Comitato Territoriale

Empoli Valdelsa

Alessandro Scali sulla mancata ripartenza degli sport di contatto

Nella triste vicenda del COVID si è aggiunto un nuovo terreno di confronto, che consiste nella possibilità o meno di aprire agli sport di contatto: la famosa questione del calcetto. Sulla materia, il Governo aveva fissato come data il 25 giugno, salvo poi essere costretto a fare marcia indietro, pur con malcelato disappunto da parte del Ministro. Cosa accadrà adesso?
Partiamo da un assunto: non spetta a noi (al mondo sportivo, non solo alla UISP) dire se le condizioni dell’epidemia sono tali o meno da consentire o meno la pratica del calcetto e di altri sport di contatto. Questo è un onere che spetta a chi studia per mestiere il fenomeno e a chi, sulla base dei pareri dei primi, deve assumere delle decisioni che impatteranno
comunque sulla collettività intera. Alle organizzazioni sportive spetta solo capire gli effetti di quelle decisioni e gestirne le conseguenze.
Da quando l’emergenza COVID è iniziata abbiamo chiesto poche cose: 1) aiuti economici per un settore devastato 2) chiarezza. A riguardo del primo punto, le risposte oggettivamente sono arrivate; poche, tante, belle, brutte, ma sono arrivate. Qualcuno ne sarà rimasto escluso, ma il Governo delle risposte le ha comunque date. Sul secondo punto, invece, siamo a zero.
Partiamo dalle tristemente famose Linee Guida che si sono succedute a partire dal mese di maggio: ne sono state pubblicate 5 (sperando di non averne persa qualcuna per strada), comprese quelle per i Centri Estivi, lunghe e difficili da leggere, ancor più da interpretare, quasi impossibili da applicare. Ma, se almeno queste fossero state risolutive, sarebbe già stato un passo avanti. Invece no, perché queste Linee Guida obbligano ognuno degli 80 organismi sportivi nazionali (FSN, DSA, EPS) a redigere propri protocolli applicativi.
Lasciando da parte la questione che gli Enti di Promozione Sportiva, per loro natura, organizzano una pluralità di discipline e che, per ognuna di esse, in linea teorica, dovrebbe essere redatto un protocollo, rimane sul tavolo il fatto che molti sodalizi hanno la possibilità di affiliarsi ad una Federazione Sportiva e/o a uno o più Enti di Promozione e che, per
questo, dovrebbero seguire le indicazioni di più soggetti, che non necessariamente coincidono. Legata ai protocolli è la questione della responsabilità civile e penale dei presidenti dei sodalizi sportivi, materia che da sola fa già tremare i polsi.
Ci sono poi le autonomie delle singole Regioni, dato che l’DPCM dell’11 giugno scorso ha delegato ad ognuna di esse, ovviamente in intesa con il Governo, la possibilità di assumere decisioni in materia di ripresa degli sport di contatto; così abbiamo che Puglia e Liguria, per esempio, si sono già incamminate, mentre gran parte del resto d’Italia è ancora al palo.
E poi c’è l’aspetto che più di tutti ha colpito l’immaginario collettivo e ha fatto brillare gli occhi a milioni di sportivi. Si è voluto riaprire a tutti i costi il calcio professionistico e il mondo del pallone ha giubilato di gioia, assieme a milioni di tifosi. Chi ha deciso così avrà fatto le sue valutazioni. Registriamo comunque che tale decisione ha avuto due conseguenze:
1) si è fatto passare il messaggio che il calcio professionistico è più importante di tutto: dello sport amatoriale, della scuola, dei diritti dei bambini, degli anziani, dei disabili, etc... E’ chiaro che non era quello l’intento, ma quando spendi così tanto tempo per consentire ad un sistema miliardario di ripartire e lasci al palo tutti gli altri, beh, qualcuno alza un sopracciglio, perché la differenza di attenzione è macroscopica. Perché, poi, non è che i milioni ti preservano dal COVID (Djokovic docet), e se ti ammali ti cura il sistema sanitario nazionale, pagato anche con le tasse di milioni di operai e altri poveri cristi che battono la testa nel muro da quattro mesi. Per far ripartire il sistema si è introdotta anche la quarantena soft, il cui solo concetto sta a metà tra il ridicolo e il terrificante, oltre che essere palesemente iniquo. Non sta a noi
valutare se ciò che è stato fatto sia giusto o meno; ma sta nel nostro diritto denunciare una palese, evidente, odiosa differenza di attenzione. Se non si ammala un calciatore professionista, non si ammala neppure il sig. Rossi che gioca a calcetto con gli amici; e se si dovessero ammalare tutti e due, entrambi dovrebbero avere diritto alle necessarie cure. Avete fatto ripartire Ronaldo ? Bene, adesso che riparta velocemente anche il Sig. Rossi.
2) nel momento in cui vanno in TV i primi piani di calciatori che si scambiano liquidi e umori organici nei contatti di gioco e nei festeggiamenti dopo un gol o una vittoria, al tifoso arriva diretto come un treno il messaggio che questa cosa si può fare e non costituisce pericolo. Condisci il tutto con qualche luminare che va in TV a dire che ormai è tutto passato e qualche politico che fa adunanze senza mascherina e ottieni i festeggiamenti in piazza a Napoli dopo la vittoria in Coppa Italia. Qui il problema sta nel fatto che mentre il luminare lo vedono in tre e il politico lo ascoltano in quattro, il
calcio lo vedono in milioni e l’effetto emulativo che ne consegue potrebbe essere devastante, soprattutto quando, in tante parti del mondo, la gente muore ancora a grappoli
E allora, per cortesia, coerenza e chiarezza. Il mondo dello sport non chiede la luna (a parte il calcio professionistico che ha chiesto la luna e il sole), ma coerenza e chiarezza delle regole. Se poi si potesse aggiungere anche equità nell’utilizzo delle risorse pubbliche o che provengono da fonte pubblica, beh, il cerchio sarebbe chiuso. Ma questo è un altro tema,
magari da affrontare dedicandogli la giusta e dovuta attenzione in un altro momento

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