria festa che vedesse il coinvolgimento diretto e la contaminazione fra realtà considerate normalmente contrastanti e contraddittorie, quella dei gruppi ultrà, spesso etichettati come razzisti, e quella delle comunità di immigrati.

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