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Mondiali Calcio Qatar 2022

Al via i Mondiali più costosi e contestati della storia: costi sociali e ambientali, sospensione di libertà e diritti. Che fare? Parla Tiziano Pesce, Uisp

 

Forse siamo lì, all’ultimo stadio. Già nel 1983 il sociologo Franco Ferrarotti, intervistato da Oliviero Beha, diceva: “Il momento ludico del calcio è stato ucciso, spezzato, cancellato dal fatto che lo schema degli interessi prevalenti, si sono imposti sull’attività sportiva”. E quest’ultima è entrata a far parte di una normale attività produttiva.

Sono passati quarant’anni da allora. Se rivediamo le immagini di quegli anni in tv, la vittoria del Mundial spagnolo nel 1982, il braccio sinistro sollevato al cielo da Paolo Rossi, l’urlo di Tardelli e le partite a scopone tra Zoff e il presidente Pertini, ci viene il groppo in gola. Una specie di album di famiglia, un’altra epoca. Se allora eravamo all'ultimo stadio, dove siamo oggi?

“Ancora una volta sembra che in nome dei soldi tutto possa passare in secondo piano, dai costi ambientali e sociali sino ad arrivare ai diritti umani fondamentali - dice Tiziano Pesce, presidente nazionale Uisp - tutto sacrificato sull’altare di un giro d’affari, stimato dagli organizzatori dei mondiali di calcio in Qatar, di 17 miliardi di dollari. Sulla questione dei diritti violati, intervenimmo, insieme a tante altre associazioni e Ong, già nel 2010, all’indomani della decisione della Fifa di assegnare i Mondiali 2022 al Qatar, aggiungendo, negli anni a seguire, denunce sulle condizioni inumane dei lavoratori migranti e sui morti nei cantieri degli stadi".

"I nostri appelli rimasero di fatto inascoltati, sembravano problemi avvertiti da pochi - conclude Pesce - oggi, grazie anche all’impegno caparbio di buona parte dei media liberi, si sta facendo strada una narrazione più corretta e veritiera, con la possibilità di poter evidenziare ed approfondire temi caldi. Non servirà per correggere le 'storture dell’evento' che partirà tra poche ore nel Paese del Golfo Persico, ma servirà almeno a lanciare segnali a istituzioni e governi, a tutti i livelli, per traguardare i prossimi appuntamenti sportivi olimpici, mondiali e continentali, con attenzioni ben diverse da quelle prestate sino ad oggi”.

E in questo quasi mezzo secolo siamo stati più volte all’ultimo stadio, sulla soglia di un fenomeno magico corroso dall’abisso che non lo ha perso mai d’occhio. Che nel corso degli anni ha cambiato più volte nome: calcio scommesse, doping, violenza, partite truccate, Sla, plusvalenze, diritti tv, bilanci gonfiati, Superlega e così via. Il sogno popolare è cresciuto perché alla base c’è l’intrattenimento e l'emozione. Poesia e vertigine hanno contribuito ad una sorta di immunità permanente attraverso la quale il calcio stellare (mica quello di periferia) è diventato intoccabile, uno spettacolo sempre più costoso che non si può fermare, nè frenare.
 
E allora che fare? Contestualizzare lo sportwashing, che riguarda tutti quei Paesi che cercano di rifarsi un look di rispettabilità utilizzando il principe degli intrattenitori, il calcio. E inquadrare il fenomeno Mondiale in Qatar per ció che è, un caso esemplare del ruolo del calcio come strumento di soft power e delle competizioni sportive globali come strumento di visibilità.

Un buon modo per vivere il Mondiale, e raccontarlo, potrebbe essere quello di rammentare sempre che la rispettabilità internazionale ha coordinate precise: diritti umani, giustizia sociale, equità economica, democrazia, sostenibilità ambientale. E non si può comprare. Quando le grandi Federazioni sportive internazionali e il Cio si apriranno seriamente alla questione dei diritti umani e alla sostenibilità ambientale e sociale dello sport?

E allora che fare? 

Diventare consapevoli del problema, non abbassare lo sguardo, come invita a fare il massimo dirigente mondiale del calcio, ma alzarlo. Se provi ad alzare lo sguardo qualche “idea” ti viene di sicuro. Anche perchè a Doha, in quello stesso Paese, nel 2030 si terranno i Giochi asiatici e nel frattempo sono previsti una serie di eventi-vetrina internazionali, non solo sportivi.

Andare in Qatar e realizzare un serio “bilancio sociale” di questi Mondiali, altro che. Dodicimilacinquecento giornalisti raggiungeranno Doha da ogni parte del mondo, consapevoli che andranno a lavorare per quindici giorni "in" una  petromonarchia, non "per" una petromonarchia. E' la prima volta che si gioca un Mondiale in un paese musulmano e gli haram sono scritti su ogni parete: è proibito filmare in luoghi pubblici ed è vietato mostrare atteggiamenti LGBTQIA+. Pare che sia proibito, da oggi, anche bere birra...con buona pace della Budweiser. Gli avvertimenti delle autorità sono stati chiari sin dal primo momento, le regole sono regole, ma i giornalisti, si sa, sono irregolari per natura, se no farebbero altri mestieri. Per commentare le 64 partite in programma, limitandosi ad osservare quello che succede nel rettangolo verde, era più comodo rimanere ognuno a casa sua.
 
Ai giornalisti è affidato il compito di raccontare il campo e il fuori campo, di accendere i riflettori su uno spicchio di mondo che sfreccia verso il futuro conservando il Medioevo che fa comodo a chi lo comanda. Per raccontare che i diritti sono diritti sempre e ovunque. In una nota inchiesta del Guardian si parla di 6.500 lavoratori morti dal 2010 in Qatar, anno di assegnazione dei Mondiali: decessi da collegare alla costruzione delle infrastrutture e degli impianti sportivi, una strage. Varie organizzazioni umanitarie, come Amnesty international e Human rights watch, hanno denunciato negli anni le precarie condizioni di sicurezza e di salute in cui si sono trovati a lavorare gli operai in Qatar.Ci sono poi le inchieste giornalistiche che accusano gli organizzatori di aver comprato migliaia di tifosi con biglietti e soggiorni gratuiti a patto che cantino, applaudano e sventolino le loro bandiere.

Alcuni accorgimenti permetteranno alla Fifa di dire che c’è stato un forte impegno in tema di pianeta e sostenibilità, perché, ad esempio, i fan village e due stadi su otto verranno smantellati e riciclati al termine della manifestazione. Peccato che l’organizzazione non governativa Carbon Market Watch ha calcolato che nel mese di novembre 2022 le emissioni in Qatar saranno otto volte superiori a quelle di un anno in Islanda.

E allora, che fare? Appellarsi al protagonismo di chi scenderà in campo: le fasce arcobaleno che indosseranno il capitano dell'Inghilterra, Harry Kane, e una decina di altri colleghi di altre nazionali per i diritti delle persone LGBTQIA+. Anche i calciatori di tutto il mondo avranno la possibilità di fare qualcosa per i diritti umani, per rompere l'accerchiamento e lanciare un messaggio importante di libertà e diritti.

Occorrono nuove fondamenta, una presa di coscienza generalizzata, il calcio è un fenomeno sociale ed economico complesso, fa parte della vita e puó aiutare a migliorarla. Come spiegano Riccardo Cucchi, Tina Marinari di Amnesty International e Sergio Giuntini, storico dello sport ai microfoni di Elena Fiorani che per il Giornale Radio Sociale ha realizzato questo speciale sui Mondiali in Qatar. ASCOLTA IL GRSWEEK 

(di Ivano Maiorella, Redazione Nazionale UISP)

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