Comitato Territoriale

Milano

Qual è lo stato di salute dello sport italiano?

Qual è lo stato di salute dello sport italiano? La settima Commissione del Senato ha deciso di approfondire il tema e mercoledì 29 giugno, nell’ambito di alcune audizioni programmate, ha convocato l’Uisp per ricevere proposte e documentazione.

“Nel corso dell’audizione abbiamo avuto modo di esporre il nostro punto di vita orientato alla necessità di valorizzare e sostenere la funzione sociale dello sport – ha dettoVincenzo Manco, presidente nazionale Uisp al termine dell’incontro – il nostro sistema sportivo è centrato sul Coni e sulle sue funzioni. Questo crea un’anomalia di governance: che succede nel momento in cui ci si sposta dal terreno dei campioni e delle performance sportive a quello delle politiche pubbliche per lo sport? In questo ambito lo stesso Coni non ha gli strumenti necessari per incidere. E allora: come sviluppare politiche pubbliche per lo sport? A chi spetta questo compito ai vari livelli, dal locale al nazionale? E’ necessaria una legge quadro che riordini l’intera materia e valorizzi la funzione sociale dello sport. L’Uisp guarda con favore ad un modello di Ministero dello sport che oltre alle politiche pubbliche possa determinare il riconoscimento del valore sociale dello sport e di quelle attività che il Coni, per le finalità cui esso è chiamato, fa fatica a considerare come meritevoli di riconoscimento ai fini sportivi. Perché il comitato olimpico italiano risponde ad indicatori legati alla filiera olimpica e al Cio”.

Nel documento consegnato alla settima Commissione del Senato, l’Uisp sottolinea che “le problematiche che condizionano la salute dello sport in Italia attengono ai seguenti aspetti con riferimento ai quali si auspicano interventi normativi e chiarimenti ministeriali: 1. La salute dello sport e la salute attraverso lo sport;  2. Sport e terzo settore, utilità sociale prodotta, rispetto della trasparenza e maggiore tutela per i dirigenti e per i collaboratori sportivi; 3. La salute dei praticanti l’attività sportiva, la sicurezza dei praticanti e la qualità degli operatori; 4. Lo sport e gli impianti sportivi; 5. Incertezza normativa che genera contenziosi in merito ad alcune materie, quali ad esempio collaborazioni sportive, sponsorizzazioni e disparità di trattamento fiscale tra vari soggetti del mondo sportivo. 

Ecco il documento integrale presentato dall'Uisp alla settima Commissione del Senato:

SENATO DELLA REPUBBLICA

7^ COMMISSIONE

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DI SALUTE DELLO SPORT

AUDIZIONE DEL 29 Giugno 2016 – UISP Unione Italiana Sport Per tutti

1. PRESENTAZIONE DELLA UISP

La Uisp – Unione Italiana Sport Per tutti (già Unione Italiana Sport Popolare), costituitasi nel 1948, è un Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal Coni con deliberazioni del 1976 e successive. E’ Associazione di Promozione Sociale, riconosciuta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, iscritta al Registro Nazionale ai sensi e per effetto della legge 7 dicembre 2000, n.383.

La presenza organizzativa si caratterizza attraverso 135 Comitati Territoriali, 18 Comitati Regionali, 1.330.676 soci, di cui 1.117.444 riconosciuti Coni. Le associazioni sportive affiliate sono 17.949, di cui 12.489 iscritte al registro Asd/Ssd Coni.

La Uisp sostiene i valori dello sport contro ogni forma di sfruttamento, d’alienazione, contro la pratica del doping; opera per il benessere e la promozione della salute dei cittadini, per la tutela e la sostenibilità ambientale, i valori di dignità umana, di non violenza e solidarietà tra le persone e tra i popoli e coopera con quanti condividono questi principi. Promuove una cultura dei diritti e delle pari opportunità, riconoscendo lo sport come diritto di cittadinanza e come risorsa per l’inclusione.

 

2. LE PROBLEMATICHE CHE INVESTONO LE ORGANIZZAZIONI SPORTIVE

Le problematiche che condizionano la salute dello sport in Italia attengono ai seguenti aspetti con riferimento ai quali si auspicano interventi normativi e chiarimenti ministeriali:

1)      La salute dello sport e la salute attraverso lo sport. Si attende ancora una definizione normativa di sport ma si potrebbe recepire la definizione introdotta dalla Carta europea dello Sport e ripresa dal Libro Bianco sullo Sport della Commissione Europea del 2007, secondo i quali per sport si deve intendere

qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni a tutti i livelli”.

Si ritiene che tale definizione, che vede lo sport di prestazione solo una delle possibili facce del fenomeno, da un lato rispetti la fotografia reale della pratica sportiva e dall’altra sia coerente rispetto alla strategia per l’attività fisica dell’Organizzazione mondiale della Sanità per gli anni 2016 – 2025 che vede tra i principi guida promuovere un approccio allo sport che tenga conto di tutte le fasi della vita, obiettivo che necessariamente passa attraverso una proposta di sport per tutti e a tutti i livelli.

2)      Sport e Terzo Settore. Promuovere una idea di sport inclusiva e non performativa significa valorizzare l’innegabile impatto sociale che lo sport offre rispetto alla salute dei praticanti, all’educazione al rispetto delle regole e alla sua dimensione socializzante. Ciò rende le organizzazioni sportive dilettantistiche parte integrante del Terzo Settore, attesa l’innegabile utilità sociale prodotta.

L’espresso riconoscimento delle organizzazioni sportive dilettantistiche come attori del Terzo Settore garantirebbe

-          il rispetto delle esigenze di trasparenza gestionale, grazie alla previsione della pubblicità del bilancio e

-          maggiore tutela dei dirigenti, grazie alla semplificazione del procedimento di acquisizione della personalità giuridica,

in quanto argomenti rispetto ai quali il Governo è chiamato a legiferare (Legge 6 giugno 2016, n. 106 recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”).

3)      La tutela dei collaboratori sportivi. La dicotomia tra sport professionistico e sport dilettantistico, nella definizione che emerge dalla Legge 91/1981, ha contribuito al fenomeno che vede la maggior parte di atleti, allenatori ed istruttori retribuiti con rimborsi spese forfettari, disciplinati esclusivamente sotto il profilo fiscale dall’articolo 67 del Testo Unico delle imposte sui redditi, che non garantiscono tutele previdenziali. Con riferimento a questa problematica il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con la nota del 21/2/2014, aveva espresso la volontà “di farsi promotore, d’intesa con l’INPS, di iniziative di carattere normativo, volte ad una graduale introduzione di forme di tutela previdenziale a favore di soggetti che, nell’ambito di associazioni e società sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali nonché dagli enti di promozione sportiva, svolgono attività sportiva dilettantistica nonché attività amministrativo-gestionale non professionale ex art.67, comma 1, lettera m) ultimo periodo del T.U.I.R.” ma da allora nulla è stato fatto.

Si auspica pertanto un intervento normativo che garantisca chiarezza e discrimini tra

-          emolumenti riconducibili pienamente ai redditi diversi, da assoggettare ad agevolazioni (ad esempio attestandosi sui 7.500 euro annui destinatari di un regime di detassazione ai sensi dell’articolo 69, comma 2°, del TUIR), e

-          collaborazioni che, superando quel determinato plafond, devono essere ricondotte all’ordinaria disciplina del lavoro subordinato ovvero della collaborazione coordinata e continuativa nel caso in cui non si configuri subordinazione gerarchica (conformemente a quanto previsto dall’articolo 2 comma 1 del D.Lgs. n. 81/2015).

4)      La salute dei praticanti l’attività sportiva. Il mondo sportivo è ancora in attesa di chiarimenti rispetto al tema dei defibrillatori (come possono essere gestiti in attività movimento? Quali sono gli sport che non richiedono la presenza di defibrillatori atteso che l’articolo 5 del Decreto del Ministero della Salute 24/04/2013 esonera non solo gli sport espressamente indicati ma anche “quelli assimilabili”? La presenza di  operatori formati al relativo utilizzo può essere assicurata dal gestore dell’impianto o deve in ogni caso essere garantita dall’associazione o società sportiva che in quel momento utilizza l’impianto?) mentre rispetto al tema del certificato medico, a seguito delle indicazioni che il CONI ha offerto a Federazioni, Discipline associate ed Enti di promozione sportiva con la Circolare del 10 giugno, sarebbe opportuno un chiarimento in merito alla definizione di discipline “in cui l’impegno fisico sia evidentemente minimo” in quanto attività esonerate dalla richiesta del certificato medico. L’assenza di chiare indicazioni potrebbe infatti esporre gli Enti al rischio di contenzioso.

Appare in ogni caso incoerente la disparità di trattamento che a fronte del medesimo bene oggetto di tutela - la salute dei praticanti attività sportive - non preveda gli stessi strumenti di tutela in termini di accertamenti e certificazione medica esonerando gli operatori sportivi non riconosciuti dal CONI dall’acquisizione del certificato medico. Si ricorda infatti che l’articolo 2 del Decreto ministeriale 24/04/2013 relativo all’attività ludico motoria (ossia l’attività praticata da soggetti non tesserati ad organismi riconosciuti dal CONI e finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico-fisico della persona) prevedeva l’obbligo di richiedere il certificato medico anche in questi contesti, fatta eccezione per alcune discipline. L’abrogazione della norma, prevista dall’art. 42-bis, comma 1, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, ha quindi determinato che a fronte della medesima disciplina e del medesimo impegno fisico, l’attività svolta all’esterno delle organizzazioni riconosciute dal CONI sia esonerata dall’acquisizione del certificato medico.

Si segnala infine che la bozza di Decreto del Ministero della salute relativo ai Livelli essenziali di assistenza prevede che il Servizio sanitario nazionale garantisca “la certificazione di idoneità allo svolgimento di attività sportive non agonistiche di cui al decreto del Ministro della sanità del 24 aprile 2013 e successive modifiche e integrazioni, articolo 3, lett. a) e c) nell’ambito scolastico, a seguito di specifica richiesta dell’autorità scolastica competente” e non più anche le “certificazioni di idoneità di minori e disabili alla pratica sportiva agonistica nelle società dilettantistiche”, come previsto attualmente dall’allegato 2 A al DPCM 29/11/2001. L’eventuale approvazione del Decreto in questi termini determinerebbe nuovi oneri economici in capo alle famiglie rispetto alla certificazione medica richiesta per le attività agonistiche svolte da minori e disabili.

5)      La sicurezza dei praticanti l’attività sportiva e la qualificazione degli operatori. E’ essenziale garantire che istruttori, allenatori e tecnici di discipline sportive siano qualificati per tutelare la sicurezza dei praticanti le attività sportive ma non dovrebbero essere accolte proposte di Legge tese ad istituire albi o registri e a creare monopoli o oligopoli nelle attività formative, coerentemente con gli indirizzi espressi dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Si ricorda in particolare la Segnalazione dell’Autorità garante del 30.10.2003 relativa ad alcuni progetti di legge per la regolazione dell’attività di insegnamento nel settore dello sport che prevedevano “la creazione di albi ed elenchi nazionali e regionali, a volte articolati per categorie di specialità, ai quali gli operatori devono iscriversi per poter esercitare” così come “la presenza di previsioni tali da determinare, in via indiretta, una fissazione delle tariffe degli operatori”.

L’Autorità garante della concorrenza nella Segnalazione in esame ha affermato che tali previsioni dovevano considerarsi in contrasto con i principi espressi dalla Legge 287/1990 perché introducevano limitazioni della concorrenza. “L’Autorità reputa (infatti) che nella emananda legislazione statale sia da eliminare qualsiasi previsione in merito alla istituzione di albi nazionali o regionali a favore dei cui iscritti sia stabilita una riserva di attività. La normativa statale di settore dovrebbe, invece, offrire una cornice omogenea alla regolamentazione che va delineandosi attraverso la legislazione regionale concorrente, in modo da consentire alle imprese e agli operatori professionali di esercitare la propria attività in qualsiasi Regione, senza dovere sopportare i costi informativi e organizzativi che derivano dalla necessità di conformarsi a normative diverse”.

Progetti di legge – come quelli di riforma della Legge 2/1/1989 n.6 relativa alla professione di guida alpina (pdl 3233, 3011 e 3847) - tesi ad introdurre nuove figure professionali quali la guida escursionistica di montagna, il maestro di arrampicata, la guida vulcanologica, la guida canyoning la cui attività sia subordinata all’iscrizione in albi o elenchi speciali tenuti dai collegi regionali delle guide alpine, appare pertanto in palese contrasto rispetto a quanto precedentemente evidenziato.

6)      Lo sport e gli impianti sportivi. Dal Censimento pilota del CONI relativo agli impianti sportivi pubblici e privati (ivi incluse le strutture sportive in plessi scolastici, oratori, di natura turistico-alberghiera e militare quando utilizzate anche da esterni), delle Regioni Calabria, Friuli Venezia Giulia, Molise e Toscana, i cui dati sono stati presentati ad aprile 2016, sono emersi i seguenti elementi:

-        gli impianti sportivi realizzati dopo il 2000 rappresentano solo il 30% in Calabria, il 13% in Friuli Venezia Giulia, il 20% in Molise ed il 22% in Toscana. Quanto meno nelle Regioni interessati dal Censimento si evidenzia pertanto la presenza preponderante di impianti sportivi che presumibilmente richiederanno interventi di ammodernamento e messa e norma;

-        in tutte le Regioni sono presenti impianti sportivi non utilizzati (la percentuale si aggira intorno al 5-6% del totale) e tra le cause la principale è il non funzionamento dovuto allo stato di conservazione non sufficiente;

-        gli impianti pubblici rappresentano il 71,75% del totale degli impianti rilevati nel 2015 nelle Regioni interessate dal Censimento.

In questo contesto è necessario chiederci come possano essere valorizzati gli impianti sportivi pubblici alla luce dei vincoli introdotti dal nuovo Codice degli appalti che difficilmente possono garantire l’equilibrio economico-finanziario in capo al gestore.

Negli affidamenti in concessione di costruzione e gestione o di sola gestione, si prevede infatti che sia possibile contemplare un contributo pubblico, ma tale contributo, “sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione” non potrà in ogni caso essere superiore al 30% del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di oneri finanziari per garantire l’equilibrio economico-finanziario in capo al gestore.

Appare evidente che un tetto così basso disincentiverà forme di partenariato pubblico privato nella gestione degli impianti, soprattutto quando l’organizzazione sportiva debba effettuare interventi di miglioria dell’impianto mediante la realizzazione di opere, valendo, quel tetto del 30%, sia con riferimento ai contributi a copertura dei costi operativi del servizio che con riferimento ai costi di realizzazione delle opere. Sarebbe pertanto necessario intervenire in materia.

7)      Incertezza normativa e contenzioso. La normativa che interessa le associazioni e società sportive dilettantistiche presenta ancora molti dubbi interpretativi che a loro volta generano contenziosi: si rendono pertanto necessari interventi di interpretazione autentica. Accanto al citato tema della qualificazione delle collaborazioni sportive, si segnalano in particolare i seguenti aspetti:

a)       Collaborazioni sportive e ritenute da operare. L’articolo 25 della Legge 133/1999 prevede che

“Sulla parte imponibile dei redditi di cui all'articolo 81, comma 1, lettera m), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, in materia di redditi diversi, le società e gli enti eroganti operano, con obbligo di rivalsa, una ritenuta nella misura fissata per il primo scaglione di reddito dall'articolo 11 dello stesso testo unico, e successive modificazioni, concernente determinazione dell'imposta, maggiorata delle addizionali di compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche”.

L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n.106/2012, ha affermato che le ritenute da applicare siano anche quelle di compartecipazione previste da Regione, Province e Comuni che vengono quantificate in maniera progressiva in ragione del reddito complessivo annuo del percipiente. Tale interpretazione impone al sodalizio sportivo di quantificare le ritenute da operare senza avere materialmente la possibilità di verificare la correttezza dei conteggi, non essendo contemplato l’istituto dei conguagli nell’erogazione di compensi sportivi e trattandosi di addizionali che devono essere versate necessariamente dal committente con obbligo di rivalsa. Si auspica pertanto un intervento di chiarimento in materia.

b)       Regime 398. Come è noto le associazioni e società sportive dilettantistiche possono optare per questo regime di semplificazione contabile e forfetizzazione delle imposte quando non superano il plafond di 250.000 euro da introiti di natura commerciale. Si segnalano i seguenti aspetti in relazione ai quali non c’è uniformità interpretativa:

-         non è chiaro se i corrispettivi percepiti nello svolgimento convenzionato con Pubbliche Amministrazioni di servizi inerenti le finalità istituzionali, di cui all’articolo 143 del TUIR, debbano o meno essere computati nel plafond della Legge 398;

-         non è inoltre chiaro se nei computi si debba prendere in considerazione il criterio di cassa o di competenza;

-         non è chiaro se il regime di cui alla Legge 398 trovi applicazione a tutti gli introiti di natura commerciale – come chiaramente disposto dall’articolo 2, comma 5, della Legge 398, oppure la forfetizzazione delle imposte trovi applicazione con esclusivo riferimento alle attività commerciali connesse ai fini istituzionali (es: sponsorizzazione, vendita materiale sportivo), dovendosi viceversa applicare il regime ordinario per le diverse attività commerciali (es: ristorazione), come affermato dall’Agenzia delle Entrate del Piemonte nella Guida “Associazioni Sportive Dilettantistiche:come fare per non sbagliare”.

c)       Sponsorizzazioni: nonostante l’articolo 90 della Legge 289/2002 abbia espressamente qualificato come spese di pubblicità i costi sostenuti per sponsorizzare associazioni e società sportive dilettantistiche, introducendo una presunzione ex lege come confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n.21/E del 22 aprile 2003, si segnalano orientamenti della Cassazione tesi ad escludere la detraibilità del costo come spesa di pubblicità con riferimento ai contratti che non vedono nello sponsor un produttore di beni di largo consumo o quando non sia possibile dimostrare il beneficio economico in capo allo sponsor;

d)       Necessità di garantire equiparazione tra il trattamento fiscale di associazioni e società sportive dilettantistiche e Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva. L’articolo 90 della Legge 289/2002 con riferimento a singole imposte (es: concessione governativa e imposta di bollo) così come con riferimento alle collaborazioni rese da dipendenti pubblici, interviene prevedendo regimi differenti a seconda che il beneficiario sia una associazione ovvero una Federazione/Ente di promozione sportiva nonostante identità di finalità e omogeneità di vincoli gestionali. Tale disomogeneità crea confusione negli operatori e rischio di contenzioso.

 

 

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