Nazionale

Con i Mondiali antirazzisti un calcio all'intolleranza

Su La gazzetta dello sport intervista a Carlo Balestri, ideatore dell'iniziativa che ha vinto il premio Sport e integrazione del Coni

I primi tre punti del torneo di calcio non si conquistano sul campo, ma dimostrando quello che si è fatto (concretamente) durante l'anno in tema di integrazione, anti-razzismo, lotta a qualsiasi tipo di discriminazione. Carlo Balestri il responsabile del Mondiale Antirazzisti, ma "detentore" anche di altri incarichi all'interno dell'Uisp sugli stessi temi, quando racconta come è nato tutto questo sorride e ripensa al lavoro fatto in questi anni. "Il prossimo sarà il ventesimo: tutto è nato dal progetto Ultrà. Quando le tifoserie si scontravano quasi ogni domenica negli stadi italiani. La prima idea era quella di mettere assieme un po' di tifosi di calcio, "nemici fra loro" e farli giocare assieme disinnescando qualsiasi tipo di violenza".

MIGRANTI Le cose da allora sono molto cambiate e anche i problemi sociali dell'Italia (e dell'Europa) sono differenti rispetto a quell'epoca. "Tante sono le differenze - continua Balestri - diciamo che adesso ci concentriamo su qualsiasi tipo di discriminazione, ci concentriamo sulla lotta per i diritti. Resta lo sport alla base della nostra idea di partenza". Come mai proprio la pratica sportiva, i tornei? "E' facile: in un campo di calcio, basket, pallavolo, rugby o tchouck ball (una disciplina introdotta di recente, un incrocio fra pallamano e pallavolo, dove è totalmente assente il contatto fisico) cadono tutti i pregiudizi e le barriere. Vince il linguaggio del corpo e l'avversario non viene più visto come un nemico. Infatti ci sono squadre di qualsiasi tipo: dagli ultras, agli immigrati, dalle parrocchie, alle associazioni come Emergency. Nelle nostre partite e nei nostri tornei (che da quattro anni si sono trasferiti a Bosco Albergati, una località fra Modena e Bologna) non c'è neppure l'arbitro. Le squadre sono rigorosamente miste (uomini e donne assieme) e tutti gli incontri prevedono un rituale preciso prima delle gare, fin dalla consegna dei ricordi. Poi, grazie alle esperienze che abbiamo avuto in passato, abbiamo anche deciso che dai quarti fino alla finale (quest'anno avevamo iscritte, solo nel calcio, 160 squadre) non si gioca la partita, ma direttamente si tirano i calci di rigore, questo per evitare tensioni o un'animosità troppo elevata".

INCONTRI Del progetto originale sono rimaste alcune iniziative come i "i bar gestiti in comunione da tifosi di squadre diverse. O i tifosi di basket che si autogestiscono il torneo in autonomia", aggiunge ancora Balestri. Senza scordare che la parte del gioco è solo un aspetto del Mondiale visto che ogni giornata prevede una serie di incontri, dibattiti, discussioni. "Quest'anno si parlava del futuro del calcio, sono intervenuti Ulivieri, Tommasi, Marani. Perché appunto il Mondiale Antirazzista diventa anche una occasione di incontro e di confronto. Ma anche di aggregazione fra persone che hanno anche origini molto diverse: la sera - ad esempio - il paesaggio cambia e le partite dei vari sport - continua Balestri - lasciano spazio ai concerti. Con il sabato che diventa sempre il momento clou della manifestazione".

2016 Una macchina organizzativa complessa per la portata dell'evento (molti dei partecipanti si fermano e campeggiano nelle aree circostanti finendo per creare un gigantesco villaggio con finalità sportive). "Per il 2016 vorremmo guardare all'integrazione, ai migranti. A Bologna c'è l'esperienza importante in tal senso di Don Nicolini. Ecco l'anno prossimo vorremmo raccogliere i vari Don Nicolini che lavorano in diversi Paesi d'Europa. Sappiamo che ce ne sono tanti e qualche nome lo stiamo già contattando". L'integrazione è sempre in marcia... (Fonte: la Gazzetta dello sport, di Gian Luca Pasini e Daniele Redaelli)

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