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Rete FARE: basta razzismo nel calcio italiano

Il Consiglio della Federcalcio ha approvato un giro di vite su striscioni e buu razzisti. Un video della Rete Fare-Football Against Racism in Europe

Qualcosa si muove: il Consiglio della Federcalcio ha approvato un giro di vite su striscioni e buu razzisti. Da oggi in poi ci saranno due richiami e non tre: al primo le squadre verranno radunate al centro del campo e al secondo saranno spedite negli spogliatoi. Le parole di Ancelotti dopo gli ululati contro Koulibaly hanno fatto il giro del mondo e sono diventate oggetto di un videomessaggio semplice e chiaro della Rete Fare-Football Against Racism in Europe, della quale fa parte anche l’Uisp. Obiettivo: una campagna di sensibilizzazione e denuncia del razzismo nel calcio italiano e per dire che i limiti della tolleranza sono stati abbondantemente superati.  

Una risposta alle sollecitazioni e forse anche alla nostra campagna. Un primo passo che non basterà ma può essere utile. Come ha commentato Damiano Tommasi dell'Assocalciatori, si tratta di niente di più che dell'applicazione di norme FIFA e UEFA che vengono fatte rispettare in tutto il mondo. Carlo Balestri, responsabile Politiche internazionali, interculturalità e cooperazione Uisp ha detto: "La decisione della FIGC è una risposta all'emergenza, che comunque va nella direzione giusta. Il video della rete FARE è un monito a quanto sta accadendo nel mondo del tifo in Italia. Tiene conto di un forte interesse europeo su quanto sta accadendo in merito alle problematiche del razzismo negli stadi nel nostro paese. E' un interesse vero e sincero. Come Uisp in Italia da sempre cerchiamo, attraverso iniziative e progetti nazionali e capillari nei territori, di diffonderlo e di fare sì che questo interesse si radichi anche nelle istituzioni sportive italiane per riuscire a contrastare in maniera efficace, non solo con la comunicazione, questo problema". 

Quello che sta accadendo, come si denuncia nel breve video, è che gli episodi si verificano con sempre maggiore frequenza e che a furia di sottovalutarne il grado di offesa, di ferita che provocano sulle persone in carne e ossa quali sono le giocatrici e i giocatori che ne sono vittime, si finisce per abituarsi considerando tutto come qualcosa che sta nella normalità delle cose. Ma così non può e non deve essere. Era grave prima e diventa sempre più grave oggi. Il clima politico e l'atteggiamento di molta parte dell'opinione pubblica, favorisce questo allucinante "dagli al negro!". Risuonano nella mia mente le parole di Lidia Menapace quando nel documentario "Le ragazze del '43 e la bicicletta" dice che ciò che ha imparato dagli anni del regime fascista, è che "al primo episodio, alla prima occasione che ci pare inaccettabile, bisogna reagire e farlo subito". Altrettanto le parole della senatrice Liliana Segre quando esprime sgomento per quello che vede oggi in Italia: "Io che sono stata vittima dell'odio dell'Italia fascista sento che, dopo anni, sta ricrescendo una marea di razzismo e di intolleranza che va fermata in ogni modo". 

La senatrice Segre ci dice che il primo pericolo è l'indifferenza. Perciò credo che denunciare il pericolo rappresentato da questa china terribile negli stadi, come sul bus o nelle strade, non è un'esagerazione ma un monito a non sottovalutare l'indifferenza che sta prendendo piede. Dovremmo invece considerare tutta la sua portata e i suoi rischi. Pena il peso di una complicità che sarebbe insopportabile. Solo così, rendendoci conto del livello di sdoganamento quotidiano, possiamo reagire e fare sentire la voce di chi tutto questo non solo non lo condivide ma lo combatte con determinazione. In tutte le condizioni e situazioni che ci capitano nella vita di tutti i giorni. Lo sport è sinonimo di inclusione e accoglienza, è valorizzazione del ruolo di ognuno, soprattutto nei giochi di squadra. La prova di questo sta nell'esperienza quotidiana nelle scuole e nello sport di base che vede giocare insieme bambine e bambini, ragazze e ragazzi, di ogni colore. Un esercizio quotidiano di diplomazia popolare che crea il contatto, la conoscenza, la curiosità dell'altro e non il respingimento e tanto meno l'odio.

Ma gli episodi di razzismo si stanno diffondendo ovunque, non si verificano solo nella Serie A ma pure nella B fino ai campionati di categoria amatoriale, quelli dei campetti. Capita che dal pubblico, purtroppo tra questi spesso i genitori dei bambini e ragazzi in campo (com'è capitato pochi giorni fa alla squadra di Basket di Carpenedolo) arrivino insulti, incitazioni all'odio. Offese che segnano una bambina o un ragazzo per sempre. Capita perfino che a esprimere abusi razzisti siano addirittura arbitri. Proprio coloro che dovrebbero rappresentare il rispetto delle regole, l'argine a violenza e razzismo e capacità di intervento per interrompere una partita stabilendo che in un clima razzista non si può e non si deve giocare. Punto e basta. Le regole ci sono, vanno applicate. Giocatori, allenatori, tifosi, commentatori, arbitri dovrebbero tutti insieme fermare questa deriva alle prime avvisaglie. Alcune esperienze di questi giorni ci raccontano di un arbitro, di un allenatore, di giocatori e intere squadre che abbandonano il campo pur consapevoli di andare incontro alla sconfitta a tavolino. Questi atti ci dicono che se si vuole si può reagire. Fino a quando non lo faremo tutte e tutti, in ogni dove, la china può essere terribile e senza ritorno e non potremo dire di non essere stati indifferenti. Saremo responsabili per non avere fatto quello che avremmo potuto fare. Il segnale da parte della FIGC di irrigidimento dei provvedimenti per combattere il razzismo nel mondo del calcio è una decisione che non basterà ad arginare il fenomeno, alla quale devono seguire altre azioni più nette che non lascino spazio a scusanti per nessuno. (di Raffaella Chiodo Karpinsky)

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