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Inchiesta de L’espresso: “L'integrazione si fa con lo sport”

Fare sport insieme aiuta l'integrazione di chi viene da famiglie immigrate o dallo status economico precario. La ricerca del Cnr

 

Otto su dieci praticano sport fuori dall’orario scolastico, ma i numeri sono destinati a scendere quando si tratta di ragazze o di stranieri. Essere nati in Italia ed essere maschi rappresenta un vantaggio. È il quadro che traccia la ricerca ‘Lo sport come veicolo di integrazione’ realizzata dal Cnr, nell’ambito di un accordo tra Ministero del Lavoro e Coni. Alla presentazione della ricerca, ​che si è tenuta martedì 28 marzo a Roma, presso la sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche, c'era anche Carlo Balestri, Uisp che ha presentato le esperienze dell'associaizone su sport e integrazione. 

Lo sport è un veicolo potente: si rivolge a tutti senza distinzioni, parla un linguaggio universale e promuove e diffonde valori fondamentali per l’integrazione quali il merito, l’impegno e l’uguaglianza. Nelson Mandela amava ricordare che "ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione". Eppure ai blocchi di partenza non siamo tutti uguali.
Oltre mille studenti e una trentina di docenti delle scuole medie da Genova a Bari, da Trieste a Latina raccontano differenze di genere e tra ragazzi che hanno un background migratorio, ma anche di status economico e di un Mezzogiorno che continua a rappresentare il fanalino di coda. "Non conta se siamo stranieri, dobbiamo giocare tutti insieme", ha detto un’adolescente ai ricercatori, eppure oltre la metà delle ragazze straniere e di estrazione sociale umile non si dedica ad attività sportive al di fuori dell’orario scolastico.

Quando i ragazzi praticano sport lo fanno per divertirsi, in pochi per vincere. Per la maggior parte è sinonimo di svago, da condividere in un gioco di squadra, tra successi e sconfitte. L’indagine ha approfondito anche alcuni aspetti relativi alla rete amicale. Gli studenti nati all’estero sono la maggioranza del piccolo gruppo di ragazzi che dichiara di non aver alcun amico/a con cui passare il proprio tempo libero. Il rapporto mette in luce che chi fa sport ha più amici rispetto a chi non lo pratica. Questa relazione appare particolarmente evidente fra i ragazzi con background migratorio che, quando impegnati in un qualche sport, ampliano la propria cerchia di amici.
I problemi principali nelle relazioni non nascono a causa della lingua o per il fatto di provenire da un Paese diverso, ma soprattutto dalla abilità nel gioco. Semmai sono le studentesse più soggette all’esclusione proprio a causa del loro essere "femmine". E quando i ricercatori hanno provato a forzarli, chiedendo di scegliere chi includere nella propria squadra, indicando se un italiano o un straniero, molti ragazzi non hanno accettato la provocazione perché "questa domanda non spiega le qualità!". La percezione della migrazione sembra accettata dalla maggioranza degli studenti, dalle cui risposte emerge un atteggiamento complessivamente positivo, che indica un’apertura alla diversità.

Più controversa la posizione sul tema delle tifoserie. L’idea che "quando si fa il tifo possa capitare un gesto violento", pur rigettata dalla maggioranza, trova un 35% di consenso, comprensivo di un 11% di giovani che si dichiara molto d’accordo sulla possibilità che la violenza possa essere una componente delle manifestazioni di sostegno alla squadra del cuore. Se lo sport possiede uno straordinario potenziale di inclusione e di superamento delle ineguaglianze, tanto che il presidente della società di consulenza per lo sport SG Plus, Roberto Ghiretti, lo definisce "un servizio sociale" e si spinge a richiedere alle società sportive e alle associazioni "di farsi strumenti per la realizzazione di politiche sociali reali", continuano a esistere ancora troppe barriere all’accesso.

Cinzia Conti dell’ISTAT, autrice di una ricerca sulle seconde generazioni e lo sport, sottolinea la necessità di "garantire chance a tutti per promuovere lo sviluppo. La pratica sportiva può essere considerata una chance di vita, alle politiche il compito di ampliare il numero di persone che possono accedervi". Per valorizzare appieno il potenziale dello sport per l’integrazione appaiono quindi fondamentali la didattica, l’implementazione di policy in grado di produrre pratiche educative efficaci e l’attivazione di esperienze di cooperazione per l'inclusione delle minoranze. Un cambiamento concreto che, attraverso la pratica sportiva, porti all’integrazione e all’uguaglianza. A vincere la partita più importante. (di Floriana Bulfon, L’Espresso)

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