Settore di Attività Nazionale

Subacquea

Ciao a tutti

Mi fa riflettere perché ho cominciato nel 1989 non sapendo nulla di subacquea, verso la fine del periodo, per me buio, ma per molti glorioso, della subacquea riservata ad una élite,  maschile, anzi da vero macho, e devo dire che ho conosciuto molti “grandi subacquei” le cui doti in acqua erano superate solo dall’ignoranza di quello che si stava facendo.  Fin da subito mi sono posto la questione se veramente la subacquea fosse un’attività la cui conoscenza non giocasse un ruolo così importante quanto la prestanza e  lo spirito temerario.

I primi dati medico scientifici che cominciavano ad essere sempre più a disposizione della subacquea, che con le didattiche commerciali e l’utilizzo del GAV stava ampliando gli appassionati e le appassionate, mi davano ragione e mi rincuoravano sul fatto che andare sott’acqua non fosse una questione di razza, di genere, di religione, o di imbecillità, ma fosse questione di volere conoscere un meraviglioso mondo che comincia a un centimetro sotto il livello del mare.

Questa idea presto diventò un chiodo fisso ed ecco perché il grosso dei miei sforzi fu per una didattica, un approccio e un andare in acqua, compatibile con le esigenze e le capacità di quante più persone possibili.

Questo non è certamente da confondere con slogan che ormai tutti sfoggiano “Subacquea per tutti”, almeno se non ci si chiarisce prima su cosa sia “subacquea”.

Un subacqueo non è chi respira da una bombola, guarda i pesci che gli fanno vedere, sta immerso il tempo che gli dicono di stare e risale quando gli dicono di risalire, e soprattutto non è subacqueo chi non sa, o preferisce non sapere il motivo per cui ad ogni livello di brevetto siano indicate profondità diverse, e cosa comporta in termini di stress fisico e di rischio ogni metro di profondità in più, ma è ben conscio di quanto sia importante il valore della “profondità massima raggiunta” all’interno della pagina di un log book .

Questo concetto non sempre passa, ma non perché non venga capito e quindi vedrò di essere più chiaro. 100 immersioni a profondità elevate ma effettuate senza la consapevolezza di ciò che si sta facendo, valgono molto meno di 50 immersioni fatte anche a profondità più modeste, ma in autonomia o quantomeno con la conoscenza e la padronanza della materia.

Andare sott’acqua accompagnati, con un percorso protetto, con regole di comportamento chiare, e con protocolli di operatività idonei  è possibile per la stragrande maggioranza delle persone, a prescindere dalle abilità, ma l’andare in acqua in determinate situazioni di rischio maggiore, non può prescindere assolutamente dalle abilità, che sono ovviamente diverse da persona a persona, ma che sono diverse anche per la medesima persona.

Sono diventato istruttore nel 1995 a 29 anni e ora che ne ho 50, posso tranquillamente affermare che darei indietro un po’ dell’”immensa saggezza” maturata, per riavere indietro il cento per cento di alcune abilità notevolmente ridimensionate.

Quando capita l’incidente e la tragedia, spesso si tratta di “subacquei esperti” come mai?

Durante le immersioni, i “subacquei esperti” fungono da catalizzatori e molti altri subacquei meno esperti, per un normale ed umano istinto di appartenenza al gruppo  sono portati ad emularne i comportamenti, se non proprio le immersioni.  Compito del subacqueo esperto a questo punto sarebbe quello di mettere la propria conoscenza a disposizione degli altri, ma l’appartenere ad un livello superiore ci porta molto più spesso a farlo notare se non addirittura a farlo pesare, e nulla più.

 Questo  comporta che se tutto va bene, il meno esperto, automaticamente si sente esperto,  ma  se qualche cosa va male la paura passata, il brutto momento vissuto, allontaneranno lentamente la persona da questa attività, come successo molte volte, perché il soggetto non si ritiene “all’altezza”.  Rimangono quindi solamente i “subacquei esperti” e quelli che si sentono tali, ma a questo punto bisogna capire bene quello che si sta facendo.

Se dopo un piccolo incidente o un errore che comunque si risolva, noi ci limitiamo a dire che è andata bene, a non discuterne, a non cercare di capirne le cause, guardarne le conseguenze, chiedere comunque un consulto medico per scongiurare un pericolo latente, non stiamo facendo del bene a noi stessi, e se siamo istruttori o accompagnatori, e non diciamo nulla, non facciamo del bene nemmeno alla subacquea.

La subacquea non è pericolosa in sé, ma ha una componente di rischio che aumenta notevolmente con il mutare di alcune condizioni, tra cui una delle più significative è la profondità.

L’aumentare della profondità dovrebbe seguire un aumento di consapevolezza di ciò che si sta facendo, e non seguire istinti di grandezza o di emulazione che non portano sicuramente bene.

Quando la notizia era ancora fresca e si parlava di subacquei dispersi, sui vari tg si alternavano esperti gestori di diving che elencavano alcune raccomandazioni per effettuare immersioni con condizioni di rischio accettabili, alcune di queste sono per me assolutamente condivisibili e vorrei citarle.

Immergersi sempre in coppia, ma aggiungo, dare grande importanza alla fase di breefing nella quale bisogna comunicare se non si è in grado di provvedere a sé stessi in acqua. Non è scandaloso non sentirsi sicuri e richiedere un aiuto preventivo, ma è molto pericoloso ometterlo e palesarlo durante l’immersione.

Non superare i limiti di profondità dettati dal proprio livello, ma aggiungo, anche se questo mi pone ufficialmente in una situazione di assoluta impopolarità, che sebbene il nostro livello ci consenta profondità importanti, non siamo obbligati a raggiungerle.

Il limite dei 39 metri (40 per molte  didattiche) fissa il termine delle immersioni considerate ricreative/sportive, e andando più profondi si entra nell’alveo delle immersioni tecniche che richiedono  corsi, protocolli, procedure di emergenza, attrezzature e preparazione psicofisica adatti al tipo di immersione. Superare tale limite in mancanza di una più  delle condizioni elencate rende il tutto un azzardo che ha come unica base “scientifica” la solita frase ….- ma si è sempre fatto!!!

Conoscere la propria attrezzatura, e aggiungo, le proprie condizioni. È importante un erogatore funzionante ma anche il nostro fisico lo deve essere. Un livello di brevetto preso in una particolare circostanza, non ci rende idonei per tutta la vita, ad ogni condizione. L’onestà con noi stessi è la prima cosa da assicurare.

Cercare di capire i propri limiti, che non sono scritti in nessun brevetto e che assolutamente non possono essere un motivo di vergogna o impedimento. Se andare sott’acqua  deve essere accessibile a tantissime persone, non tutte le immersioni lo sono e questo dobbiamo saperlo, noi per primi.

Mi scuso per la lunga riflessione che però mi sento in dovere di condividere in questo momento, perché incidenti piccoli o tragedie grandi come quelle di Palinuro devono almeno diventare motore di discussione e aumentare la consapevolezza, mentre spesso si cerca di celare, minimizzare e omettere.

Non ho mai conosciuto subacquei che non hanno sbagliato. Quelli che hanno capito lo sbaglio hanno cercato di porvi rimedio nelle immersioni successive, gli altri continuano ogni volta a dare la colpa al fattore Sfiga…ogni anno aumenta il numero delle immersioni nel logbook, ma non la conoscenza… in caso di incidente comunque si conteranno le immersioni nel logbook.

Leggo ora che, come spesso accade in Italia “ a posteriori” , la politica si interroga, a fronte di questo ennesimo incidente, se non sia giunto il momento di legiferare sulla subacquea, e ricordo a tutti gli appassionati che questo può voler solo dire porre divieti, limitazioni, sanzioni, ma non aggiungerà nulla sul piano della sicurezza che ognuno di noi deve comunque ricercare assieme allo svago.

Nel 2012 durante il Premio Marcante di Genova, ho avuto l’occasione di conoscere Yves Omer, lo storico cineoperatore di Jacques Cousteau che davanti alla platea del premio, con assoluto candore ammise che all’epoca si scendeva unicamente con la forza del proprio fisico di giovani militari temerari, senza la consapevolezza di ciò che si stava rischiando. In privato, dopo avergli esternato come i suoi filmati fossero stati importantissimi per far conoscere l’ambiente sottomarino, e per la divulgazione della subacquea, ma quanto fosse inquietante l’ammissione di “ignoranza”e dopo avergli parlato del Progetto Nemo, Yves Omer, tenendomi il braccio mi disse, con una certa commozione, “ noi non avevamo altro che orgoglio e spregiudicatezza,  ora però la subacquea moderna non può prescindere dalla consapevolezza e dalla conoscenza.”

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