Settore di Attività Nazionale

Montagna

Se dico coach... cosa vi viene in mente?

 

Sono le 8 del mattino, l'indicatore di temperatura dell'auto segna già 28 gradi e preannuncia un'altra giornata di sole implacabile! Ho aderito alla richiesta di un team di arrampicatori professionisti di allenarsi per acquisire competenze specifiche nell'ambito del processo di comunicazione. Arrampicatori professionisti che coniugano la passione per uno sport, dall'apparenza dura e pericolosa, con l'allenamento sia di sportivi normodotati sia di ragazzi disagiati, disabili o con gravi menomazioni visive ed uditive.

L'appuntamento è a Monte Pertuso, Positano.

Il programma è per me molto stimolante per più ragioni: l'argomento scelto "il processo di comunicazione" base di relazioni efficaci, la platea composta da sportivi di una disciplina complessa che mette insieme aspetti fisico/motorio con componenti psicologiche, la location sospesa tra cielo e mare...

Proprio perché sospesa, raggiungere la Selva - l'agriturismo dove si è svolto il raduno per 4 giorni di seguito - mi pone da subito di fronte ad una sfida e ad un impegno imprevisto.

Una vecchia strada, una mulattiera con gradoni tagliati a secco nella roccia, per raggiungere una piattaforma in legno naturale posta su uno dei tanti terrazzamenti tra pareti rocciose a picco, alte e continue.

Però una finestra sul paradiso!

 

 

 

 

 

Condivido l'esperienza del viaggio con Anna, una docente scolastica. Aggrappate ai bastoni telescopici sfidiamo le leggi di gravità. Sudorazione accentuata, fiato mozzo, muscoli che fino ad un attimo prima sopivano silenti, tornano a guizzare come anguille (nei giorni successivi l'acido lattico completerà l'opera...).

Lo zaino scaricato di fianco agli atri, entriamo nella veranda e facciamo la nostra conoscenza con atleti agili, snelli e... soprattutto asciutti (noi continueremo a sudare per la successiva ora con effetti disastrosi sul look in generale), ci soccorre il proprietario offrendoci brocche d'acqua e frutta fresca per reintegrare sali minerali persi in abbondanza.

L'atmosfera è carica di aspettative: ci presentiamo a turno, annoto i loro nomi e alcune espressioni che utilizzerò come " cappello" durante lo spazio da me gestito.

Vado a "marcar territorio", come si dice in gergo, chiedo di visionare il luogo dove si svolgeranno i lavori. Attraversiamo un altro pezzo di montagna, giungiamo su un primo terrazzamento, supero due muli (due muli???) non senza timori e per giunta di dietro (nessun recupero di una qualsivoglia memoria contadina) ed infine arriviamo su una pedana con tettoia, tutta di legno, molto zen.

Davanti a noi l'azzurro fluorescente del mare, il fianco della roccia grigio e tagliente e su di noi un cielo di sole.

E tutta la tecnologia? E lo schermo? Come vedremo le slide preparate per l'occasione?

Più che il caldo poté lo sconforto...

Arriva Gabriele, factotum del luogo, soprannominato 'o baron (il barone, di certo per la nobiltà d'animo), età apparente 60 anni - ma ne potrebbe avere 10 in più o in meno - armato di filo elettrico, chiodi, martello e tanta buona volontà, pronto per allestire l"aula".

Ad un chiodo appende un rotolo di carta che scorre su un cordoncino, ed ecco la lavagna a fogli mobili. A terra stuoini per una seduta a gambe incrociate. Su una parete di mattoni uniti a secco Cristian stende un lenzuolo sostenuto da mollette di plastica, ed ecco un candido schermo!

Il pc e il video proiettore compaiono portati a mano da alcuni volenterosi scalatori che saliranno e scenderanno un numero imprecisato di volte senza scomporsi più di tanto. Nel fervore dell'allestimento io seleziono il materiale, sforbicio qua e là, snellisco al massimo e sudo copiosamente. Ci portano il caffè, quello fatto in casa, lo divido con Anna. Arrivano i primi arrampicatori, studiano la scena, si scelgono il posto, allungano lo stuoino e giù in modo ordinato.

Stefano, che ha organizzato il convegno, apre i lavori e presenta prima Anna e poi me. Anna si muove un po' intimidita (parole sue) fra gli arrampicatori e dà preziose indicazioni su come realizzare un Progetto.

Parte dalla sua definizione, lo scompone in finalità, obiettivi, risorse, tempi, monitoraggi, riformulazione e verifiche.

Sulla lavagna a fogli mobili le diverse fasi del progetto prendono forma, la parte finale (quella che tocca terra) richiede eccezionali prestazioni contorsionistiche ed equilibrio. La platea diligente prende appunti e rivolgono le prime domande ad Anna. Lei completa e mi lascia la scena

Tocca a me.

Li guardo e ... mi viene in mente uno slogan "muscoli ed ideali".

Questa quattro giorni servirà alla platea ad acquisire un riconoscimento professionale che gli permetterà di far arrampicare, in modo protetto e in totale sicurezza, ragazzi che altrimenti resterebbero esclusi.

"Sport per tutti" (così recita il claim dell'associazione UISP che ha l'obiettivo di estendere il diritto allo sport a tutti i cittadini http://www.uisp.it/nazionale ).

Sport per ognuno che lo voglia fare, che voglia provare, che si voglia confrontare.

Sono presentata come un coaching, correggo il tiro: sono un coach, un life coach, un free climbing coach.

 

Se dico coach cosa vi viene in mente?"

"Un allenatore", "un trainer sportivo", "qualcuno che fa sport e fa fare sport".

La metafora è ghiotta ed io ci sguazzo!

"Certo un allenatore non di muscoli ma di risorse, di talenti".

Anch'io scaldo i miei muscoli, lascio andare la definizione da manuale e mi aggancio al loro lavoro/sport che mi aiuta a "definire" la metodologia e l'obiettivo del coaching, del coach e del coachee.

Quest'ultimo, dico, va espresso in positivo, deve essere raggiungibile, sotto il proprio diretto controllo, ecologico, visualizzato.

La stesura di un piano d'azione, con i singoli step, ripropone lo schema di arrampicata con le singole tappe. L'elenco di risorse disponibili - l'equipaggiamento personale - e di risorse da allenare che procede con l'identificazione del proprio stile di arrampicata - col quale affrontare la progressione della salita - con il solo utilizzo del corpo, appoggiando e incastrando il corpo intero o sue parti.

La visualizzazione della meta ripropone gli esercizi di concentrazione effettuati prima dell'arrampicata - per richiamare l'energia cognitiva ed emozionale - e percorrere l'intera facciata individuando possibili ostacoli o vincoli interni od esterni.

In generale lo sforzo fisico nelle scalate è discontinuo e richiede forza massima e resistenza allo sforzo. Le tecniche di arrampicata sono molte e piuttosto varie e adattabili alle caratteristiche peculiari di ciascuna persona: le conoscenze ricevute da "maestri" o arrampicatori più esperti, la conformazione fisica e il coordinamento psicomotorio sono assimilabili al ruolo di guida del coach che sfida il suo coachee a trovare il suo modo per identificare e raggiungere i suoi obiettivi...

Il coach è responsabile del processo così come un istruttore di arrampicata è responsabile del processo attivato per mettere in sicurezza l'atleta allenando le risorse cognitive, emozionali, psicologiche e fisiche, sfidandolo a raggiungere, step superiori senza strafare e nel pieno rispetto di sé e della natura circostante. L'atleta, come il coachee, è a sua volta responsabile dei risultati, frutto di consapevolezza e di impegno responsabile.

 

 

 

 

 

La platea mi ascolta con interesse stoico nonostante il caldo incessante, li guardo, mi sintonizzo con i singoli sguardi, scopro, non senza stupore, che tra noi c'è anche Gabriele. Non perde una parola di quello che dico, ascolta seduto nel suo angolo con le gambe fuori dalla pedana.

Per descrivere la possibilità di ampliare il proprio punto di vista e integrarlo con quello dell'altro e com-prendersi faccio uso di illusioni ottiche

 

 

 

 

 

 

 

   (FIG 1)                                          (FIG 2)

L'effetto è assicurato. Ognuno visiona la propria copia e commentiamo i disegni. Di solito la platea chiede un'interpretazione psicologica del perché si è visto prima un profilo e poi un altro (FIG 1) o una sagoma del viso piuttosto che la figura per intero (FIG 2). Riporto l'attenzione sulla possibilità di "vedere doppio" dopo aver individuato i due disegni!

Chiedo infine di scrivere una definizione personale di comunicazione e di condividerla. Subito dopo gli chiedo di individuare quali elementi rendono una comunicazione efficace e quali invece la rallentano o la bloccano.

Riporto le loro definizioni sulla lavagna a rotolo.

Via via si succedono e, a volte si ripetono, confermando come la comunicazione sia un processo frutto di relazione, attenzione all'altro, di rispecchiamento, di simpatia ed interesse, di ascolto.

Intanto il sole cala e allenta la presa, l'aria è ora più leggera, lo schermo restituisce immagini più nitide.

Il processo di comunicazione scorre. Ho usato molte immagini cartoon, volevo immagini con grande potere evocativo ed i cartoon agevolano questo risultato.

"Non si può non comunicare" è l'assioma più gettonato e facilita la definizione degli elementi costituenti il processo: verbale, paraverbale e non verbale.

 

 

 

 

 

Parlo di bolla prossemica, a quel punto sono seduta tra di loro, su uno stuoino condiviso. Allungo il braccio per spiegare le differenti distanze possibili, tollerabili in un paese europeo e quelle possibili in un paese del mediterraneo ed anche le differenti percezioni che possono aver luogo, indipendentemente dalle intenzioni, in contesti diversi.

Faccio continuamente riferimento alle loro definizioni usando un linguaggio di rispecchiamento verbale e posturale.

Passo alla definizione di ascolto - il tempo a mia disposizione è quasi finito - ma non voglio rinunciare a questa parte. Mi soffermo sull'ascolto, l'ascolto attivo, l'ascolto partecipe. Parlo con loro di ascolto profondo come quella competenza che, se sviluppata in modo consapevole, gli permetterà di accedere ad una "visione doppia", di aumentare la com-prensione, la percezione dei bisogni latenti, inconsapevoli o inesprimibili attraverso il solo uso delle parole.

Il loro ruolo di arrampicatori, sportivi, atleti la cui sfida è allenare i diversi, i disabili, i disagiati a superare evidenti limitazioni e/o vincoli esterni ed interni offre una speranza di normalità inconcepibile fino a qualche tempo fa. Il lavoro volontario unito a forti ideali a forza di concentrazione e al potenziamento muscolare ha reso possibile la realizzazione di quella che sembrava una missione improbabile e molto pericolosa.

Uso una metafora come linguaggio alternativo per parlare dell'ascolto, gliela narro e intanto faccio scorrere sequenze fotografiche.

La metafora ottiene un effetto ipnotico evidente: Gabriele non si è mosso dal suo posto e con lui anche gli altri.

Le ultime immagini cartoonistiche e paradossali preludono alla chiusura della mia finestra sulla comunicazione che mi era stata "commissionata".

Resto in silenzio, aspetto ulteriori domande...

Anna (un'arrampicatrice) batte le mani, gli altri la seguono.

Ringrazio e restituisco grata.

Matilde Cesaro Luglio 2010