Nazionale

Uisp Emilia Romagna: nuovo progetto europeo "Sport It Right!"

Intervista a Chiara Gallo, coordinatrice del progetto. "Tutti possono fare sport. A prescindere dal paese, dal colore della pelle, dal genere e dalle capacità"

 

La Uisp Emilia-Romagna è capofila di un progetto europeo, Sport It Right, che cerca di sensibilizzare le fasce più giovani sul giusto modo di fare sport, dando a tutti il coraggio di non subire più abusi e discriminazioni. In questo quadro generale ci siamo confrontati con Chiara Gallo, segretario generale della Uisp Emilia-Romagna, coordinatrice del progetto

Chiara, inizierei chiedendoti di raccontarmi gli aspetti generali del progetto.
"Sport It Right vuole mostrare il giusto modo di fare e vivere lo sport, che prevede la condivisione, l'inclusione e la passione senza ostacoli discriminatori. Carlo Balestri, ideatore del progetto, ha deciso di provare ad amplificare la portata di quello che era stato fatto quasi quattro anni fa con il Calciastorie: un progetto della Uisp Nazionale in collaborazione con Lega Serie A, che aveva come l'obiettivo di riportare alla luce la storia di Árpád Weisz, un grande allenatore ebreo, vittima di antisemitismo durante il periodo nazifascista. Concretamente cerchiamo di sensibilizzare i giovani sportivi contro le discriminazioni. Il nostro obiettivo è quello di portare alla luce e denunciare quello che spesso accade nel mondo sportivo, dove risiede questa doppia ipocrisia da parte degli spettatori: perché finché vinci va tutto bene, ma basta che poi tu sia donna, nero, trans, lesbica o gay e si inizia subito con la violenza psicologica. Molto spesso, infatti, non importa quanto tu possa essere bravo o brava: se sei qualcosa che gli altri non vogliono che tu sia, troveranno sempre il modo per discriminarti".

Quali sono i partner e quali le storie che caratterizzano il progetto?
"Abbiamo coinvolto e raggruppato altri partner europei che sono Sari, dall'Irlanda, Sport Union Kärnten dall'Austria e Susa dalla Slovenia. A livello locale invece abbiamo coinvolto la polisportiva Hic Sunt Leones, dato che parte del progetto è il coinvolgimento di associazioni sportive di base. La parte iniziale di questo lavoro prevede una raccolta storiografica degli sportivi vittime di discriminazioni: è una raccolta che deve essere fatta e studiata dai partner e che poi deve essere raccontata ai suoi pari da uno young ambassador, individuato all'interno di ogni società sportiva. Sfruttiamo quindi quella che si chiama peer education, cercando di diffondere queste storie all'interno delle società sportive dei territori coinvolti. Inizialmente avevamo previsto solo quattro storie, ma poi è stato deciso di ampliare il raggio di azione e di collegare ad ogni storia principale altre storie. Per quanto riguarda il razzismo abbiamo la storia di Abiola Wabara, giocatrice di basket parmense di origini nigeriane, che per molti anni ha giocato in una squadra italiana. Durante una partita è stata vittima di discriminazioni da parte dei tifosi e, nonostante il supporto da parte della Federazione della pallacanestro che ha denunciato l'accaduto, ha comunque deciso di lasciare l'Italia, continuando la sua carriera negli Stati Uniti. Per quanto riguarda il sessismo abbiamo la storia di Anne O'Brien, una bravissima calciatrice irlandese degli anni Cinquanta, che tra l'altro giocò anche in Italia. Di lei possiamo vedere come nonostante i successi, paragonabili a quelli dei suoi colleghi, sia comunque caduta nel dimenticatoio. Come a dire che poco importa quanto sei stata brava, il calcio è uno sport da maschi e quindi verrai messa da parte. Dall'Austria abbiamo una storia di omofobia, quella di Erik Schinegger: sciatore nato donna che decide di cambiare sesso e che per questo motivo subisce un blocco della carriera. Questo perché all'epoca, alla fine degli anni Sessanta, non si sapeva ancora in che categoria dovesse gareggiare un trans e se ci pensi è ancora una cosa abbastanza attuale in questo periodo in Europa. Per ultimo abbiamo Miha Zupan, un giocatore sloveno di basket sordo, con una storia che affronta la disabilità e l'inclusione nello sport. Questo è infatti è l'unico caso in cui non si racconta la storia di una vittima di discriminazione, ma la storia di un atleta che, nonostante le disabilità, riesce ad avere successo nel suo sport".

Dopo un anno di lavoro su questo progetto che conclusioni hai tratto su come, queste discriminazioni, vengono affrontate nei paesi partner?
"Quello che più mi ha stupito è che in Slovenia hanno avuto difficoltà a trovare esempi di discriminazione conclamati. C'era solo un vociferare, mentre negli altri paesi, sicuramente anche più grandi della Slovenia, c'erano purtroppo molti più esempi. In linea di massima, nei paesi che abbiamo scelto come partner, la maggior parte delle discriminazioni vengono fortunatamente affrontate nello stesso modo: c'è sensibilità e sensibilizzazione generale nella società".

Come è nata la collaborazione con questi partner?
"Li abbiamo contattati sulla base di esperienze pregresse: li conoscevamo già a livello nazionale per altre iniziative, specialmente Sari, molto incentrata sull'ambito calcistico che fa anche parte della Rete FARE, la costola sociale antirazzista della Uefa. Ci eravamo trovati bene e abbiamo voluto mandare avanti queste partnership tramite questo progetto. C'è da dire che i progetti europei sono belli ed efficaci se c'è uno scambio reale che vada oltre lo scambio virtuale di idee email: il punto di forza di questo tipo di progetti è che tu vai negli altri paesi per vedere effettivamente su cosa e come lavorano, ma purtroppo il COVID-19 ci ha un po' bloccato ed effettivamente è più complicato mandare avanti tutto solo virtualmente. I nostri partner sarebbero dovuti venire a Bologna a fine febbraio, quando già iniziavano ad esserci i primi blocchi per l'emergenza sanitaria, rendendo poco sicuro il loro viaggio che abbiamo quindi rimandato. A giugno saremmo dovuti andare tutti in Austria, ma era appena terminato il lockdwon per noi e ancora non si capiva bene come potersi muovere negli altri paesi, mentre a fine ottobre saremmo dovuti andare in Irlanda, ma al momento sarebbe possibile solo facendo 14 giorni di quarantena e per tre giorni di meeting direi che non è il caso. Nonostante tutto, però, riusciamo a confrontarci continuamente, soprattutto adesso che stiamo lavorando sulla parte grafica. Vogliamo che questo sia un progetto di lunga durata e che possa essere riutilizzato in altri eventi e progetti, magari scolastici. Per questo abbiamo deciso di creare dei poster con i quattro protagonisti principali e le altre dodici storie secondarie e delle figurine, in stile figurine Panini da scambiare e portare in giro, sul cui retro c'è un estratto della loro storia da poter leggere. Se poi va tutto bene, verso marzo racconteremo queste storie al pubblico durante degli eventi, con l'aiuto dei nostri young ambassador". (di Ginevra Langella, redazione Uisp Emilia Romagna)

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