Nazionale

Violenza di genere: intervenire su formazione e cultura

Nel seminario organizzato dalle discipline orientali Uisp un'ampia riflessione su società e cultura. Parlano S. Martino, P. Castagnotto e M. Poli

 

La violenza di genere e il tema della sicurezza sono al centro dell'attenzione dei media e proliferano i corsi di autodifesa rivolti alle donne, che spesso promettono cose impossibili e rischiano di dare un’idea distorta della sicurezza e della difesa personale. Occorre attenzione e approfondimento su molti aspetti che non possono essere trattati con leggerezza, per questo l’Uisp ha intrapreso un percorso di scambio e collaborazione con i tanti soggetti che nella società si sono occupati e si occupano di violenza, di questioni di genere, del corpo delle donne, per dare vita ad un lavoro comune e promuovere una rete di confronto. L’obiettivo è anche dare agli educatori Uisp maggiori strumenti per capire, conoscere ed affrontare nel modo più attento possibile il problema della violenza. 

Sabato 27 e domenica 28 gennaio le discipline orientali Uisp hanno organizzato a Modena un seminario dal titolo “Sicurezza donna. Seminario di formazione per l’organizzazione di corsi sulla sicurezza delle donne”, al quale sono intervenute anche Manuela Claysset, responsabile politiche di genere e diritti Uisp, e Patrizia Alfano, responsabile formazione Uisp. Il seminario ha visto la partecipazione di esperti e professionisti che conoscono a fondo il fenomeno e lavorano da tempo per la prevenzione e la difesa delle donne coinvolte.

Tra queste Stefania Martino, avvocata e insegnante di discipline orientali: “Nel mio intervento ho analizzato il fenomeno dal punto di vista del profilo giuridico, nell’ambito dell’ordinamento italiano, e poi da quello criminologico, che attiene alla figura del soggetto che agisce la violenza e gli strumenti approntati dalla società nel suo insieme per affrontare la situazione”. Per scaricare una sintesi della presentazione dell’avvocata clicca qui

Ritiene che questi strumenti siano sufficientemente noti?
“Dalla mia esperienza ho l’impressione che spesso se ne ignori l’esistenza: quando illustro gli strumenti a disposizione ho la sensazione che molte persone li scoprano solo in quel momento. Penso quindi che sia fondamentale fare informazione e formazione sugli strumenti che l’ordinamento appronta, prima ancora che sul loro utilizzo. Una volta conosciuti, infatti, non c’è un atteggiamento restio ad utilizzarli, il problema è conoscere lo strumento giusto e avervi accesso. Le opportunità a disposizione sono diverse e vanno dalle possibilità offerte dall’ordinamento giuridico al complesso delle istituzioni e dei servizi che il paese fornisce, come ad esempio i centri antiviolenza. Ma gli strumenti più importanti sono quelli di carattere informativo, che permettono di avere un’idea precisa della strada da intraprendere caso per caso tra quelle disponibili, e vanno da quelle istituzionali a quelle più pratiche, e comprendono anche assistenti sociali, psicoterapeuti, consultori familiari, per varie esigenze che vanno dall’accoglienza a un percorso di recupero dell’autonomia”.

“Ormai è chiaro che da soli non si risolve niente – afferma Paola Castagnotto, presidente del Centro antiviolenza di Ferrara - non ce la fanno i centri, i singoli professionisti, la polizia: si possono creare condizioni di aiuto, prevenzione e contrasto alla violenza solo se si lavora in rete, non esistono altre strade. E soprattutto non bastano le leggi, ma è necessario agire sulla prevenzione e le leve che cambiano la cultura. Non parliamo di emergenza ma di un fenomeno strutturale, in Italia e nel mondo, e se il terreno che alimenta la violenza sono le discriminazioni, cresciute in un contesto di arretratezza culturale, allora bisogna agire per cambiarla quella cultura, partendo dalle scuole e dai più giovani”.

“Un primo passo, per noi, è non definirle vittime: - continua Castagnotto - le donne entrano in una situazione della quali non sono colpevoli, ma è il sistema culturale e sociale che le rende vittime. Sposiamo la nuova impostazione che arriva dall’Inghilterra, in cui si preferisce il termine “sopravvissuta”: dalla violenza si esce, non è un destino predeterminato. Ma per uscirne servono alcune cose, primo fra tutti il riconoscimento di cosa sia la violenza, che non è legata a un conflitto relazionale ma implica sempre un  rapporto di potere, culturalmente condizionato dagli stereotipi legati a maschile e femminile. Le discriminazioni sono un terreno fertile in cui cresce la violenza maschile, perché limitano l’autonomia delle donne e le rendono più facilmente aggredibili”.

Una riflessione che lega lo sport e la violenza di genere è giunta da Michele Poli, del Centro uomni maltrattanti di Ferrara: “Se si affronta il problema della violenza dal punto di vista del maschile, di come si costruisce un uomo, e lo si collega allo sport notiamo che lo sport è stato pensato dagli uomini, da una cultura maschile che ha originato il mondo in cui viviamo, e mettere a critica il maschile significa sottoporre a critica tutto il pensiero su cui noi oggi ci appoggiamo - spiega Poli - Infatti, anche rispetto allo sport, le ingiustizie di trattamento verso le donne le notiamo da diversi punti di vista, a partire dai diritti. Ma lo sport è anche spesso uno strumento per sviluppare competizione, che è uno dei problemi più grossi del maschile, dando vita a corpi prestazionali, rigidi, non preparati per la relazione ma per essere individualità, caratteristiche che non sono quelle che servono nelle relazioni sociali e di cura. Le azioni positive in questo ambito, come quelle proposte dall’Uisp, possono andare a incidere sulla mentalità di un maschile che non sa stare nei limiti e deve sempre andare oltre se stesso e per tenere in piedi questa identità è costretto a mostrarla e rinnovarla, superare i record, cercare la prestazione ossessiva. La competizione è onnipresente e il modello della guerra è pervasivo".

"Nel nostro centro - prosegue Michele Poli - inseriamo gli uomini che hanno fatto violenza in un percorso di scambio e confronto che li aiuta a modificare i propri comportamenti. È un lavoro rivoluzionario qui in Italia, perchè si occupa di quello che si è sempre ignorato: chi ha fatto il male è sempre stato rinchiuso, allontanato, noi ci lavoriamo e con discreti risultati. Diamo vita ad uno spazio di riflessione sul maschile che non esiste nella società, gli uomini non hanno un luogo dove possono approfondire vissuti, emozioni, problemi, molti restano perchè qui trovano un sostegno. Noi non proponiamo un modello corretto di essere maschi, ma un percorso da fare insieme attraverso uno scambio, il grosso del lavoro è fatto con il dialogo e il confronto. Infine, andiamo nelle scuole a fare prevenzione insieme alle donne del centro antiviolenza, dalle elementari alle superiori, per aprire una riflessione sulla differenza di genere e la violenza. Il nostro obiettivo è modificare la cultura, facendola emergere da un sapere collettivo, costruito dalla società, perché anche la violenza è connotata culturalmente”. (Elena Fiorani)

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