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Co-programmazione tra PA e terzo settore: la sentenza della Consulta

Il professor Luca Gori analizza la sentenza della Corte Costituzionale che rivoluziona l’approccio ai modelli di sussidiarietà orizzontale introdotti dalla riforma

 

Lo scorso 26 giugno la Corte Costituzionale, con la sentenza 131/2020, ha chiarito il rapporto tra pubblica amministrazione e enti del terzo settore alla luce delle indicazioni del codice del terzo settore, in particolare gli articoli 55 e 56 (co-programmazione e co-progettazione). L’importanza della sentenza interessa non solo il diritto del terzo settore, ma più in generale il diritto costituzionale. Luca Gori, costituzionalista e docente della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in occasione di un webinar di formazione con CSVnet, ne ha analizzato i contenuti, riportati in un articolo di Lara Esposito per Redattore Sociale.

"Il rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore è una questione principalmente costituzionale - si legge nell'articolo - Non è possibile, infatti, affrontare la questione nelle pieghe del Codice degli appalti, in cerca di norme che possano essere utili a raggiungere l’esito di una “certa” collaborazione. Il punto di partenza, però, è diverso: è la Costituzione stessa che richiede un diverso modo di impostare il rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore, alla luce dell’art. 118, u.c. Cost.. Tutte le questioni sono poi sciolte di conseguenza".

 

Una prima valutazione del professor Gori evidenzia come la sentenza sia ampia ed argomentata, diversamente da altre sentenze intervenute sul terzo settore, che sono state sintetiche, risolvendo la questione senza dilungarsi in letture di tipo generale (a partire dalla sentenza n. 185 del 2018). "L’elemento più rilevante della sentenza è che, per la prima volta, viene reso esplicito il fondamento costituzionale della disciplina del terzo settore - prosegue l'approfondimento - La sentenza certifica il passaggio da una lettura del diritto del terzo settore come uno spazio giuridico di deroghe, straordinario, che introduce elementi di alterazione rispetto alla parità di trattamento di tutti i soggetti, ad un diritto che ha invece una propria logica e autonomia concettuale. Nel diritto delle deroghe, inoltre, è necessario giustificare ogni singolo trattamento specifico rispetto a quella generale. Nella prospettiva della Corte Costituzionale, invece, è la Costituzione stessa (art. 118) che prevede un diverso rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore improntato alla “collaborazione” per lo svolgimento di attività di interesse generale: è quindi normale che gli istituti che disciplinano questi rapporti siano diversi da quelli previsti per la generalità degli enti e delle attività".

La sentenza assume particolare rilievo perchè arriva a sancire un fondamento costituzionale per il terzo settore: "Secondo la sentenza, gli enti del terzo settore sono espressione delle libertà sociali, non riconducibili né allo Stato, né al mercato, ma sono la gemmazione sul piano della relazione di reciprocità di quelle “forme di solidarietà” che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente”.

Su questi temi ha realizzato un approfondimento nei giorni scorsi anche il Giornale Radio Sociale, raccogliendo proprio il commento di Luca Gori insieme a quello di Maurizio Mumolo, direttore del Forum nazionale del Terzo settore. ASCOLTA L'AUDIO

 

Alla luce del riconoscimento giuridico il legislatore prevede per gli Enti di terzo settore loro delle forme di sostegno e di favore, in quanto soggetti che manifestano “una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale”: non è coerente sottoporre quel rapporto alle medesime regole previste per tutti i soggetti collettivi operanti nell’ordinamento. Questo passaggio è un vero e proprio riconoscimento giurisprudenziale del diritto del terzo settore sul piano della legittimazione costituzionale.

 

 

Un altro elemento qualificante è l'introduzione di una precisa definizione del modello configurato dall’art. 55 del codice del terzo settore, "che non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico. È un modello che non prevede la contrapposizione tra due parti che contrattano un corrispettivo relativo a una prestazione definita dalla P.A., ma che si basa sulla definizione di un bisogno da risolvere (co-programmazione) e sull’individuazione di strumenti e interventi (co-progettazione) in cui le risorse di tutti i soggetti sono messe a disposizione per rispondere a una esigenza diffusa e che possono evolvere nel tempo".

 

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