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La crisi del rapporto tra i giovani e lo sport: trait d’union tra Italia e Francia

Corriere della Sera e Le Monde pongono la stessa domanda: “Perché i bambini abbandonano lo sport?”. Una riflessione su sedentarietà e drop out sportivo

 

“Perché i bambini abbandonano lo sport?” Il tema, al centro dell’attenzione in una società sempre più sedentaria,  è stato approfondito sul Corriere della Sera –Salute e su Le Monde, con articoli firmati da Daniela Natali nell’inserto mensile dedicato alla salute, e da Pascale Santi.

Una curiosa concomitanza, con articoli che pur incrociando fonti diverse, arrivano alle medesime conclusioni. Lo sport è considerato uno dei veicoli principali per condurre una vita sana e felice. Anche se la tendenza a trascorrere le proprie giornate all’aria aperta è sempre meno popolare, soprattutto in alcune fasce d’età. La sedentarietà e l’abbandono dell’attività motoria tra i giovani rappresentano una problematica per molti Paesi in Europa.

“Perché i ragazzi abbandonano lo sport”: è il titolo, pressoché identico di entrambi gli articoli che si sono interrogati sull’immobilismo dei giovani, un trait d’union tra italiani e francesi. Per rispondere alla questione i due quotidiani hanno avanzato tesi equivalenti. A dimostrazione che la problematica nasce e si sviluppa per le stesse ragioni, in Italia come in Francia e probabilmente anche altrove. La coincidenza delle motivazioni proposte dai due articoli indica che la sedentarietà tra i giovani, non solo esiste, ma si sviluppa per cause ben determinate. “Diminuzione della fiducia nelle proprie capacità, troppi impegni, anche scolastici, e il fatto che non tutti i docenti capiscono che l’attività sportiva non è nemica dello studio. Ma soprattutto il mettere troppo l’accento sul valore della competizione”. Così il Corriere ha evidenziato le principali cause dell’allontanamento dei ragazzi dallo sport.

Allo stesso modo dalle pagine di “Le Monde” è emersa “l’idea che lo sport odierno, privilegiando la competizione al divertimento, ha accentuato dei bisogni psicologici fondamentali come l’autonomia, l’essere attori delle proprie scelte e la competenza”. In generale, quindi, i bambini sono sottoposti ad uno stress eccesivo che li fa deviare dai veri obiettivi che lo sport dovrebbe perseguire. I più piccoli, che in questa fase della loro vita sono in uno stato di grande insicurezza, sprofondano in una sorta di ansia da prestazione che condiziona il loro rapporto con lo sport. In questo modo vengono meno i veri valori che dovrebbero essere  la fonte d’attrazione principale per gli sportivi di ogni età: divertimento, conoscenza, condivisione. Idee sulla quale concordano anche gli esperti quando sostengono che in primis “sport deve fare rima con piacere”.

Anche sul fronte delle possibili soluzioni i due articoli tracciano una linea comune. Sotto questo punto di vista viene data grande importanza al ruolo delle istituzioni sociali come la scuola e la famiglia, ma anche alle società sportive. “Bisogna migliorare la formazione degli insegnanti affinché possano motivare i piccoli sportivi ad un’attività fisica regolare dove non prevalgano gli interessi agonistici”. Lo stesso principio deve valere anche per i genitori che “spesso enfatizzano le capacità dei figli, tendono a interferire nella conduzione dell’attività sportiva, alimentano nei ragazzi l’illusione di facili successi favorendo, in realtà, gli abbandoni alla prima delusione”.

Le fonti utilizzate lanciano, comunque, segnali allarmanti sull’attività motoria svolta da bambini e adolescenti. Il dato, spiacevole, che accomuna le due indagini riguarda il livello d’attività fisica dei bambini che comincia ad abbassarsi dall’ingresso nella scuola primaria e prosegue per tutta l’età dello sviluppo. Il Corriere della Sera si è affidato ai dati dell’Istat risalenti al 2017, che mostrano come in Italia la frequenza dell’attività sportiva praticata dai giovani sia inversamente proporzionale all’aumentare dell’età. In questo senso i numeri sono chiari: nel nostro paese fa sport circa il 70 per cento dei ragazzini tra gli 11 ed i 14 anni, si scende intorno al 63 per cento tra i 15 ed i 17 anni e la cifra si abbassa ulteriormente al conseguimento della maggiore età, con un italiano su due impegnato nella pratica sportiva.

Viceversa, per l’argomentazione delle proprie tesi, il quotidiano transalpino ha fatto riferimento ad uno studio condotto da Julien Chanal, ricercatore della facoltà di psicologia e scienza dell’educazione dell’università di Ginevra. La testata transalpina è stata anche ripresa dall’associazione “FSGT sport populaire”, che ha già approfondito il tema attraverso la pubblicazione “Des jeux des enfants des sports”.

Che la società odierna sia sempre più social e meno sociale è ormai un dato assodato. Nell’immobilismo della società attuale lo sport funge da motore per un cambio di rotta. Attraverso lo sport è possibile dare alcune risposte:  il passaggio dalla teoria alla pratica e dalle parole ai fatti è fondamentale per riaccendere nei giovani quella passione, in un rapporto sempre più in crisi. (A cura di Pierluigi Lantieri)

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