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Milano

Sport in carcere per la formazione e il reinserimento sociale

Una tesi di laurea sull'impegno Uisp per portare l'attività motoria in carcere, rivolto in particolare ai giovani che hanno vissuto l'esperienza detentiva

Lo sport diventa sempre più uno strumento per interpretare meglio il mondo, se stessi, la nostra società, ed anche l’educazione e la formazione dei giovani ha recepito l’importanza dell’attività motoria nella crescita degli individuie nel loro inserimento all’interno della società. In particolare per i quei giovani che hanno vissuto esperienze di detenzione la pratica di uno sport può rappresentare un’occasione di formazione e re-inserimento in un contesto sociale. È dagli anni ottanta che l’Uisp ha strutturato il suo intervento negli istituti penitenziari e carceri minorili, attraverso corsi e l’organizzazione di manifestazioni sportive, proprio per provare ad influire, attraverso lo sport, nel percorso di reinserimento nella società delle persone detenute.  Su questo lungo percorso e sull’esperienza accumulata dall’Uisp nell’ambito dei progetti di sport in carcere Adriano Maniscalco, studente di Scienze pedagogiche e dell’educazionepresso l’Università degli studi di Genova ha recentemente scritto la sua tesi di laurea, dal titolo “Lo sport come risorsa di promozione della legalità e prevenzione della devianza”.

“Educare non significa ammaestrare, addomesticare, ma promuovere i valori di autentica umanità – scrive nel suo testo Maniscalco - Per quanto riguarda lo sport, la sua valenza positiva non riguarda tanto la pratica di una precisa disciplina agonistica ma il contesto morale di senso e l'elaborazione di significati personali che la accompagnano. Quello che veramente conta è la qualità profonda dell'esperienza, l’arricchimento e la conoscenza che ne deriva. L'eccellenza in una particolare disciplina non significa affatto possedere una maggiore virtù morale. L'attività sportiva influisce su due caratteristiche molto importanti: la capacità di autoregolarsi e la libertà, la persona è libera quando si autodetermina nel perseguimento di uno scopo. Inoltre, lo sport può essere un utilissimo strumento per educare alla condivisione e alla cooperazione: nella vita si possono commettere gravi errori e incappare nella giustizia, attraverso lo sport ogni ragazzo ha la possibilità di esercitare la libertà con gli altri in vista di uno scopo perseguito nel rispetto delle regole e del gioco”.

Tra le buone pratiche Uisp che vengono citate nella tesi di Adriano Maniscalco c’è il progetto “Le porte aperte”, che nasce negli anni novanta ed ha coinvolto venti città italiane tra Istituti penali minorili e l’area penale esterna. Si parla poi di “Ragazzi fuori”, che ha raggiunto sei città proponendo attività educative sul campo rivolte a ragazzi dai 14 ai 21 anni. Ultimo in ordine cronologico è il progetto nazionale “Terzo tempo”, che si è concluso nel 2015 ed ha avuto come destinatari minori a rischio e detenuti. Il progetto è stato finanziato da Fondazione con il sud, Enel e ministero della Giustizia e dipartimento minorile. L’intervento ha coinvolto cinque regioni ed oltre alle attività ludico sportive per i ragazzi, ha realizzato anche lavori infrastrutturali negli I.P.M. e in due centri socio-educativi per minori.

“Attraverso le interviste e i sondaggi sottoposti ai ragazzi che hanno partecipato alle attività, si è scoperto che i progetti sono stati fortemente apprezzati – scrive ancora Maniscalco – i ragazzi hanno gradito la dimensione nuova e giocosa delle attività, senza rendersi conto che attraverso il gioco imparavano. Progetti come questi danno una possibilità di cambiamento attraverso il divertimento e l’adesione ad un sistema di regole. Aiutano ad affrontare con coraggio il futuro del giovane adulto, con la voglia di ricominciare, lasciandosi alle spalle le situazioni di avversità e scelte diseducanti”. (A cura di Elena Fiorani)

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