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Brasile: sport-business troppo lontano dalla gente

Carlo Balestri, Uisp, interviene sull'Unita: il modello imposto da Fifa e Cio è al capolinea. Guardate i Mondiali Antirazzisti

"Il Brasile ci ha svegliati: basta con il maxisport lontano dalla gente": Carlo Balestri, ideatore e organizzatore dei Mondiali Antirazzisti Uisp, interviene sull'Unità di domenica 23 giugno con questo articolo:

Non si può organizzare un evento sportivo che tagli fuori la popolazione. Quanto sta succedendo in Brasile conferma questa regola. La Confederations Cup è in pieno svolgimento e nelle intenzioni degli organizzatori c'era la volontà di sfruttare questo momento di speciale visibilità internazionale. Però è successo qualcosa di imprevisto: una contestazione apparentemente esplosa su rivendicazioni locali si è trasformata in contestazione globale. Contro le diseguaglianze, contro il business fine a se stesso. E lo sport, negli ultimi vent'anni, è diventato esattamente questo: manca la bussola di riferimento, tutto è in mano ai potentati economici. Le regole di Fifa e Cio per l'assegnazione dei grandi eventi globali si disinteressano del contesto sociale e guardano al potenziale di visibilità offerto dai mass media e dalla possibilità di offrire popolarità alla classe dirigente locale. Soprattutto se il luogo dove ciò si materializza è un paese in via di sviluppo o emergente come nel caso dell'ultima edizione della Coppa del Mondo in Sud Africa e la prossima in Brasile.

La variabile contestazion emette in discussione una delle regole auree dello show business sportivo, ovvero: tenere lontano lo sport dalla gente. Gli effetti sociali collaterali dei grandi eventi sportivi, messi in luce dalle organizzazioni della società civile ad Atene, dove le Olimpiadi del 2004 coincisero conl'inizio della crisi, come a Londra nel 2012, riguardano la discutibile costruzione di infrastrutture spesso finalizzate ad ospitare gli eventi stessi e poi non più sfruttate per il bene delle popolazioni locali. Non solo, queste opere, spesso faraoniche, imposte da Fifa e Cio per aggiudicarsi questo tipo di maxieventi, devastano l'ambiente e risuonano come simbolo di opulenza di fronte all'attuale disagio sociale. L'unico recente esempio positivo è stato quello dei Mondiali di calcio del 2006 in Germania, perchè nella costruzione dei nuovi stadi si sono create delle ottime sinergie tra pubblico e privato e sono sorti dei comitati di gestione dal basso, col coinvolgimento del pubblico, delle tifoserie e delle associazioni.

Ma lo sport non dovrebbe essere sinonimo di benessere, di festa e di giustizia sociale per tutti? La Fifa e il Cio hanno la responsabilità di fermarsi e riflettere sul futuro, questo modello in Brasile è arrivato al capolinea. Qualche idea? Provare a sperimentare modelli partecipativi, con organizzazioni sociali che rappresentano i cittadini del territorio e ispirati a valori di cogestione, di integrazione, sussidiarietà sportiva tra pubblico e privato. Un esempio? I Mondiali Antirazzisti organizzati dall'Uisp che si svolgeranno a Castelfranco Emilia, Modena, dal 3 al 7luglio. Seimila partecipanti dall'Italia e dal mondo, 212 squadre, 600 partite no stop distribuite su 14 campi di calcio. Lo sport restituito alla sua dimensione di festa diventa socialità, divertimento e veicolo di conoscenza reciproca. Perché dovrebbe essere qualcos'altro?

 

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