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Roma

Lo sport che abita le frontiere: l'UISP di Roma compie 70 anni

L'U.I.S.P. di Roma nasceva oggi, 70 anni fa.

Quel 12 settembre del 1948 in realtà ancora si chiamava U.R.S.P. - Unione Romana Sport Popolare, ché il congresso fondativo nazionale si sarebbe tenuto la settimana successiva a Bologna, nella cornice di una piccola olimpiade che vide centinaia di atlete e di atleti, provenienti da tutta Italia, spesso alle prime armi, confrontarsi in diverse discipline, di squadra e individuali.

L'Olimpiade, la XIV, quella vera, la prima dopo Berlino 1936, si era conclusa solo il 14 agosto di quello stesso anno a Londra, aveva visto la compagine italiana farsi onore. L'organizzazione complessiva della spedizione finì per rispecchiare, al contempo, il dissesto e il fermento generale in cui versava un intero Paese: ancora in ginocchio dal punto di vista economico e infrastrutturale, ma in preda a una vitalità frenetica, che investiva società, politica, cultura. E quindi anche lo sport.

Lo Sport Popolare era a pieno titolo parte di quel mosaico multicolore che, tessera dopo tessera, andava definendo i caratteri della nuova Italia repubblicana, i cui fondamenti poggiavano sulle le forze e sui valori che avevano guidato la guerra di Liberazione e sulla Costituzione che da questi aveva preso ispirazione e forma.

L'U.I.S.P., in realtà, aveva mosso i suoi primi passi già nell'immediato dopoguerra, ma senza ancora chiamarsi così. Lo Sport Popolare inizio a camminare sulle gambe delle ragazze e i ragazzi del Fronte della Gioventù, l'organizzazione che contava quasi un milione di aderenti provenienti dalle componenti giovanili dei grandi partiti antifascisti di matrice laica e repubblicana, comunisti e socialisti in testa.

Lo sport italiano, infatti, dopo oltre venti anni di fascismo, venne considerato un terreno da ricostruire e rifondare, proprio come si stava facendo con le strade, le ferrovie, i ponti e le città.

Poi le cose non andarono esattamente così, ma quella è un'altra storia.

Questo il contesto generale dentro cui la U.I.S.P. tentò anche di riannodare le fila di un'idea di sport, libero e libertario, che tra fine '800 e inizi '900 aveva dato vita a esperienze diffuse e partecipate, che i due conflitti mondiali e la dittatura fascista, però, avevano di fatto azzerato.

Un'aspirazione ambiziosa, va detto, che non sempre trovò il terreno più propizio per crescere e svilupparsi, anche in ragione dell'incapacità, per certi versi strutturale, del blocco sociale e politico di appartenenza, di saper cogliere nel movimento sportivo di base le straordinarie istanze di progresso e di cambiamento di cui, se messo nelle condizioni di farlo, sa e può farsi portatore.

Incapacità, purtroppo, quasi mai affrontata in modo organico e approfondito e quindi, ancora oggi, con ogni evidenza irrisolta.

L'U.I.S.P. di Roma, da parte sua, seppe sviluppare, sin dalla sua nascita, caratteri propri e specifici, andandosi a radicare nei quartieri popolari e nelle borgate della Capitale, nei territori che, in quell'ultimo scorcio di anni '40 del secolo scorso, rappresentavano l'anticipazione della Roma che sarebbe stata, una sorta di profezia multiforme, disorganica e complessa come solo le grandi periferie sanno essere. In quel contesto niente affatto facile, l'U.I.S.P. di Roma seppe dare il meglio di sé, creando dal nulla esperienze associative, che in alcuni casi ancora esistono e resistono, riuscendo così a forgiare nell'altoforno della democrazia e dei diritti, che in quegli anni aveva acceso Roma e l'Italia tutta, dirigenti, tecnici e atleti che divennero l'ossatura di una vera e propria organizzazione di popolo.

I primi dirigenti seppero così andare oltre la tanto scontata quanto necessaria appartenenza politica e partitica (a onore del vero gli enti di promozione sportiva sono quasi sempre gemmati da partiti politici o da sottocorrenti degli stessi), costruendo con lo sport e nello sport romano uno stile, un'impronta che in quei primi anni diede il meglio di sé nell'atletica, nel ciclismo e nel calcio.

Lo sport popolare, quindi, non venne solo vissuto come strumento a cui delegare un pezzo di propaganda ideologica - che sì c'era e si vedeva - ma divenne soprattutto un luogo privilegiato dove sperimentare modelli aggregativi, regole di convivenza, dove immaginare nuovi tempi e nuovi spazi.

Tentare di elencare qui e ora nomi ed esempi, sarebbe impossibile e ingeneroso.

Impossibile perché la memoria di questa storia è una pianta fragile, mai sufficientemente coltivata e protetta, i cui fiori sono per questo rari e preziosi. 

Ingeneroso perché rischieremmo comunque di fare un torto alle tante e ai tanti, che meriterebbero di essere almeno citati.

C'è però un nome che crediamo sia giusto ricordare, perché per quanto in questi 70 anni di storia ogni dirigente, ogni atleta, ogni volontario, abbia dato il proprio contributo valido e originale, nell'U.I.S.P. di Roma c'è e va riconosciuto un prima e un dopo Giuliano Prasca.

Prasca approdò all'U.I.S.P. quasi per caso nel 1966, ereditando un Comitato ridotto ai minimi termini, in crisi di risorse umane e di cassa (una costante quest'ultima).

In dieci anni, fino alla sua elezione come consigliere al Campidoglio, per poi divenire assessore, seppe ridisegnare la U.I.S.P. romana, collocandola al centro di un dibattito sulla città e con la città, che scoprì nello sport popolare una fucina di idee innovative e anticipatrici, in grado di gettare uno sguardo al contempo lucido e visionario sulle sorti della metropoli e dei suoi abitanti.

Sedersi al tavolo con urbanisti, paesaggisti, architetti, farsi baluardo della difesa del verde pubblico ("Corri per il Verde" ancora oggi è un altro modo di dire U.I.S.P., a Roma e non solo), studiare lo stato di salute delle bambine e dei bambine dei nuovi quartieri romani, tutti cemento e niente parchi - solo per portare alcuni esempi - fu il segno di un salto di qualità unico nel ruolo, negli strumenti e negli obiettivi che volle darsi lo Sport popolare a Roma a cavallo tra gli anni '60 e '70.

Senza Giuliano Prasca difficilmente l'U.I.S.P. di Roma si sarebbe addentrata in questi territori, mutando sé stessa e il mondo che la circondava.

Fu un salto identitario definitivo, un prima e un dopo appunto e di questo a Giuliano e ai suoi compagni di strada di allora (Aiudi e Isaia tra gli altri), molto dobbiamo, non solo noi dell'U.I.S.P.

Da quel momento sport e città, movimento e spazi urbani, gioco e diritti di cittadinanza, sono diventati la cifra dell'elaborazione e dell'azione dell'U.I.S.P. di Roma, il tratto distintivo di un'associazione che ha voluto così farsi interprete di un'idea di sport inteso come strumento di crescita civile, individuale e collettiva, da mettere al servizio di Roma e del suo progresso.

Queste pennellate di memoria e di ricordi necessariamente ci portano all'oggi e, più ancora, ci spingono a orientare lo sguardo al futuro, a chiederci chi siamo ora e chi potremmo e dovremmo essere domani.

Quel 12 settembre del 1948 è un luogo remoto, di un altro tempo, di altri simboli, di un'altra città. Altro.

Resta allora qualcosa di questa lunga corsa?

Resta, crediamo, una scelta di campo, che per quanto mutato, stravolto e confuso, sappiamo ancora essere il nostro.

Un campo, a ben vedere, sconnesso e rattoppato, le cui righe, spesso sbilenche e interrotte, sono comunque tracciate col gesso della democrazia e dei diritti, solo apparentemente facile a cancellarsi, ma capace di lasciare tracce leggibili anche dopo bufere e nubifragi, un po' come la "scritta invincibile" di Brecht.

Dentro questo campo si gioca. Soprattutto si gioca.

E a guidarci dovranno continuare a essere le regole imperfette ed emendabili della libertà e dell'emancipazione, di tutte e di tutti, di ognuno, perché lo sport per noi, da quel lontano giorno di settembre, non ha mai cessato di essere una bandiera di stracci colorati da issare ovunque rotoli e rimbalzi una palla, giri una ruota, si corra a perdifiato, si disegni sull'asfalto uno stadio immaginario con cartelle, zaini e giacchetti, ci sia da difendere un diritto, da allenare e far giocare la democrazia.

Perché ancora oggi, come da 70 anni, per noi lo sport è un grande drappo arcobaleno, che sventola libero lungo ogni barriera, immaginaria o reale, e che correndo, nuotando, saltando e giocando la colora, la scavalca, la annulla.

Lo sport dell'U.I.S.P. si farà futuro, se saprà portare la propria bella bandiera a farsi mondo, a scoprire, conoscere e abitare le frontiere.

La U.I.S.P. di Roma

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