Nazionale

Comunicazione e sport: un articolo di Valerio Piccioni

La lingua di uno sport cittadino del mondo: da "cosa" a "come" comunicare
Valerio Piccioni, giornalista sportivo, ha scritto un interessante articolo su sport e comunicazione in occasione dell'8° Convegno nazionale annuale dell'UNASCI (Unione nazionale associazioni sportive centenarie d'Italia), di cui recentemente sono stati pubblicati gli atti. "Da 'cosa' a 'come' comunicare: la lingua di uno sport cittadino del mondo", questo il titolo dell'intervento di cui riportiamo una breve sinossi. Per leggere la versione integrale dell'articolo clicca qui

Ma che cos’è la lingua dello sport, in quali mondi vive, quali mondi spiega? Generalmente lo sport ha sofferto in diversi circoli intellettuali una sorta di storico complesso di inferiorità, come un esilio permanente in una serie B della cultura e delle arti espressive. Ecco, arte. E’ la parola rifugio: lo sport come espressione artistica, importato dalla civiltà greca e resuscitato con le Olimpiadi e l’invenzione degli sport moderni, dal discobolo di Milone ai fonemi nel pallone di Pasolini. In fondo, anche grandissimi artisti si sono immersi nello sport: i pugni di Hemingway e Jack London, le biciclette dei futuristi, i Toro Scatenato del cinema. Ma oggi lo sport è qualcosa di più e di meno, come il suo stesso linguaggio. Non ci interessa l’isola, felice o infelice, il momento, l’essere , rispetto al resto del mondo, della vita, delle cose. Al contrario, lo sport è mondo, è vita, anzi, è un perfetto mondo per spiegarla. Lo sport diventa così più storia, geografia, economia, e meno storia dell’arte. Pensate a che cosa significherebbe portare tutto questo, un po’ lo si fa già, a scuola. Come si potrebbe studiare il mondo attraverso la storia dello sport. Pensate se si studiasse la lotta al razzismo passando per Jesse Owens, Moahmed Ali, Tommie Smith o gli stadi di oggi. O la storia della frantumazione della Jugoslavia anticipata dai drammatici incidenti di Dinamo-Stella Rossa.

Vorrei chiudere con un’altra storia, che mi sembra in questo contesto, esemplare. Ho avuto modo di confrontarmi con questa storia in posizioni diverse, quella di giornalista, di appassionato, di cittadino del mondo, di frequentatore della rete. E’ capitato un giorno di agosto. Ero appena tornato dalle Olimpiadi di Londra e girovagando su Internet, sono stato colpito dallo sguardo di una ragazza. Aveva gli occhi dolci e tristi, indossava una maglietta bianca e celeste e portava una fascia tergisudore bianca in testa, che le dava una struggente eleganza. Questa ragazza aveva, purtroppo bisogna usare l’imperfetto, corso alle Olimpiadi di Pechino, dov’era arrivata partendo da Mogadiscio, Somalia, casa sua. Voleva tornarci, alle Olimpiadi. Però tornarci in un altro modo, con un tecnico alle spalle, magari trovando una pista dove allenarsi, raggiungendo la sorella in Finlandia o fermandosi, chissà, da noi in Italia. E a casa sua tutto questo era impossibile per tutta la violenza che c’era. Prese la decisione che in quel contesto, prenderebbe chiunque: andò via, anzi no, fuggì, scappò. Prima il deserto, poi il mare, il mare Mediterraneo, il mare che l’ha inghiottita, lei, i suoi 21 anni, i suoi sogni di andare a Londra dopo Pechino.

Si chiamava Samia Yusuf Omar questa ragazza. E’ una delle vittime dei barconi della morte. Attraverso i suoi 200 metri, abbiamo potuto riflettere su qualcosa che rimuoviamo, che non vogliamo vedere, su quell’umanità che non ce la facciamo ad accogliere, spesso neanche con l’animo. La lingua dello sport allora non è soltanto fatta del gigioneggiare superbo di Usain Bolt, ma di questo sguardo. Che è già diventato una corsa podistica, domani sarà film o romanzo, può essere. Ecco perché la parola sport merita tante pagine di vocabolario, perché ha tante storie da raccontare. Sommerse, nascoste, belle e tragiche.

 NOTIZIE DA UISP NAZIONALE
UISPRESS

PAGINE UISP

AVVISO CONTRIBUTI ASD/SSD

BILANCIO SOCIALE UISP

FOTO

bozza_foto

VIDEO

bozza_ video

Podcast

SELEZIONE STAMPA

BIBLIOTECA UISP