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La Rete Fare-Football against racism in Europe compie 20 anni

Anche l'Uisp festeggia questo importante anniversario per il mondo sportivo antirazzista europeo. Parla Carlo Balestri

Oggi il ruolo che riveste lo sport nell’inclusione sociale di migranti, rifugiati e richiedenti asilo è diventato universalmente riconosciuto, tanto da essere uno dei passaggi del Global Compact promosso da UNHCR:

“44. Riconoscendo l'importante ruolo che le attività sportive e culturali possono svolgere nello sviluppo sociale, nell'inclusione, nella coesione e nel benessere, in particolare per i bambini rifugiati (sia maschi che femmine), adolescenti e giovani, nonché per gli anziani e le persone con disabilità, saranno promossi partenariati che permettano di aumentare l'accesso alle strutture e attività sportive e culturali nelle aree di accoglienza dei rifugiati.” (Global Compact sui Rifugiati, 2018 UNHCR).

Ma qual era la situazione 20 anni fa? Facciamo un passo indietro fino al 1997 quando la Uisp presentò due progetti in occasione dell’Anno europeo contro il razzismo e la xenofobia, due progetti che mettevano al centro lo sport. Siamo in un periodo buio per la cultura dell’accoglienza: razzismo contro le persone di pelle nera, identificate come il male assoluto, paura degli stranieri (albanesi e marocchini in testa, tanto da perdere il significato di nazionalità e diventare parole con cui si identificano dei mestieri “i marocchini in spiaggia” o sinonimo di criminali “gli albanesi”). Negli stadi compaiono striscioni offensivi, viene esposto perfino un manichino nero impiccato (Verona-Chievo, 1996), i media spesso offrono descrizioni stereotipate e pregiudiziali degli atleti neri (i keniani corrono di più perché corrono scalzi nelle praterie, i neri non possono nuotare perché hanno le ossa pesanti).

La Uisp decide di intervenire in questo contesto sociale attraverso una proposta di impatto che per la prima volta considerava lo sport come un vero e proprio strumento di inclusione. Il progetto della UISP Nazionale (scritto grazie ad una intuizione di Maria Dusatti, dirigente Uisp nella cooperazione internazionale, scomparsa nel 2006) prendeva in considerazione il calcio e l’atletica come due ambiti in cui promuovere programmi di integrazione per migranti, già allora il problema delle limitazioni nel tesseramento degli stranieri impediva una pratica davvero aperta a tutti e con questo progetto si gettavano le basi per chiedere alle istituzioni poter tesserare gli atleti grazie una sorta di “adozione” da parte delle società sportive che avrebbero garantito per loro (all’epoca lo scoglio principale era il permesso di lavoro).

Inoltre, fu l’occasione per le nostre Strutture di attività, che allora si chiamavano Leghe, per dichiarare pubblicamente che i loro campionati erano aperti a tutti, senza necessità di mostrare permessi di soggiorno o di lavoro e soprattutto senza limitazione nel numero di componenti una squadra. Nacque in quel periodo l’idea della Squadra Arcobaleni, prima squadra composta da migranti regolarmente iscritta al campionato Uisp, che per anni è stata la bandiera dell’antirazzismo.

L’altro progetto era portato avanti dall’appena nato Progetto Ultrà promosso dall'Uisp Emilia Romagna: “Occuparsi di razzismo nel mondo dello sport, ed in particolare nel calcio, negli anni novanta, non era una cosa scontata - ricorda Carlo Balestri, responsabile politiche internazionali Uisp - Farlo poi partendo dal basso, attivando meccanismi di partecipazione e di lavoro sociale diretto con i tifosi, era allora considerato quasi rivoluzionario. In quei tempi, in Italia, lo faceva solo la Uisp, principalmente attraverso il Progetto Ultrà. La dimensione della ricerca e della sperimentazione andavano di pari passo, così come la voglia e la curiosità di incontrarsi con esperienze simili europee. È in questo periodo che, anche grazie al progetto, nascono le prime assemblee dei tifosi e soprattutto i Mondiali Antirazzisti: primo esperimento che metteva insieme su un campo di calcio tifosi e migranti, due categorie sotto stretta osservazione da parte dell’opinione pubblica che li stigmatizzava come violenti a prescindere”.

Fortunatamente non solo la Uisp, in quegli anni, incominciava a spingere per un riconoscimento del valore sociale dello sport, non semplicemente come attività di tempo libero (come per anni è stato derubricato in moltissimi documenti ufficiali del Parlamento Europeo). Altri progetti avevano come protagonista in particolare il calcio e grazie al lavoro svolto dagli austriaci del FairPlay-VIDC fu organizzato un Congresso di straordinaria importanza, preparato in collaborazione con gli inglesi del Kick it Out, del FURD e di Show Racism the Red Card, degli irlandesi del SARI e del nostro Progetto Ultrà. Il convegno NAREF-Networking Against Racism in European Football si svolse a Vienna nel febbraio del 1999 e vide la partecipazione di attivisti provenienti da 13 nazioni europee in rappresentanza di 60 organizzazioni. Per l'Uisp erano presenti Daniela Conti e Loredana Rosa Uliana, per il progetto Ultrà partecipava Carlo Balestri.

Perché ne stiamo parlando proprio oggi? Perché quel convegno nato come un incontro fra sportivi, attivisti, tifosi, progettisti sul tema della lotta contro il razzismo nel calcio ha dato vita alla rete FARE, che quindi nel mese di febbraio compie 20 anni. All’epoca si stipulò un programma per punti che sembrava ambizioso: dialogo con le federcalcio di ogni paese per segnalare il dilagante razzismo negli stadi, coinvolgimento di Uefa e FIFA in progetti comuni, richiesta di fondi per finanziare progetti sociali costituiti dalle penali pagate dalle squadre, costruzione di reti solidali che partissero dalla base, coinvolgimento dei tifosi nella lotta contro il razzismo negli stadi.

Davvero un piano d’azione che sembrava quasi utopico. Poi sono venuti gli Europei del 2004 con un progetto per la prima volta sostenuto dalla Uefa sulla promozione di eventi antirazzisti in Portogallo, la formazione congiunta per gli steward, i convegni Uefa-FARE aperti sia alle istituzioni del calcio che agli attivisti di base; sono venute collaborazioni con la FIFA sul monitoraggio e la promozione di progetti di cooperazione internazionale; si è allargato il fronte della lotta per cui oggi la rete FARE si batte contro ogni forma di esclusione e discriminazione ed è riuscita ad imporre questa linea anche ad una inizialmente riluttante Uefa. Sono arrivati negli anni diversi premi e riconoscimenti, ma il primo è quello che non si scorda mai: l’MTV Free Your Mind Award. Sono venute le settimane d’azione contro il razzismo (che oggi si chiamano Football People) che ad ogni edizione sono riuscite a coinvolgere sempre più associazioni e persone. I Mondiali Antirazzisti hanno fatto da corollario in tutti questi anni promuovendo il logo della rete FARE e beneficiando dei mille rapporti aperti.

Fortunatamente in questi anni molte cose sono cambiate in merito alla considerazione dello sport anche a livello europeo, a cominciare dal Libro bianco sullo sport del 2007 e ci piace pensare che un po’ sia anche merito nostro, del lavoro che la rete FARE ha fatto in questi anni grazie a quello svolto quotidianamente da tutte le sue associazioni partner.

Una cosa, invece, non siamo riusciti a sradicare ed è quella tendenza che ciclicamente torna a popolare le nostre società: l’odio verso il diverso, che diventa capro espiatorio nei momenti di crisi (soprattutto economica). E così ci ritroviamo nel 2019 a parlare ancora una volta di razzismo, quello nei confronti di chi ha un colore della pelle diversa. Ci ritroviamo con porti chiusi, centri di accoglienza che vengono sgomberati e con una legge che limita fortemente il riconoscimento di status per chi fugge. Abbiamo sempre detto che lo sport, e il calcio in maniera particolare, sono lo specchio della società e le immagini che sono alla ribalta della cronaca in questi ultimi mesi sono un campanello di allarme che non possiamo sottovalutare. Non è un caso che un paio di settimane fa la Rete FARE abbia promosso un piccolo spot proprio per riportare l’attenzione su questo argomento.

Il 31 marzo si celebrerà a Londra la terza Assemblea Generale da quando la rete FARE si è trasformata da rete informale a confederazione e sarà anche l’occasione per ricordare insieme questi pezzi di storia, ma soprattutto ci auguriamo, ricordando lo spirito dei primi anni, sia in grado ancora una volta di  spazzare via questa nuvola nera che sta invadendo un po’ tutta l’Europa. (di Daniela Conti, politiche internazionali Uisp)

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