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Ricordando Pantani: "Io e la bicicletta siamo una cosa sola"

Il più grande scalatore di sempre, capace di rimanere nel cuore della gente. Ecco il ricordo di un romagnolo come lui, Roberto Babini, ciclismo Uisp

 

“Io e la bicicletta siamo una cosa sola”, un verso importante di Gaetano Curreri dedicato a Pantani, il più grande scalatore di sempre, capace di arrivare al cuore della gente con la sua carriera sportiva e con la sua parabola di vita. Quindici anni dopo la sua morte, avvenuta il 14 febbraio 2004, nuovi interrogativi vengono avanzati da un servizio della redazione delle "Iene". Per la giustizia la vicenda è chiusa, per la madre Tonina la battaglia per la verità ancora continua. E’ un fatto che Marco Pantani sia rimasto nella memoria collettiva di tutti. In particolare della sua gente, i romagnoli. Abbiamo chiesto un ricordo a Roberto Babini, responsabile nazionale della redazione ciclismo Uisp.

Per me, come romagnolo, parlare di Marco Pantani non è solo parlare del mito. Parlo di un ciclista che ho conosciuto, di un uomo del quale ho capito passione per la bici e sofferenza. Molte volte, da ciclista, transito sui colli che erano frequentati anche da Marco per allenamento ed il mio pensiero corre subito verso il ricordo delle sue pedalate, corre lassù tra i grandi. Un dolore mi stringe al pensiero di come sia finita la vicenda.

 Oggi si parla della sua riabilitazione nelle vicende che lo fermarono e ne sconvolsero la vita. Il 14 febbraio non è solo San Valentino per me, è il giorno in cui quella grande fuga è cominciata ed ha fatto il vuoto non solo in gruppo ma in tutti noi. Quante volte, transitando in autostrada dalla Romagna in direzione di Bologna, passo accanto a quella grande biglia con l’effige di Pantani.

Mi riporta indietro a quando, da bimbo sulla sabbia, giocavo per riprodurre le gesta di altri campioni. Spesso ne parlo e ne sento parlare con amici che pure hanno nomi illustri e sono stati suoi compagni di squadra. Roberto Conti, Davide Cassani. Marco, il pirata, ha lasciato il segno in questo sport e manca a tutti per le sue imprese, ma anche per l’uomo… la sua fragilità, il suo modo di affrontare le salite. E piuttosto che parlare di ombre.. preferisco ricordarlo per la sua passione, per come ci ha fatto gioire. Quando dico Pirata mi viene in mente l’Alpe D’Huez del  1997, Monte Campione del 1998.. e poi Oropa, Galibier.

Ricordo qui l’aneddoto riportato da Roberto Conti. Correva l’anno 1998 e si affrontava la Marmolada, il gruppo è alla frusta a ritmo vertiginoso e verso la metà Conti non riesce più a tirare il gruppo, nella strategia è previsto un attacco di Marco ma lui non scatta. Allora Conti chiede “Oh, ma quand’è che attacchi ?” Marco risponde: “Ma quando inizia la Marmolada”. E Conti allibito:” Guarda che ne abbiamo già fatta metà…” (di Roberto Babini)

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