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Piacenza

Terzo settore? Teniamoci il nome e diciamo "no" a vestiti inadatti

Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore, interviene nel dibattito innescato da Stefano Zamagni: cambiare nome al terzo settore?


Piacenza, 10 settembre 2024 – L’economista Stefano Zamagni al recente Meeting di Rimini ha avanzato una proposta: "Non chiamatelo più terzo settore, meglio settore civile". Spiega inoltre che “società civile”, è un’espressione che più correttamente "elimina una sorta di condizione di subordinazione rispetto al settore pubblico e al settore privato". Sarà così? Il magazine Vita ha ospitato l'intervento di Zamagni e da lì è iniziato un dibattito che sta proseguendo in questi giorni. Il nome terzo settore riesce a riassumere questo mondo in continua evoluzione? E ancora: che cosa è diventato davvero il terzo settore?

Gli esiti del dibattito, con interventi ricchi e stimolanti che cercheremo di riassumere, sono ancora incerti. Il sasso nello stagno è stato lanciato ed è utile proseguire nella riflessione.

Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo settore, è intervenuta nel dibattito e scrive: «Il terzo settore è la cerniera che mette in relazione e pubblico e privato. Siamo un modello di sviluppo alternativo. La politica invece continua a proporre al terzo settore “vestiti” inadatti».

Con quest’ultima affermazione, Pallucchi vuole porre l’attenzione sulla debolezza degli strumenti di sviluppo di cui il terzo settore dispone, a partire dalla quantità immensamente inferiore a quella a disposizione del profit. Eppure sappiamo che in questo decennio di crisi, il terzo settore è stato l’unico in grado di crescere anche in termini occupazionali. Insomma, l’obiettivo per il futuro è quello di dare pieno riconoscimento sociale ed economico strategico a questo settore in grande e costante evoluzione.

E' intervenuto con un articolo anche l'economista Bruni: "L'essere civili in economia è una cultura, un modo di intendere l'economia stessa". Secondo l’economista, superare l’appellativo obsoleto di “terzo” potrebbe essere utile, in quanto è ormai troppo fluido per relegarlo ad una mera classificazione. Ma parlare di “settore civile”, richiede una riflessione e Bruni prosegue: "l’economia civile o il “civile”, non sono un settore del Paese, cioè un’unica prospettiva. In fondo, anche lo slogan della Scuola d’Economia Civile di Firenze, di cui Zamagni è cofondatore e presidente onorario, è “O è civile o non è economia”. Quindi non può essere il Settore civile, il nome nuovo". Inoltre, aggiunge, potrebbe essere limitativo in quanto lascerebbe fuori il mondo “for profit” che sta contribuendo alla sua affermazione.

Filippo Giordano, aziendalista della Lumsa, ritiene che l’approccio economico-aziendale suggerisca una strada che è quella del finalismo istituzionale. Partendo dal presupposto che l’attività economica, che è attività di trasformazione di risorse per produrre beni e erogare servizi, è ciò che caratterizza tutte le forme istituzionali che popolano il sistema economico, l’elemento distintivo è il fine istituzionale perseguito dai diversi attori economici. Il fine influenza caratteristiche e strutturazione dei processi di creazione di valore nelle organizzazioni. Di fianco al settore pubblico abbiamo due diverse categorie di istituzioni: quelle che nascono per perseguire il fine primario di creare valore economico per il loro sistema di stakeholder e quelle che nascono per perseguire primariamente obiettivi sociali, attraverso differenti modalità di svolgimento dell’attività economica (modelli di business) e quindi di finanziamento, da qui la possibilità di adottare diverse forme giuridiche (associazione, fondazione, cooperativa, impresa sociale).

Il pubblico, aggiunge, in questo scenario dunque deve ritagliarsi sempre più un ruolo di governance costruendo un quadro normativo abilitante, con incentivi fiscali per chi dimostra di contribuire efficacemente alla risoluzione dei nostri problemi sociali.

Per il presidente di Arci nazionale, Walter Massa,  la sollecitazione del professor Zamagni richiama la necessità di una «revisione di sistema» e di un recupero dei valori del libero associazionismo, che è messo fortemente in crisi da alcune storture della riforma sul Terzo settore. Per Massa si vuole rendere commerciale ciò che è “un’azione di società civile”, per questo è necessaria una riflessione di sistema che parta da noi e coinvolga le istituzioni.

Stefano Granata, presidente Confcooperative Federsolidarietà, è utile accettare la sfida lanciata da Zamagni: " Porsi come settore civile vuol dire “uscire dal recinto” e definirsi come modello avanzato soprattutto per il mondo del lavoro". Secondo Granata, l’obiettivo è entrare nei mercati veri e non stare nei mercati marginali. Il punto di partenza della riflessione non a caso è la sanità, che non può essere o solo pubblica o solo privata; la centralità deve essere la cura e attenzione del malato. Il cambio di paradigma sta nella sussidiarietà circolare: in cui partecipano alla co-programmazione privati, pubblico e settore civile. In questo senso, ci si fa carico dei bisogni di una comunità e si dà una risposta.

Leonardo Becchetti, docente di Economia all'Università di Tor Vergata, ritiene che il civile debba essere l’unico grande settore privato del Paese (differenziato settorialmente per tipi di produzione) dove tutte le organizzazioni rispettino i quattro capisaldi del nuovo paradigma economico, a cominciare dal fatto che le persone sono cercatrici di senso, affamate di relazioni e vocate alla generatività. Come tali devono essere valorizzate nelle organizzazioni. Ritiene inoltre che le “imprese” profit devono diventare più ambiziose e guardare all’impatto sociale e non solo al profitto, mentre l’ambizione delle imprese “not for profit” deve essere quella di creare sempre più le condizioni per la propria indipendenza attraverso la produzione di beni e servizi sociali riconosciuti e remunerati economicamente o dai privati o dalle comunità. Terzo, tutte le organizzazioni devono dotarsi di indicatori di misurazione d’impatto generativo che ci aiutano ad apprendere e a migliorare. Quarto, la politica economica non la fa soltanto la Bce, perché il civile partecipa in ottica di sussidiarietà circolare con il pubblico a co-programmare e co-progettare sulla base dei bisogni locali.

(Fonte: Ufficio Stampa & Comunicazione UISP Nazionale)

 

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