Nazionale

Grazie ragazze: donne di sport, diritti, rispetto

Sport e identità nazionale: abbiamo intervistato il sociologo Nicola Porro sulla vittoria delle azzurre nella 4x400 e sui riflessi nel dibattito sul tema migrazione

 

L’inclusione vince sempre e lo sport ne é portabandiera, l’oro italiano nella staffetta 4x400 ai Giochi del #Mediterraneo fa aprire gli occhi a tutti. Le protagoniste sono Ayomide Folorunso, di origini nigeriane, Libania Grenot, di origini cubane, Mariabenidicta Chigbolu nata a Roma da genitori nigeriani, Raphaela Lukudo, nata ad Aversa in provincia di Caserta, di origini sudanesi. Impariamo a chiamarle con il loro nome, non sforziamoci a cercare troppi aggettivi e proviamo a fare di questa realtá una cosa normale, perché il populismo dell’odio non sia il futuro.

Sport, identità nazionale, migrazioni: che ne pensa Nicola Porro, sociologo dello sport?:

“Indipendentemente da età e provenienze, si tratta di donne che la cittadinanza se la sono presa attraversa lo sport. Danno un segnale in controtendenza alla criminalizzazione dell’altro e alle discriminazioni: questa è la rappresentazione simbolica di come l’inclusione può essere produttiva di identità, partendo dall’ambito sportivo. Anche i Paesi che non avevano tradizioni coloniali, come la Germania, da molti anni hanno messo in atto politiche inclusive, partendo dallo sport.  Le ragazze azzurre hanno avuto il merito di rafforzare un messaggio importante”.

Sono passati esattamente 20 anni dai Mondiali in Francia, ci sono analogie? 

“Il contenzioso politico è sempre più aspro e quella delle migrazioni è una tematica divisiva tra le democrazie europee - risponde Porro -  Lo sport può avere un ruolo e un peso decisivo per superare stereotipi e pregiudizi nella mentalità delle persone. Anche chi pratica sport senza avere l’ambizione di ottenere successi planetari, istituisce attraverso di esso un ambiente felice e spontaneo. Come avviene tra i bambini che costruiscono relazioni libere enaturali attraverso il gioco e lo sport. Dovremmo tornare a imparare da loro. Venti anni fa  la Francia riscriveva una nuova stagione dell’immigrazione, finita la stagione postcolonialista.

"L’immigrazione diventava un percorso di avvicinamento verso il bacino europeo. La nazionale francesce che vinse i Mondiali del 1998 era quella delle tre B  blue, blanche e beur, cioè il colore dei mulatti, tanto per capirci. Con giocatori di 11 diverse nazionalità di origine. In questi giorni abbiamo visto sui campi del Mondiale di Russia la nazionale danese, ad esempio, nella quale la quasi totalità dei giocatori era di colore e non aveva nulla a che fare con lo stereotipo scandivano. E pensare che la Danimarca non ha alcuna tradizione colonialista”.

Il fenomeno migratorio interroga la storia del nostro Paese: come è possibile liquidarla in maniera grossolana e superficiale?

“Non dimentichiamo che nel mondo ci sono circa 50 milioni di nostri connazionali che hanno in tasca anche il passaporto italiano, oltre a quello dei paesi che li ospitano. Questa migrazione, anche italiana, ha contribuito a formare l’identità di paesi come Stati Uniti e Argentina. In questi paesi i migranti italiani hanno importato alcune discipline sportive come il calcio. Il Boca Junior di Buenos Aires si chiama così perché in genovese il delta del fiume si chiama “boca”, cioè bocca. Lo sport e la migrazione rinforzano  l’identità e contribuiscono alla costruzione delle istituzioni sociali. Negli Stati Uniti abbiamo esportato atleti potenziali, che diventeranno eccellenze negli sport americani, come nel caso di Joe Di Maggio. Al punto che nacquero i cosiddetti italo-americani,  come ha scritto Richard Gems, che la campionistica sportiva aveva rafforzato nell’identità. Nasce un nuovo immaginario simbolico e oggi il termine italo-americano, peculiare dell’immigrazione italiana, ha completamente rovesciato lo stigma. Lo sport ha questa capacità di raccontare le tendenze sociali in corso”.

Oggi assistiamo a rigurgiti repressivi e propagandistici: che cosa può fare lo sport?

“Può favorire processi di integrazione tra comunità, per rafforzarle e per creare un ponte. Lo sport è un esempio perfetto: qual è il ponte degli italo americani? Quello delle specialità americane, dove primeggiano.  In Argentina viene esportato un modello, quello dell’associazionismo sportivo, legato a quartieri e città, anche piccole. Esempio: il papa tifa per San Lorenzo de Almagro, cioè il cosiddetto quartiere dei piemontesi a Buenos Aires. Lo sport può essere il terreno attraverso il quale far riflettere le persone. Occorre avere consapevolezza di quello che abbiamo fatto e di che cosa abbiamo dato agli altri per capire ciò che potremmo ricevere. Una delle cose più sconcertanti che ho ascoltato in questi giorni è Salvini che teorizza una immigrazione selettiva sulla base dei cromosomi degli atleti. Cioè: ben vangano i campioni, come le ragazze della 4 per 400. Gli altri rimangano a casa”.

Pregiudizi e disinformazione alimentano teorie razziste, anche nello sport,  non è così?

“Manuel Schottè, nel libro “La costruzione del talento”, ha studiato da vicino i fondisti africani e smentisce la tesi filogenetica per cui i neri sarebbero avvantaggiati nella corsa. Schottè critica la teoria delle proprietà invarianti, ovvero quelle che non possono essere variate dall’ambiente. Insistere sul discorso che ci sarebbero delle attitudini genetiche è molto pericoloso perché rischia di giustificare teorie sciagurate, come quella dello schiavismo”. 

Come guardare in avanti?

“Occorre rilanciare la battaglia dello ius soli, guardare con rispetto alle esperienze che provengono dallo sport, evitando di dare una visione troppo retorica o pittoresca alla medaglie d’oro delle nostre azzurre. Le motivazioni della seconda ondata del ciclo migratorio ci offre una visione nuova:  dallo sport agonistico alla socialità del corpo”.

Atlete italiane, punto, come ha scritto anche Roberto Saviano. Grazie ragazze, #donne di #sport #amicizia #rispetto #diritti. (Ivano Maiorella)

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