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"Lo Ius soli soli è un diritto, su questo lo sport è più avanti della società"

Riccardo Cucchi, alla vigilia della manifestazione nazionale di Roma, riflette su sport e accoglienza: "I confini sono solo mentali e culturali"

Alla vigilia della manifestazione #nonèreato in programma a Roma sabato 21 ottobre, abbiamo intervistato Riccardo Cucchi, conduttore della Domenica sportiva, la popolare rubrica televisiva della domenica sera. Ma il calcio e lo sport possono dire la loro su un tema così delicato e apparentemente lontano da un mondo dorato come quello del pallone superprofessionistico e superpagato? “Credo che sia necessario e fondamentale che il calcio riesca ad uscire dai suoi confini del campo, perché se lì rimanesse credo non avrebbe un grande futuro – risponde Riccardo Cucchi - Credo che il calcio debba capire, ma penso che lo capiscano ormai molto bene anche i suoi interpreti, che c'è una società intorno, che il calcio non è altro che una componente di questa società, è un gioco e attraverso le sue modalità si possono diffondere valori importanti. Il livello medio di cultura dei calciatori italiani, e non solo, è cresciuto, sono giovani inseriti in un contesto che ovviamente travalica i confini dello spogliatoio: mi sembra di vedere ragazzi più consapevoli, anche dell’importanza del loro ruolo e del fatto che sono degli esempi più giovani”.

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“Sono sempre stato convinto che la diversità sia una ricchezza, mi piacerebbe che tutti ne fossimo consapevoli, anche se sappiamo che non è sempre così. C'è un dibattito aperto, ci sono opinioni diverse ed anche se è evidente che, da un punto di vista tecnico, uno dei problemi del calcio italiano è che avere molti giocatori stranieri rischia di impoverire i nostri vivai e probabilmente anche le nostre nazionali, io sono però  convinto che i più giovani italiani possano essere in qualche modo stimolati da questa competizione. Quindi invito i più giovani a competere agonisticamente con i giocatori stranieri più forti, ma ad accettarli perché il calcio, e lo sport in generale, possono insegnare che in questo mondo non c’è bisogno di confini. I confini sono solo mentali, culturali, politici”.

Razzismo e xenofobia dovrebbero essere concetti già estranei alla nostra società, invece è ancora necessario scendere in piazza e manifestare, sfilare in corteo per ricordare che siamo tutti uguali e che l’accoglienza di chi è meno fortunato è un diritto di cittadinanza, come è un diritto essere riconosciuto cittadino di un paese in cui si vive e di cui si condivide la cultura. “È divertente, ma da un certo punto di vista anche paradossale, che il calcio abbia in qualche modo risolto il problema dello ius soli, perché per fortuna nelle nostre nazionali sono sempre più frequenti nuovi italiani, ragazzi nati in Italia da genitori non italiani, e lo sport nel suo complesso è stato capace di accogliere questa novità ed attribuire valore morale ed etico a queste istanze di diritti. Invece la società italiana su questo è in ritardo: abbiamo centinaia di bambini e ragazzi nati qui, magari neanche mai stati nei loro paesi di origine, che parlano italiano come noi, che conoscono le nostre regole e la nostra Costituzione, ma che non sono italiani e sono costretti a vivere in un limbo nel quale evidentemente si sentono esclusi. Credo che si debba superare questa difficoltà, le battaglie per i diritti non sono mai state facili, bisogna promuove cultura, ci vuole tempo e pazienza, ma non c’è altra strada, lo ius soli è un diritto”. (Elena Fiorani)

 

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