Nazionale

Rugby, lo sport del momento: non vince ma spopola

Una disciplina sempre più di successo, grazie ai valori che trasmette e al grande movimento di base. Articolo di M. Curatolo
Il mondo ovale italiano è sotto esame. Alcune delle personalità più importanti del rugby nostrano sono infatti impegnate a dare una lettura complessiva della debacle della nazionale italiana nel 6 Nazioni appena concluso e dei limiti strutturali del sistema federale. Ne emerge un’analisi dura, a tratti spietata, che si domanda, come nell’articolo de “La Gazzetta dello Sport” di Simone Battaggia e Andrea Buongiovanni del 20 marzo, se addirittura gli ultimi 15 anni di movimento ovale debbano considerarsi buttati.
Nel mirino delle critiche è finito l’intero sistema federale, i cui limiti strutturali sono innegabili. Negli ultimi anni è mancato un significativo sostegno alla base, si è invece preferito investire in un sistema di accademie che costa ogni anno milioni di euro. È mancata inoltre una cultura educativa seria: a partire dal rugby giovanile gli insegnamenti sono stati finalizzati più alla costruzione del fisico che sull’acquisizione dei valori, degli aspetti educativi e tecnici del nostro sport. Si è preferito investire le risorse nella creazione del “rugby evento”, tralasciando quello di tutti i giorni. Tuttavia, anche senza l’aiuto della FIR, il rugby di base ha continuato a crescere e non è un caso che sempre Battaggia e Buongiovanni si domandino come è possibile che a quasi quindici anni di distanza i risultati della nazionale siano gli stessi a fronte di 45 milioni di euro l’anno di bilancio e un numero di tesserati quasi triplicato.
È altrettanto lecito domandarsi come sia possibile che nonostante l’ennesimo “cucchiaio di legno” degli azzurri, la palla ovale continui a veder crescere il numero di chi la segue appassionatamente.

Per rispondere a questa domanda bisogna abbandonare la prospettiva della nazionale e delle accademie e riportare l’attenzione sulle associazioni di base, sulle attività di minirugby, sul rugby amatoriale, che allargano il bacino ovale italiano. È a quel livello che risiedono i valori sportivi e umani che questo sport autentico riesce a conservare. Le persone oggi hanno voglia di avvicinarsi a quel rugby, perché è uno sport diverso, con un’etica d’altri tempi e un ambiente positivo. Sono affascinate dal grande rispetto espresso in campo, per i compagni di squadra, per l’avversario e per l’arbitro, dall’esperienza del terzo tempo. Questi valori rappresentano la capacità attrattiva del rugby e il sistema crescerà quando saprà investire su di essi.
Il rugby Uisp è nato con l’intento di riportare questi valori alla base, con la convinzione che c'è un solo investimento per lo sport, ed è quello per il movimento di base, per lo sviluppo dal basso di scuole di mini rugby, per la costruzione di impianti di prossimità. Si investe in uno sport quando si garantisce il più ampio accesso di tutti, riuscendo per esempio a intercettare quelle categorie solitamente marginalizzate, come gli adolescenti o gli universitari che si avvicinano al rugby (i più colpiti dal fenomeno del drop-out sportivo) che non trovano spazio nel sistema federale.
Aver creato il primo circuito di rugby amatoriale si inserisce senz’altro in questa visione più ampia, aver dato la possibilità a ragazzi ventenni di avvicinarsi a questo sport, o a società autogestite e autofinanziate di poter disputare campionati più economici. O ancora permettere ad atleti più maturi di continuare a giocare e a godere di questo sport e a nuove associazioni di nascere, portando il rugby dove prima non esisteva, con coraggio e tanto lavoro.
Così come aver collaborato con le associazioni sportive del territorio e con l’assessorato, come a Milano, dove negli ultimi due anni sono stati inaugurati i primi pali da rugby pubblici (il 12 aprile 2014 ne verrà inaugurata un’altra coppia) all’interno di un parco della città: quando in Italia vedremo i bambini giocare a rugby nei parchi, come oggi giocano a calcio, allora e solo allora potremo immaginare di avere anche una nazionale competitiva.
La vera sfida del rugby italiano non può risiedere solamente nella costruzione di giocatori da mandare in nazionale, nell’emulazione dell’alto livello delle federazioni straniere, o sul numero di risultati positivi nel 6 Nazioni, ma sull’allargamento della base, per una diffusione più autentica, principalmente sociale e culturale, della pratica sportiva ovale.
La speranza è che tutti gli attori del mondo ovale lavorino per questo risultato. Perché o lo sport è per tutti, oppure non è! (di Mico Curatolo, Coordinatore rugby Uisp)

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