Comitato Territoriale

Genova

Marcello Bernardi attraverso il ricordo di Cesare Barioli

Marcello Bernardi, dagli anni Sessanta, è stato uno degli animatori del dibattito culturale italiano sull'educazione dei bambini e degli adolescenti. A 49 anni, già pediatra e scrittore affermato, ha iniziato la pratica del judo con un maestro quanto lui convinto dei valori della solidarietà e della cooperazione. Quel maestro era Cesare Barioli. Bernardi ha proseguito la pratica del judo per tutto il resto della sua vita ed ha sempre affermato di aver imparato tutto ciò che sapeva dai bambini e dal judo.

"Di Marcello Bernardi pensavo che fosse il bambino più viziato che avessi incontrato in 50 anni di judo". Questo brano, con cui Cesare Barioli presenta Marcello Bernardi ai judoisti, appare sia in "Corpo Mente Cuore", libro scritto a quattro mani da Barioli e Bernardi nel 1998, e in "Marcello Bernardi e il judo - Il giorno dell'utopia" (2003).

Di Marcello Bernardi pensavo che fosse il bambino più viziato che avessi incontrato in 50 anni di judo. Ho scritto di lui...Non credo che sia il caso di presentare il professor Marcello Bernardi e tanto meno che lo faccia io. Ma il 3° dan di judo Marcello Bernardi è meno conosciuto. E come mi è toccato presentarlo alla comunità judoistica e garantirne la competenza richiesta per il grado di "esperto" (secondo la Tradizione, essendo io il suo istruttore), oggi ripeto questa funzione per un pubblico più vasto. Una sera, stavo spulciandomi dietro la scrivania, occupato in compiti burocratici richiesti dall'autorità sportiva, e quindi di pessimo umore. C'erano due visitatori che avevano sbirciato la pratica sulla materassina, scambiandosi impressioni, e uno di essi non più giovane, magro e barbuto, mi chiese qualcosa per l'iscrizione. Gli chiesi, com'è consuetudine, perché mai volesse far judo e usai la mia peggior supponenza per squilibrarlo. Reagì con un sogghigno, come se chie dessi una risposta scontata: "Per imparare a difendermi, naturalmente!" Era una buona opportunità e attaccai con una tecnica sperimentata. Senza guardarlo scrissi su uno stralcio l'indirizzo di una palestra famosa (su due righe che facevano rima) e glielo misi in mano: "Qui le insegneranno difesa personale. Noi facciamo judo". Si divertì un mondo, incassò l'ippon (mossa riuscita) e si iscrisse. Cominciò il duello. Lui frequentava regolarmente, imparava, affrontava con entusiasmo, confrontava le sue opinioni con la nostra filosofia, non offriva opportunità per un nuovo attacco. Fu kan-geiko (l'allenamento di gennaio svolto di primo mattino con tutte le finestre aperte, che provoca una selezione tra i praticanti) e lui non ne perse uno in tanti anni. Il freddo gli gelava i piedi, che diventavano tutti bianchi, e sperimentammo un massaggio con borotalco e alcool denaturato per ripristinare la circolazione. Dopo la doccia si accomodava in segreteria con i piedi sulla scrivania e un the rmos del suo the per rispondere alle telefonate dei clienti, che aveva smistato al nostro numero. Si prendeva cura dei figli di judoisti di mezza Milano; affrontava con entusiasmo l'allenamento libero con i più tosti, praticava, leggeva, portava amici e bimbi in palestra. Venne il momento della Cintura Nera e tutto era apparso così facile! Occorreva metterlo alla prova. Gli annunziai che doveva misurarsi in gara in un palazzetto colmo di 5.000 tifosi. Non combattimenti, perché questo è argomento per ragazzi e giovani, ma una gara di forme. Non fece una piega, scelse l'argomento (le "forme dell'adattabilità") e il suo partner (Beppe Vismara), visse la scossa emotiva, e vinse. Milano non si accorse dell'avvenimento, perché allora i due mondi dei genitori e dei judoisti erano separati. Ma in questo modo mi aveva restituito l'ippon iniziale. Divenne dei nostri. Quindici anni or sono ci fu un incidente stradale che gli indebolì la retina, sconsigliando cadute violente. Ricevetti la vis ita del suo oculista: "Il professor Bernardi non può fare judo e lei non può prendersene la responsabilità". Ero del parere che il professore fosse maggiorenne, vaccinato e per di più medico; poi non condividevo la prescrizione che il miglior impiego dell'energia fosse sconsigliato ad una retina debole. Così lui continuò imperterrito, ma curammo particolarmente la "rottura di caduta", cioè la tecnica per assorbire i colpi senza danno.

Fece spada (ken-jutsu e iai: l'arte del duello e quella di sfoderare). Diede vita a un dojo (luogo di pratica) in val Curone, non tanto per insegnare judo, quanto per imparare dai bambini, una scusa per stare insieme a loro quando era in vacanza. Se io restavo il maestro indiscusso, spesso abbiamo avuto contrasto di opinioni, anche sul judo. Io, fanatico, arrabbiato e paradossale, lui anche più di me, ma con l'arte consumata di convincere, così nei suoi libri appaiono concetti judoistici e io cercavo di far mie le sue tesi, quando arrivavo a comprenderle. E furono stages estivi, conferenze e lavoro, soprattutto con i più giovani, che continuano ancora oggi.

Questo è il judoka Marcello Bernardi.

(Cesare Barioli)