Nazionale

Tanti auguri Madiba: ci manca la tua umanità

Cento anni fa nasceva Nelson Mandela: importante ricordarlo in questi giorni di antibuonismo e indifferenza. Parla Raffaella Chiodo Karpinsky

 

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare, di unire le persone in una maniera che pochi di noi possono fare. Parla ai giovani in un linguaggio che loro capiscono. Lo sport ha il potere di creare speranza dove c’è disperazione”: queste parole di Nelson Mandela sono tornate a rimbalzare in tutto il mondo in occasione dei 100 anni della nascita, il 18 luglio. La forza con la quale Mandela credeva nell’efficacia dello sport come valore capace di trasmettere identità e riscatto ad un popolo, è soprattutto oggi di grande attualità.

L’Uisp deve molto a Mandela, al suo impegno per i diritti e alla sua fiducia nell’intercultura attraverso lo sport. Nel 1990 l’Uisp intitolò  il premio “Sport e solidarietà” a Mandela, insieme al Centro di documentazione antirazzista Benny Nato, poi replicato nel 2010 in occasione dei Mondiali di calcio in Sud Africa.

Chi era Nelson Mandela? Lo abbiamo chiesto a Raffaella Chiodo Karpinsky, oggi impegnata nell’Uisp, da trent’anni in prima fila in istituzioni italiane e internazionali occupandosi in particolare del Sud Africa e dei Paesi dell’Africa Australe e del Medio Oriente: “Ecco la voce di Mandela nel suo saluto al Consiglio Comunale di Roma il 15 giugno 1990, durante la sua prima visita in Italia dopo la sua liberazione: la registrazione di RadioRadicale venne realizzata in occasione della consegna della cittadinanza onoraria a lui assegnata dalla Città di Roma nel 1983 quando era sindaco Ugo Vetere. Sette anni dopo, ebbe l'onore e la gioia di partecipare alla cerimonia nell'Aula Giulio Cesare”. ASCOLTA L'AUDIO

“Nella registrazione del 15 giugno 1990 si possono ascoltare l'intervento del Sindaco Franco Carraro e dello stesso Nelson Mandela. Sono parole di un altro tempo, che a sentirle oggi fanno male. Stridono infatti, con la realtà amara che stiamo vivendo in questi giorni, che purtroppo è tutto meno che evoluta per ciò che riguarda la diffusione del razzismo. In Italia, nel mondo. L'euforia, l'immensa gioia di quei giorni per una vittoria così grande e a suo modo sconvolgente, travolse tutti noi che ci eravamo battuti per la sua liberazione. Eravamo quasi increduli, storditi, per un'utopia che diventava realtà, che ci faceva respirare e toccare con mano una felicità che ci si presentava in carne e ossa. Lì, con noi, e per una volta e finalmente totale e splendida, senza mezze misure. Madiba era lì, a Roma, da uomo libero e carico di speranza per il futuro, per il Sudafrica e per il mondo intero. Lui, che pur provato dai tanti anni di prigionia, era sorridente e non esprimeva alcun sentimento di rivalsa o vendetta. Al contrario, in ogni sua parola faceva percepire come dalla violenza e brutalità si può e si deve uscire solo grazie a un approccio costruttivo, di riconciliazione, non insincera, bensì attraverso la cruna della verità. Verità e riconciliazione fu in seguito esattamente il binomio attraverso cui un paese così provato dalla brutalità dell'apartheid fu in grado di trovare una strada nuova, difficile, anzi difficilissima, ma inedita e coraggiosa, per ricostruire una nazione su nuove basi, non razzista e non sessista. Fanno riflettere quelle parole e quei principi e valori di riferimento, che oggi paiono perduti, qui da noi, in Italia, in tanta, troppa Europa. Sono concetti che stridono con il dibattito crudele tra "naufragio" e "mancato soccorso" di queste ore. Non c'è traccia di umanità in questa surreale diatriba giocata sulla pelle di persone vere, non fake news. C'è solo chiusura, miopia, e al fondo tanta, profonda cattiveria. Qualcosa che ricorda pericolosamente il genere d'indifferenza, presto diventato odio, quell'aria acre che prese piede in Germania, in Italia, nell'Europa che sprofondò nella guerra e portò ai campi di sterminio. Il negazionismo non è mai tramontato e oggi via web è come in moto perpetuo”.

“Oggi – prosegue Raffaella Chiodo Karpinsky - anche solo trovarsi a discutere, a dover argomentare la necessità di soccorrere delle persone in mare o addirittura se dargli accoglienza, è già per me una condizione di profonda sconfitta. E' sconfitto il nostro senso di umanità e dover spiegare perché se c'è una donna o un bambino che stanno annegando è giusto salvarli è per me un atroce dolore che non riesco a reggere, placare. Ma è oltre che un dolore umano. È profondamente politico. Questo è il problema. Per troppo tempo si è sottovalutato il seme del razzismo e dell'intolleranza verso i migranti. E ancora peggio, dalla sottovalutazione si è passati con disinvoltura alla inadeguatezza politica della gestione di un processo che avrebbe richiesto qualità e credibilità di proposte che poggiassero sull'autorevolezza di leaders all'altezza del periodo storico. Purtroppo qualcosa di non pervenuto in Italia come in Europa. Tutto questo mi riporta a Mandela e alla sua pazienza e al suo coraggio, mi fa dire che anche quando tutto pare irrimediabilmente perso, anche quando il senso di umanità pare perduto per sempre, è proprio allora che dobbiamo credere con più convinzione, batterci con più determinazione, esprimere a voce alta, anzi altissima, che tutto questo orrore non può e non deve essere accettato e a partire da me non può essere fatto. Non in mio nome. A cominciare da me e poi tutti insieme. Uno alla volta, riporteremo le persone a riconquistare per gli altri, profughi, richiedenti asilo e semplicemente persone migranti con il loro nudo diritto di cercare una vita migliore, e per se stessi. Si, perché, tornare a essere umani, farà stare meglio anche coloro che oggi giustificano le scelta di campo brutale, dalla parte dei muri e dei respingimenti in mare, del governo italiano di oggi, o di politiche sbagliate dei governi che l'hanno preceduto. Oggi celebrare Mandela per me vuol dire ricordare che 29 anni fa veniva ucciso a Villa Literno un rifugiato sudafricano. Si chiamava Jerry Masslo ed era fuggito dal Sudafrica dell'apartheid. Lavorava cogliendo i pomodori come molti dei migranti di oggi. Poco tempo prima, il giornalista Massimo Ghirelli a cui dobbiamo molto per il lavoro straordinario che ha fatto in Rai con i servizi e documentari su Mandela e il tema delle migrazioni e  del razzismo, aveva raccolto una testimonianza di Jerry Masslo. Quell'intervista suona come un monito, un lungimirante e triste presagio. Invitava, Masslo, a stare attenti, perché i segnali di razzismo in Italia c'erano e invitava a non sottovalutarli, pena il rischio di fare la fine del Sudafrica dell'apartheid.

Tre decenni dopo, siamo qui con quei segnali, allora perlomeno condannati da tutto l'arco costituzionale, dalla società civile e dall'opinione pubblica, siamo qui a fare i conti con il risultato di un progressivo sdoganamento degli istinti più bassi. Evidentemente nella società italiana non erano spariti, superati. Hanno vissuto solo la condizione di impresentabilità e perciò rimasti sottotraccia, inespressi pubblicamente. Oggi siamo alla sfacciata esibizione del proprio "antibuonismo" contrapposto all'antirazzismo. L'attacco alle ONG, a chi lavora con i migranti, nel mondo dell'accoglienza, dell'inclusione, del multiculturalismo viene da lontano e non trova più argini. Sono corpi intermedi che danno tremendamente fastidio. Dal dibattito sulla nazionale di calcio campione del mondo rea di essere la fotografia della semplice realtà della Francia del 2018, alle proteste delle tifoserie russe della squadra Torpedo per avere imbarcato un giocatore, russo a tutti gli effetti, ma reo di essere di pelle troppo scura, al "prima gli italiani" negli asili nido, il passo è breve”.

Raffaella Chiodo Karpinsky è intervenuta a Ellesse, trasmissione di RadioArticolo1, sull'anniversario della nascita di Mandela. ASCOLTA L'AUDIO

“Perciò oggi – conclude Raffaella Chiodo Karpinsky - il modo migliore, anzi necessario per me per ricordare Mandela, non è più un invito a riflettere, a capire, rivolto alle leadership che hanno dimostrato tutta l'inadeguatezza possibile. Altro che Olof Palme, Willie Brandt e Enrico Berlinguer, personalità che seppero esprimere politiche, caparbiamente e senza il timore dell'impopolarità saldamente ancorate a principi che non mettessero a repentaglio democrazia, libertà e che avevano al centro i diritti civili, diritti umani. Manca all'appello un gruppo dirigente coraggioso e all'altezza di un nuovo moto di giustizia e di solidarietà internazionale. Un gruppo di persone che sappiano fare i conti con la storia del progresso civile e perfino antropologico (perché l'umanità si è sempre mossa in un moto migratorio permanente e così sarà in eterno!!) senza negoziare mai al ribasso un solo diritto umano. Perciò devo rivolgermi direttamente a chi è stato negli anni compagno di strada nelle lotte per i diritti umani e che oggi trovo dall'altra parte della barricata. Rialzate la testa e risvegliate le vostre coscienze, non abbandonatevi all'ebrezza infernale dello scaricare l'odio sul nemico di turno perché l'indifferenza torna al mittente e senza scampo”.

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