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I palleggi della vita: la storia di Fabrizio Maiello

Le storie straordinarie sono invisibili agli occhi. Fabrizio Maiello riconquista la vita con il calcio dopo il carcere. Lo abbiamo intervistato

 

Parma, 29 settembre 2020 La storia di Fabrizio Maiello entra direttamente nel cuore senza chiedere permesso. E' una storia che narra l'importanza del valore sociale dello sport, senza troppi giri di parole. L'Uisp nelle carceri ci è entrata trenta anni fa e la storia di Fabrizio è quella di decine, centinaia di altre persone. Lo abbiamo incontrato la scorsa settimana a Roma, all'impianto Fulvio Bernardini Uisp.

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È un racconto scritto da decisioni sbagliate, percorsi difficili e attimi di rabbia, ma sottolineato anche dalla redenzione, dal riscatto e dalla capacità di ritrovare se stessi alla fine di un grande viaggio. Tutto incorniciato dal calcio, lo sport d’eccellenza. Croce e delizia per Fabrizio, compagno di vita e motivo di crisi esistenziale.

Dopo aver giocato nelle giovanili del Milan e del Monza, la vita di Fabrizio viene rovesciata del tutto a seguito di un infortunio al ginocchio che spezza la sua futura carriera da calciatore. Privato del suo migliore amico, Maiello scappa dall’intervento a cui si doveva sottoporre e inizia il percorso che lo condurrà da lì a poco in carcere. Il calcio lo teneva lontano dalle cattive amicizie del suo quartiere ed era la sua linfa vitale.

In poco tempo Fabrizio finisce in un giro pericoloso fatto di crimini e sostanze stupefacenti che lo conducono prima in carcere e successivamente all’OPG, l’ospedale psichiatrico giudiziario. Durante i diversi periodi di detenzione, il calcio lo aiuta sia con i detenuti che con le guardie e gli viene dato il soprannome di Maradona. Il rapporto con il pallone però è diverso, non più amico confidente ma valvola di sfogo in un contesto in cui è difficile rimanere in piedi a fine giornata.

La riconciliazione con il suo migliore amico e la risalita personale si verificano grazie a due opportunità che Fabrizio coglie al volo. La prima è l’arrivo in carcere di Vivicittà, storica manifestazione nazionale dell’Uisp, che gli consente di riprendere in mano il pallone alla sua maniera. In uno spazio di 24 passi, Maiello ritrova il legame che aveva perso con il pallone e per dieci anni è l’oggetto con cui riesce ad uscire mentalmente dalla realtà del carcere. Partecipa a cinque edizioni di Vivicittà e tutte con il pallone attaccato ai suoi piedi e alla sua testa. La più importante, dal punto di vista emotivo, è quella del 2002. Fabrizio, dopo aver disputato all’esterno grazie all’Uisp una partita per i Mondiali Antirazzisti, riesce a percorrere 3 chilometri e mezzo in città a Reggio Emilia e al suo arrivo in prima fila ad attenderlo c’è la madre.

La seconda opportunità si presenta quando, a poche celle di distanza, Fabrizio conosce Giovanni, un uomo con problemi mentali che era finito all’OPG. Solo, senza nessuno che si occupasse di lui, Giovanni era uno dei bersagli preferiti degli altri detenuti e aveva deciso di lasciarsi andare. Spinto dalla coscienza, Fabrizio interviene in suo soccorso e tra i due nasce una profonda amicizia che lo cambia profondamente e gli fa ritrovare se stesso.

L’Uisp rimane al fianco di Fabrizio che, dopo essere uscito dal carcere, riprende tassello dopo tassello la vita tra le sue mani. Dopo le diverse esperienze con Vivicittà, Maiello va ad allenare la squadra “Zucchero” composta da pazienti con problemi mentali e successivamente segue, attraverso un altro progetto dell’Unione Italiana Sport Per tutti, una squadra di ragazzi ad alto rischio di criminalità provenienti da famiglie disagiate o dal carcere minorile. Il messaggio che Fabrizio trasmette ai ragazzi che incontra è quello di far capire quanto siano importanti le piccole cose nella vita e che non bisogna forzare la mano per ottenere tutto subito. Il calcio, che un tempo rappresentava per Fabrizio uno strumento per essere famosi e rispettati, è diventato inclusivo, aggregativo e portatore di felicità.

Molte volte una seconda possibilità in contesti come le carceri non viene data. Spesso un detenuto non è considerato meritevole di questa chance. E qiualcuno pensa che sia meglio meglio buttare la chiave. La storia di Fabrizio dimostra proprio il contrario.  Attraverso l’amore per il calcio non ha mai perso il contatto con la sua esistenza, ha ripreso in mano il suo destino e capito il vero valore che lo sport dovrebbe trasmettere. Con il pallone ha sognato, gioito, pianto. Attraverso i palleggi ha riconquistato la vita.

 
(Fonte: Ufficio Stampa & Comunicazione UISP Nazionale)

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