Nazionale

La discriminazione vince nei campi minori del calcio italiano

Carlo Balestri su Il Fatto quotidiano analizza il fenomeno del razzismo in crescita sul territorio. Per fortuna c'è chi va in controtendenza

 

"La dura legge del gol: sei negro vattene", è il titolo dell'articolo apparso martedì 28 marzo sul quotidiano "Il fatto quotidiano", che interpella Carlo Balestri, politiche internazionali Uisp, sul fenomeno in crescita del razzismo nei campi sportivi delle nostre città: "Nei campi di periferia si coalizzano i sentimenti dell'opinione pubblica. Se gli animi si scaldano la risposta è sempre la stessa: sporco negro, vattene. Questo sostrato culturale oggi è evidente in tutta la dorsale italiana".

L'analisi è di Carlo Balestri, dirigente della Uisp e ideatore dei Mondiali Antirazzisti. A vent'anni di distanza il Festival modenese ricrea ancora un mix unico di calciatori occasionali, ultras da tutta Europa e migranti - si legge nell'articolo - Sempre più spesso il rettangolo di gioco è il terreno di sfogo di un conflitto ormai evidente all'interno della società, che sfocia nella guerra tra poveri e nelle insofferenza verso gli ultimi. L'episodio più eclatante risale a un paio di settimane fa, quando il capitano dell'Atletico Villaretto, terza categoria torinese, è stato aggredito. La sua colpa: aver difeso un compagno senegalese, vittima di ripetuti insulti razzisti. Basta una rapida ricerca su Google per capire quanto sia estese molesto il fenomeno. Meritevoli al più delle cronache locali, gli atti di intolleranza si accumulano ogni settimana. Si va dalla parola di troppo alle mani addosso".

"Il peggioramento della situazione è sotto gli occhi di tutti. Spesso ad accendere la miccia sono dirigenti e allenatori, che dovrebbero fungere da educatori - commenta Balestri. E' successo un anno fa a Teglio Veneto, dove il tecnico della squadra locale fu messo alla porta per aver apostrofato un avversario di colore. Il più delle volte, però, l'azione e derubricata a reazione, il razzismo escluso nel modo più assoluto. Non ci sono pene, nè stigma. La giustizia sportiva italiana si attorciglia da anni su usi e abusi della discriminazione territoriale, potrà mica accorgersi di quello che succede nel più angusto derby tra dilettanti. Non hanno ricevuto squalifiche i giocatori del Don Bosco Vallecrosia Intemelia, in provincia di Imperia. La foto del rivale del Quiliano Binjiam Marouf, in lacrime negli spogliatoi dopo una partita a prendere insulti, aveva indotto il giudice sportivo a chiedere ai colpevoli di "mettersi una mano sulla coscienza e autodenunciarsi". Ma l'arbitro non aveva saputo identificare i protagonisti delle ingiurie e così non arrivo nessuna squalifica. I ragazzini emulano quanto combinano padri e fratelli maggiori. Pochi giorni fa nel Canavese, un sedicenne del Burkina Faso ha lasciato la partita sconvolto dalle offese. Nel frattempo i giovani della Fincantieri Palermo scendevano in campo con il volto pitturato di nero per testimoniare vicinanza a un compagno maliano. Solo negli ultimi due mesi insulti, corredati da saluti fascisti, si sono visti durante la sfida bolognese tra Bazzanese e La Miccia e nella vicina a Parma tra Carignano e Montanara.

"Spesso queste strutture non rilasciano i certificati per giocare: così si rafforza l'idea di diversità, si crea una barriera", spiega Alberto Urbinati, presidente del Liberi Nantes.  Creata nel 2007, è la prima squadra di rifugiati della capitale. Partecipa al torneo di terza categoria di Roma Est, ma non fa classifica perché mancano i documenti. Squadre così, che hanno come primo scopo generare inclusione, sono nate ovunque. Aprono le porte ai migranti, organizzano tornei e iniziative di solidarietà. "La loro attività è decisiva e offre speranza - chiosa Carlo Balestri - dimostra che lo sport può aggregare dal basso e fare politica nel senso più nobile".

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