Nazionale

Integrazione o inclusione? Atteggiamenti culturali, non solo parole

Integrazione e inclusione: l’insegnamento di Mauro Valeri. Conviene essere precisi, anche quando si parla di sport sociale. Parlano M. d’Alonzo e M. Di Schino

 

Le parole sono pietre: lo ricorda il Manifesto di Assisi, redatto da e per i giornalisti, ma non solo. Rispetto e dignità sono alla base del codice utilizzato da chi parla o scrive, su un campo sportivo o tra i banchi di scuola. Già, comunità educante: scuola, sport, informazione. Il concetto è stato approfondito nella due giorni di studio “Se la scuola si mette a correre” organizzato il 24 e 25 gennaio a Roma da Corsa di Miguel, Uisp e Fidal. (leggi l'approfondimento sulla prima giornata di lavori e sulla seconda)

Prendiamo due parole che sentiamo usare spesso, anche in ambito sportivo e nel terzo settore: integrazione e inclusione. Sono la stessa cosa? Action Aid può vantare una lunga esperienza in questo campo e affronta il tema: “l’inclusione sociale ha l’obiettivo di eliminare qualunque forma di discriminazione all’interno di una società, ma sempre nel rispetto della diversità”.

Nella scuola oggi si parla di inclusione, anche se sino al 1977 in Italia sono esistite le “classi differenziali”, dove la differenzialità era rappresentata da ragazzi con difficoltà e disabilità di vario tipo. Venivano accerchiati dallo stigma e segregati, come faceva un noto spot istituzionale nella tv degli anni ’80, circondando di viola le persone colpite da Aids.

Si parla di reddito di inclusione, ad esempio, e non di integrazione. Includere significa ricevere, in un rapporto alla pari. Integrare significa presupporre un’aggiunta, un adeguamento, un’integrazione appunto. La distinzione può sembrare sottile ma fotografa un atteggiamento culturale, prima di un comportamento.

Lo psichiatra Mauro D’Alonzo è intervenuto a Bari in occasione del convegno “Comunicazione sociale e sport” organizzato dal Giornale Radio Sociale, presentando l’esperienza degli Atipici Rugby: “Nell’integrazione spesso i gruppi etnici rimangono soli, separati dal resto degli individui. Non c’è processo di trasformazione, miglioramento della propria condizione, o dei gruppi di persone che entrano in contatto tra di loro. Nell’inclusione io condivido con te quello che è il mio modo di essere e faccio in modo che la mia crescita entri nella tua, c’è contaminazione e incontro, nella diversità”. GUARDA IL VIDEO

Lo stesso concetto è stato ripreso dal giornalista di Tv 2000, Maurizio Di Schino che a Lamezia Terme, durante un incontro su “Comunicazione sociale e panorama internazionale” promosso anch’esso dal Giornale Radio Sociale con Redattore Sociale, Forum Terzo Settore e Fondazione con il Sud, a proposito del fenomeno migratorio, ha detto: “Le prime generazioni arrivano per lavorare, le seconde generazioni passano attraverso le agenzie formative della scuola e dello sport: è lì che parte la vera sfida, non dell’integrazione ma dell’interazione. Perché lì siamo tutti sugli stessi blocchi di partenza. Allora perché non togliere la ‘g’ e parlare di interazione? Abbiamo responsabilità in ogni parola che usiamo, siamo parte della comunità educante”. (GUARDA IL VIDEO dell'intervento di Di Schino a Lamezia)

“Integrazione – ha proseguito Di Schino - in qualche modo pone sempre qualcuno al di sopra, su un piedistallo, e l'altra persona  un po’ più sotto. Forse, con un po' di presunzione, penso che l'interazione possa rappresentare relazioni sociali più significative, più ricche. Sin da quando giochiamo da bambini, tra i banchi di scuola o nello sport”.

Quello dello sport e l’integrazione, o meglio inclusione o interazione (come suggerisce Di Schino), è un sentiero che grazie al sociologo Mauro Valeri è diventata una strada, sempre più frequentata. L’Uisp, ma non solo, propone esperienze e progetti, a partire dai Mondiali Antirazzisti, che hanno incontrato varie esperienze di sport e inclusione nate sul territorio diventando un vero e proprio Almanacco di attività e manifestazioni organizzate con continuità in tutta Italia, da Torino a Matera, da Brescia a Caserta. Recentemente ha preso il via il progetto Pinocchio, diretto ai giovani in varie città italiane, promosso, tra gli altri, da Cefa, Uisp e altre associazioni cittadine. Il progetto combatte discriminazioni, razzismo e pregiudizi attraverso varie azioni, tra cui dei brevi video realizzati da Fan Page, che hanno il pregio di divertire e far riflettere, con il linguaggio popolare della vita quotidiana. (GUARDA IL VIDEO di dicembre - GUARDA IL VIDEO di settembre)

Esattamente come lo sport: popolare e immediato. Che non significa esente dalla precisione, perché le parole sono pietre, appunto. “Quando non viene negato, il razzismo viene sottovalutato, dimenticandosi che la lotta contro di esso non solo è scritta a chiare lettere nelle norme sportive, italiane ed internazionali, ma è anche un impegno presente nella nostra stessa Costituzione”, scrive Mauro Valeri in "Attacco antirazzista" del 2006

Con questi obiettivi é nata anche la Carta di Roma, adottata dai giornalisti e dagli operatori dell’informazione come riferimento deontologico che, ad esempio, mette al bando espressioni come “clandestino” e ne spiega il perché, chiedendo di utilizzare espressioni piú corrette come “rifugiato” o “richiedente asilo”.

In maniera leggera e ironica il messaggio arriva più incisivo, così come quando si parte dallo sport. Senza dimenticare il peso e la responsabilità di essere “comunità educante”. Come ci ha insegnato a fare proprio Mauro Valeri, scomparso nel novembre scorso, autore di “Black Italians”, un noto studio sociale in forma di libro con 39 biografie di “atleti neri in maglia azzurra”: “La storia dei Black Italians è la storia di tutti noi”. (Ivano Maiorella)

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