Nazionale

Uisp contro i pregiudizi sessuali nel calcio femminile

Come parlarne correttamente, per promuoverlo e non scadere nell'omofobia e nel razzismo? Risponde M.Claysset, Uisp

Quasi una formula matematica: i peggiori stereotipi della stampa sportiva sommati a quelli dei rotocalchi di gossip, dà zero. Zero in giornalismo, zero in cittadinanza. Ed è un vero peccato, perché si tratta di due generi molto popolari nel nostro Paese che potrebbero contribuire ad elevare cultura e senso civico. Ci riferiamo ad un’intervista ad Antonio Cabrini, ct della nazionale femminile di calcio, apparsa nei giorni scorsi. Si parla del perché questo sport non riesca a sfondare e si lamenta il diverso trattamento riservato ad atleti maschi ed atlete femmine. In conclusione di intervista Cabrini risponde alla domanda, “È un luogo comune dire che nel calcio femminile ci sono molte lesbiche?”. “È la verità", risponde il Bell’Antonio, come veniva chiamato quando era il terzino sinistro della nazionale campione del mondo nel 1982. E prosegue: "Ma i gusti sessuali io li rispetto a prescindere dai sessi. Nel calcio femminile ci sono diverse situazioni ma sono accettabili e gestibili”. La domanda rivolta a Cabrini porta a chiedersi: qualcuno ha mai chiesto quanti eterosessuali ci sono in una squadra di calcio?

“Sono ancora molti gli stereotipi nel mondo dello sport – dice Manuela Claysset, presidente del Consiglio nazionale Uisp con delega alle politiche di genere - stereotipi spesso alimentati da una cultura diffusa che discrimina le persone considerate più deboli, diverse. Un mondo che fatica a concepire pari opportunità per tutti e per tutte. Così ancora oggi assistiamo a vere e proprie discriminazioni, nei confronti delle donne, delle persone con diverso orientamento sessuale, nei confronti degli stranieri e in particolare delle persone di colore. Non solo: ancora molto occorre fare, ad esempio, per promuovere pari opportunità nei confronti di persone disabili o di persone di diverse religione. Questo è quello che spesso ci propone la nostra società e lo sport rischia di amplificare questa situazione. Purtroppo nello sport sono molti gli episodi di razzismo, omofobia e lesbofobia, discriminazioni spesso alimentate da una comunicazione ed informazione troppo chiusa e condizionata. Proprio come nell’intervista a Cabrini”.

“Le ragazze del calcio femminile italiano stanno portando risultati importanti – continua Claysset - finalmente crescono le praticanti del calcio anche nel nostro Paese ed occorre avviare un lavoro per sviluppare questo sport. Partendo proprio dalle società di calcio, per chiedere che sia praticato uno sport promozionale non solo per i bambini e le bambine ma che sia sostenuta la pratica del calcio femminile, valorizzando le società che svolgono attività sia per i ragazzi, sia per le ragazze. Una attenzione che dobbiamo rivolgere anche ad altri sport. Perché nel calcio femminile, e non solo nel calcio, ci sono atlete brave, che sanno giocare e fare le prodezze spesso esaltate nei colleghi maschi. Semplicemente vengono meno valorizzate. Uscire dagli stereotipi significa uscire dai luoghi comuni e vedere il talento e la capacità atletica per quello che è, senza farci condizionare. Il calcio, la boxe, la danza o altre discipline che spesso vengono declinate come “per le femmine” o” per i maschi” sono prima di tutto sport, attività sportive e motorie, degne di attenzione e di promozione, senza luoghi comuni”.

“Come Uisp sappiamo quanto ancora sia necessario fare per superare certi stereotipi nella nostra società, e in particolare nel mondo sportivo. Proviamo noi come Uisp ad andare oltre gli stereotipi – conclude Manuela Claysset - e coinvolgere tutto il mondo sportivo in una nuova idea di accoglienza e lotta alle discriminazioni. Valorizziamo gli atleti e le atlete per quello che sono, che rappresentano: sport, movimento, benessere, risultato, socializzazione, confronto, arte. L’Uisp c’è ed è impegnata a giocare la partita contro gli stereotipi e le discriminazioni”.

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