Nel servizio della giornalista Chiara Nardinocchi, pubblicato da Huffington Post e Repubblica, si legge che "il razzismo nello sport non è un fenomeno nuovo, ma negli ultimi anni, complici la polarizzazione del discorso politico e la grancassa dei social, gli episodi sembrano moltiplicarsi e colpire gli atleti del campo e dagli spalti. Promuovere una legge sulla cittadinanza più inclusiva è uno dei passi necessari per superare le discriminazioni, per questo in molti guardano con fiducia al referendum dell’8 e del 9 giugno".
"Lo sport è il terzo polo educativo dopo famiglia e scuola – dice Tiziano Pesce presidente nazionale Uisp, associazione che ha lanciato l'invito a partecipare ai Referendum e a votare SI a questo e agli altri quesiti – e credo che azioni progettuali di educazione e di sensibilizzazione possano essere uno strumento importantissimo. Un altro elemento molto importante è anche la formazione di giudici e degli arbitri perché c’è bisogno di maggiore omogeneità. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a decisioni molto diverse sul campo".
Pubblichiamo alcuni passaggi dell'articolo di Huffington Post e Repubblica:
CITTADINANZA ITALIANA E SPORT, COSA POTREBBE CAMBIARE
Insulti dagli spalti , discriminazione in campo e violenze non solo verbali. Gli atleti con background migratorio che rappresentano l’Italia sono sempre più numerosi , ma oltre a gestire la competizione , devono ancora fare i conti con una società che li penalizza. Uno scollamento che parte dal diritto alla cittadinanza e che quest’ultimo potrebbe contribuire a sanare. E si guarda con speranza al referendum dell’8 giugno. Di Chiara Nardinocchi
Alcuni atleti sanno già che a loro non basterà essere più bravi degli altri. E che probabilmente da una parte di pubblico e di maestranze, non saranno giudicati solo in base alla prestazione in campo. Il razzismo nello sport non è un fenomeno nuovo, ma negli ultimi anni, complici la polarizzazione del discorso politico e la grancassa dei social, gli episodi sembrano moltiplicarsi e colpire gli atleti del campo e dagli spalti. Promuovere una legge sulla cittadinanza più inclusiva è uno dei passi necessari per superare le discriminazioni , per questo in molti guardano con fiducia al referendum dell’8 e del 9 giugno. “Si darebbe una risposta a chi aspetta di essere riconosciuto per ciò che sente già di essere”, spiega Simohamed Kabbour coordinatore della rete IDEM Network (tra i soggetti promotori del referendum) che raccoglie attivisti politici con background migratorio e non. “Nello sport, inoltre, si permetterebbe agli atleti di gareggiare senza il fardello che comporta non essere riconosciuti in quanto italiani e dare un’arma in più per combattere il razzismo che alcuni sperimentano sulla loro pelle”.
NESSUNO ESCLUSO
Nonostante l’aumento della rappresentanza di ragazzi con background migratorio sia sempre più incisiva nelle nazionali , ancora oggi il razzismo contro gli addetti ai lavori continua fuori e dentro gli stadi e i palazzetti di mezza Italia. Dall’attaccamento della Fiorentina e della nazionale italiana Moise Kean coperto di insulti razzisti dopo un match contro l’Inter fino all’insulto “scimmia” gridato dagli spalti da una mamma contro una giocatrice durante una partita amatoriale tra Rimini Happy Basket e Nuova Virtus Cesena, sono solo alcun degli episodi emersi nelle ultime settimane. Ma da dove arriva tutto questo odio?
“Il calcio- spiega Tiziano Pesce , presidente di Uisp, Unione Italiana Sport Per tutti che coordina l’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport – continua ad essere una delle attività sportive non solo più seguite ma anche praticate sul territorio, e probabilmente è anche quello in cui sono più frequenti episodi di razzismo. Ma forme di discriminazione si registrano in quasi tutti gli sport in cui, soprattutto a causa di specifiche qualità fisiche, sono presenti più ragazzi con background migratorio o seconda generazione”. “L’identificazione dell’italianità ” con dei tratti somatici definiti e la situazione socioeconomica, alimentano il clima ostile – afferma Kabbour-. Negli ultimi anni c’è stato un lungo passo indietro nella scela del lessico politico. Alcuni partiti hanno mostrato un volto ancor più estraneo di quello che conoscevamo tanto che alcune coordinate di etica e buonsenso sono letteralmente saltate”.
UN’IMMAGINE IRREALE
La questione dell’identità come grimaldello per aggredire chi non rientra nel recinto ideale disegnato attorno a quel concetto è alla base dei discorsi d’odio e delle aggressioni di stampo xenofobo e razziste. Ma è anche un ostacolo all’integrazione. A dirlo sono i dati del rapporto Amref Health Italia elaborato assieme ad Ipsos sull’opinione degli italiani su Africa e salute. “Conosciamo da vicino la ricchezza, le competenze e l’energia delle nuove generazioni: giovani nati o cresciuti in Italia, o arrivati qui dopo percorsi lunghi e spesso complessi - spiega Paola Crestani, presidente di Amref Italia - Sarebbe importante poterli riconoscere come italiani non solo di fatto, ma anche di diritto, garantendo loro l’accesso alla cittadinanza. In attesa di una riforma organica della legge sulla cittadinanza, la proposta di ridurre da 10 a 5 anni il requisito di residenza legale e continuativa per accedere alla cittadinanza italiana rappresenta un progresso concreto. E’ un passo nella giusta direzione, verso un’Italia più inclusiva e consapevole, capace di riconoscere pienamente l’appartenenza e il contributo di migliaia di giovani che già vivono e costruiscono il futuro nel nostro Paese”.
LE EMOZIONI SUSCITATE DAGLI ATLETI NERI
Il 49% degli intervistati dichiara che i cittadini africani residenti in Italia sono troppi, sebbene solo il 13% sia in grado di dare la corretta stima. A influire sulla percezione fuorviante sono stereotipi, come l’essere manovalanza a basso costo o reticenti ad adeguarsi agli usi e costumi italiani, che ostacolano l’integrazione. E questo si ripercuote anche nello sport che della vita è anche nello sport che della vita è allegoria e rappresentazione, ma anche universalmente riconosciuto come veicolo di integrazione. E i dati parlano chiaro. Poco più di un cittadino su due (53%) prova orgoglio nel veder gareggiare atleti e atlete di origine gareggiare atleti e atlete di origine africana, mentre indossano la maglia azzurra. Percentuale che si massimizza proprio tra i più giovani (62%). Inoltre, solo il 48% degli intervistati non è solo il 48% degli intervistati non è d’accordo con l’affermazione che gli atleti di origine africana nelle nazionali italiane non sono veri italiani , con importanti variazioni in base all’età laddove i boomers sono la generazione che più crede nell’italianità di questi che più crede nell’italianità di questi sportivi.
In media gli italiani che non hanno dubbi sull'"italianità" degli sportivi afrodiscendenti sono il 48%. Per il restante pochi sono del tutto sicuri che questa rappresentanza sia indegna, mentre il 39% ha dei dubbi. Guardando alla generazione dei Millennials, ossia i nati tra gli inizi degli anni '80 e la metà degli anni '90 aumenta la percentuale di chi ha più o meno dei dubbi sulla rappresentatività degli atleti neri nelle nazionali, mentre rispetto alla media sono meno quelli che li ritengono "veri italiani". Tra i nati tra il 1965 e la fine degli anni e la fine degli anni '70 aumenta l'indecisione e diminuisce ulteriormente la percentuale di chi ritiene veri italiani gli sportivi neri nelle nazionali. Un dato sorprendente è che tra tutte, è la generazione dei boomers (1946 1964) quella in cui una percentuale schiacciante di intervistati che ritiene gli atleti neri rappresentativi dell'Italia dell'italianità. Residuale la percentuale di chi non si dice assolutamente d'accordo con questo riconoscimento. La generazione Z, i ragazzi nati da metà degli anni '90 e il 2010, è quella che ha la percentuale più bassa di persone che ritiene gli atleti neri credibili rappresentanti della maglia azzurra. Ma a differenza dei boomer, sono di più i ragazzi che si ritiene abbastanza o poco d'accordo.
CHE FARE?
"È difficile superare la dicotomia che vede lo sport sia come veicolo di integrazione, sia come teatro di atteggiamenti razzisti – sottolinea Simohamed Kabbour – perché nei contesti di folla le persone spesso perdono il senso della realtà e finiscono per conformarsi trasportate dall’antagonismo abbracciando atteggiamenti discriminatori per offendere l’avversario". Per contrastare questa deriva sarebbe necessario un duplice approccio. Il primo di sensibilizzazione sulle tematiche , dall’altro agire sulle norme, sia in ambito di cittadinanza sia con un inasprimento delle regole che ancora oggi lasciano molto spazio di manovra ai linguaggi d’odio. "Lo sport, a mio avviso è il terzo polo educativo dopo famiglia e scuola – continua Tiziano Pesce della Uisp – e credo che azioni progettuali di educazione e di sensibilizzazione possano essere uno strumento importantissimo. Un altro elemento molto importante è anche la formazione di giudici e degli arbitri perché c’è bisogno di maggiore omogeneità. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a decisioni molto diverse sul campo". Ad essere sensibilizzati quindi non sono solo i ragazzi . Stando ai dati dell’Osservatorio sulle discriminazioni nello sport istituito dall’UNAR – Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali con le Federazioni sportive nazionali e le organizzazioni, episodi di intolleranza e razzismo si registrano anche a livello amatoriale ed è necessario lavorare con gli operatori sportivi poiché a volte sono proprio loro a non riconoscere o a sottovalutarli minimizzandone la portata. E ancora, succede che siano le stesse vittime a non dare peso o riconoscere atteggiamenti discriminatori.
CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO
Ciclicamente si torna a parlare di nuove regole per punire più severamente i comportamenti razzisti nello sport, ma ad oggi molto si lascia all’iniziativa dei singoli. "Quelle delle norme contro gli episodi di razzismo – continua Tiziano Pesce – è un terreno molto scivoloso perché le tifoserie e club hanno rapporti di interdipendenza molto delicati. Io credo che giunti a questo punto sia necessario inasprire il regime sanzionatorio per chi commette atti di razzismo” commette atti di razzismo”. A fargli eco è Simohamed Kabbour che sottolinea come “da una parte credo che come “da una parte credo che basterebbe darsi delle regole per arginare certi atteggiamenti. Se invece la regola è assicurare il profitto, piuttosto che consolidare il piuttosto che consolidare il buonsenso, sarà difficile superare il razzismo. Inoltre, non possiamo lasciare la discrezionalità alla singola persona, poiché vuol dire addossare loro la responsabilità in toto; invece, ci devono essere delle regole condivise devono essere delle regole condivise anche da chi non le vorrebbe. Questo sempre se l'intento è quello di superare le discriminazioni e salvaguardare lo sport come veicolo di integrazione e inclusione, ma integrazione e inclusione, ma soprattutto di riscatto sociale”.
UNA QUESTIONE DI CITTADINANZA
Per cambiare la percezione e superare la diffidenze e il pregiudizio l’altro, nella società così come nello l’altro, nella società così come nello sport, la legge sulla cittadinanza può rivelarsi uno strumento per facilitare l’inclusione e rimuovere parte della narrativa sull’idea di un’italianità singola ed escludente. singola ed escludente. Secondo il report di Amref, il 61% degli intervistati ritiene quella corrente (che prevede la cittadinanza solo dopo i 18 anni, con 10 anni di permanenza continuativa nel paese) una legge positiva, una percentuale che scende tra i più giovani. Ma le difficoltà di accedere alla cittadinanza, alimentate da scelte politiche che da tempo rendono politiche che da tempo rendono sempre più difficile il suo raggiungimento, ledono le possibilità dei più giovani non solo di godere degli stessi diritti e dello stesso riconoscimento dei loro pari.
VALUTAZIONE DELLA LEGGE SULLA CITTADINANZA
“Oggi le persone di origine immigrata sono vissute come subordinate rispetto a chi è autoctono da generazioni e la cittadinanza può riequilibrare i rapporti in termini di riequilibrare i rapporti in termini di prospettive”, spiega Simohamed Kabbour che assieme ad altri esponenti della società civile ha redatto e raccolto le firme per il l referendum sulla cittadinanza “Figli e figlie d’Italia”. “È chiaro – continua - la presenza delle persone con dei background migratori in determinati contesti è un atto politico così come prendere la parola in un certo contesto ti autodefinisce ed è un contesto ti autodefinisce ed è un modo per fare politica”. Non è un caso che pochi sportivi hanno deciso di denunciare o di esporsi su tematiche relative al razzismo perché da un lato teme di esser percepiti come vittime, dall’altro di catalizzare su di sé, in una sorta di effetto boomerang, l’odiodei leoni da tastiera o delle tifoserie. "Per le persone migranti oggi–– conclude Kabbour - certificare la continuità della loro presenza in Italia è difficile. Quindi il passaggio da 10 a 5 di permanenza è solo un primo passo verso una legge che le aiuti a ottenere la cittadinanza italiana. E anche per chi nasce qui, visto che a 14 anni si inizia ad essere soggetti con responsabilità legale allora ritengo che sia giusto adeguare alla stessa età la possibilità di richiedere la età la possibilità di richiedere la cittadinanza. L'Italia sta perdendo una grande ricchezza di talenti e anche banalmente di contribuenti. Per questo spero che alle urne gli italiani scelgano di votare sì".