Nazionale

"Treni, aironi e farfalle - uomini e sport"

 

In occasione del XVIII Congresso nazionale Uisp, che si terrà dal 24 al 26 marzo a Montesilvano (Pe), verrà portato in scena lo spettacolo teatrale “Treni, aironi e farfalle – uomini e sport”, monologo interpretato da Filippo Tognazzo, attore della compagnia teatrale Zelda. Una rappresentazione che vuole raccontare la forza dello sport e il suo valore sociale attraverso due personaggi che hanno fatto la storia. Stiamo parlando di Fausto Coppi e Dorando Pietri, due figure leggendarie dello sport. Filippo Tognazzo lo abbiamo incontrato nella sua Padova, la cittŕ legata al ricordo dei "panzer" di Nereo Rocco, ma anche al canottiere olimpionico Rossano Galtarossa, alla nuotatrice iridata Novella Calligaris e a molti altri campioni. 

Filippo, come sei riuscito a creare un nesso tra teatro e sport?
"Si tratta di un legame immediato. Le emozioni che si provano durante una gara o durante un semplice allenamento sono lo specchio di un universo interiore che, nel teatro, prende vita nel migliore dei modi".

La Uisp promuove il valore sociale dello sport. Coppi e Pietri sono l’esempio perfetto di come lo sport possa avvicinare le persone: nell’immedesimazione che si ha attraverso il tifo, ma anche nel “fare squadra”. Sei d’accordo?
"C’è una cosa che accomuna tutti noi, sia come sportivi che come uomini: la passione con la quale viviamo le cose. Uomini e sport racconta i campioni e il loro lato umano che, spesso, dalla cronaca non emerge e che con questo spettacolo si vuole valorizzare. Campioni che hanno vinto tutto, come Coppi, e campioni passati alla storia per aver perso, come nel caso di Pietri. Uomini e sport parla anche di questo: di ciò che sta al di là del campo di gara, di ciň che avviene dentro di noi mentre facciamo sport. Per questo credo sia significativo portare questo spettacolo ad un Congresso Uisp".

Il monologo si intitola “Treni, aironi e farfalle – uomini e sport”: un titolo suggestivo. Come lo hai pensato e come hai maturato la scelta di portare in scena, tra i molti campioni che hanno fatto la storia, proprio Fausto Coppi e Dorando Pietri?
"Quando si scrive uno spettacolo spesso sono le storie a venire incontro all’autore. Di Fausto Coppi, campione che tutti conosciamo, mi ha sempre affascinato il lato umano: per questo volevo parlare di lui, ma senza raccontare le sue gare, le sue vittorie. Dorando Pietri l’ho scelto per la passione che abbiamo in comune: la corsa. Volevo raccontare un grande corridore e mi sono imbattuto in questo personaggio: povero, sfortunato, eppure eroico. Credo rappresenti degnamente l’Italia di quel periodo storico".

Dorando Pietri è passato alla storia per la squalifica alla maratona olimpica di Londra. A volte non è la vittoria a creare la leggenda…
"La storia di Dorando Pietri č meravigliosa perché non è una storia semplicemente sportiva. E’ una storia di rivalsa attraverso lo sport che premia il talento e la passione. L’abnegazione di questo podista rappresenta, a mio avviso, tutti i poveri, i diseredati, quelli che non ti saresti mai aspettato che potessero vincere e che, invece, inaspettatamente trionfano. Poco importa se alla fine viene squalificato: nella sua avventura c’è il vero senso dello sport, la vittoria più grande è aver dato il meglio ed essere arrivato, per questo, al cuore delle persone".

Nel copione c’è un passaggio molto suggestivo: “Correre, correre per lasciarsi dietro la vergogna, che è una malattia che arriva con la maturità e non ti lascia mai, perché anche se cambi hai sempre vergogna di quello che sei stato prima. E solo con la vittoria la vergogna piano piano resta indietro e per questo corre Dorando per lasciarsi dietro la vergogna di essere nato povero”. Dorando Pietri era figlio di contadini, ridicolizzato per i suoi calzoni in canapa cuciti dalla madre. In qualche modo rappresenta l’ideale dello “sport per tutti”... Dunque, nello sport, anche chi nasce povero puň partecipare e addirittura vincere?
"La storia di Dorando Pietri è esemplare perché crea un ponte: non importa se si è poveri o ricchi, ciò che conta è l’impegno con cui si porta avanti il proprio obiettivo. Il concetto di "vergogna" di cui si parla nello spettacolo è legato all’idea di lasciarsi alle spalle, attraverso la corsa, tutto ciò che, fino a quel momento, aveva rappresentato la propria vita. Nel suo caso, la povertà e i vestiti da contadino che lo legano alla sua famiglia. Dorando diventa un eroe grazie alle sue gambe e alla sua passione. Non è più il personaggio posto sul gradino più basso della società, ma quello che, con la sua semplicità, sale sul podio".

Fausto Coppi si rivela campione quando il suo capitano, Gino Bartali, cade durante una corsa e a lui, semplice gregario, viene ordinato di proseguire per difendere i colori della propria squadra. Quella corsa Coppi poi la vince. Talento e destino si incrociano nella sua storia... Ma quale conta di piů?
"Il talento e il destino nella storia di Coppi entrano in gioco in un intreccio difficile da sciogliere. Non so dire cosa abbia contato di più, stiamo parlando del "Campionissimo", di un uomo che è diventato leggenda. Ma un merito ce l’ha avuto anche la sua squadra: il mitico Cavanna e gli altri uomini che hanno vissuto quell'avventura con lui, aiutandolo a vincere. Ciò che mi affascina è anche il Coppi che ha diviso l’Italia, l’uomo fedifrago che non si allinea all’idea che la società ha del campione bravo, vincente, pulito... Coppi è anche questo, e per questo è un personaggio ideale per questo spettacolo".

C’è un altro passaggio nel testo teatrale che colpisce lo spettatore: “Troppo diverso, troppo per conto suo. Anche nella malattia. 84 battiti, normale si direbbe. E invece no, perché quello lì di battiti le dicono che ne dovrebbe avere 42 o 44 o magari to’, 46. Non 84 che è come dire di un altro che ne ha 120. E’ senz’altro uno che non sa stare al suo posto, che certe scorrettezze ce le ha nel sangue, da quando è nato”. Il campione è quindi qualcosa di diverso, di quasi soprannaturale...
"E’ difficile definire che cosa sia un campione, a meno che tu stesso non lo sia. Ciò che colpisce di un campione è la sua imprevedibilità, il riuscire a fare qualcosa che prima nessuno avrebbe mai potuto immaginare. L’eccezionalità e la genialità sono gli ingredienti che ci fanno appassionare alla vita dei grandi sportivi".

Che significato ha portare in scena questo spettacolo nell’ambito di un convegno organizzato da una realtà come la Uisp che promuove lo sport per tutti?
"Io credo che lo sport sia l’unica vera pubblica rappresentazione rimasta, più del cinema e del teatro: perché nello sport la società si confronta e riesce, in qualche modo, a conciliare i contrasti. C’è la competizione, ma c’è anche la volontà di andare avanti assieme verso un traguardo comune. L'attività della Uisp avvalora questa visione dello sport, che è visto come un’occasione per stare assieme, in cui dare il meglio di sé è più importante che vincere". (di Martina Mazzaro)
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