LINK TRASCRIZIONE INTERVISTA 2° PARTE
Dopo aver pubblicato la prima parte dell’intervista a Maura Fabbri, ex calciatrice e pioniera del calcio femminile in Italia (e non solo), proseguiamo con la seconda parte. Ci lasciamo alle spalle l’esperienza in Iran della Nazionale italiana di calcio femminile e continuiamo a parlare dei tre grandi filoni che hanno contraddistinto la vita di Maura: sport, famiglia e lavoro.
“In Nazionale ho giocato parecchi anni e ho vinto il campionato europeo a Torino. Poi abbiamo giocato in Francia, abbiamo vinto in Francia, abbiamo vinto in Spagna. E Abbiamo giocato moltissimo anche con i paesi dell'Unione d'Europa e con la Danimarca. Abbiamo vinto delle partite, ne abbiamo perse alcune, però si era tra l'altro creato anche un bel rapporto di amicizia con queste ragazze con le quali avevamo della corrispondenza. Ci tenevamo informate. Ci incontravamo quando loro venivano a giocare in Italia: era un modo per tenere vivo questo sport che stava nascendo”.
Alle spalle di Maura, da inizio intervista, c’è una foto che racconta i numeri di quelle prime esperienze di calcio femminile in Italia, a livello tanto locale quanto nazionale. Si tratta di un raduno di ex calciatrici, frutto dei contatti continui e reciproci che si erano conservati negli anni. Il primo di questi raduni fu a Genova e Maura fu la promotrice e l’organizzatrice, spinta dalla passione per questo sport di cui non ha mai fatto mistero.
“In questa foto c’è il primo raduno che abbiamo fatto a Roma: eravamo in 55 da tutta Italia e devo dire che è stata una cosa splendida. Il primo raduno, però, è stato unico, perché a Genova mi sono occupata di tutto, dal trovare gli alloggi al trovare i ristoranti. Abbiamo girato Genova, ci siamo divertite, è stato un incontro unico. Veramente bello.
Da lì è nato anche qualcosa di più. Questo incontro si è allargato a Roma, da 45-50 che eravamo a Genova siamo diventate 75. Nel frattempo ci siamo rese conto che i tempi sono cambiati, le ragazze sono cambiate, chi si è sposata, chi ha avuto figli, chi non ha potuto muoversi, chi ha avuto anche problemi di altro genere. In ogni caso, sono stati anni splendidi di rincontri, nei quali abbiamo continuato a vederci a Firenze e a Bologna. Adesso, dopo il Covid, speriamo di incontrarci ancora".
Dagli incontri e dai ritrovi si passa nuovamente alla storia di Maura Fabbri, due binari paralleli tra calcio e lavoro, tra sport e famiglia. “Io continuavo a lavorare e dopo Piacenza ho avuto un'ulteriore richiesta, quella di giocare nel Montecatini. C’era questa volontà da parte di questo allenatore, Cavicchi, di formare una squadra con tutte le più forti giocatrici italiane. C’erano giocatrici che venivano da Torino, da Roma, dalla Sicilia, da Napoli, dal Veneto, dalla Svizzera. Ci trovavamo il venerdì sera, ma non ci allenavamo insieme. Mio cognato giocava in una squadra qui a Genova e io mi allenavo con loro al Ligorna, per cui ero sempre allenata. Al venerdì, poi, mi spostavo, andavo a giocare, ci trovavamo tutte a Montecatini o nella città dove incontravamo le avversarie. Vincemmo lo scudetto e io vinsi il terzo.
C'erano delle grandi giocatrici, c'erano le svizzere Madeleine Boll e Katy Moser, c'era la Schiavo, c'era Silvana Cittadino. C'erano tantissime ragazze che venivano da tutta Italia ed è stata anche quella una esperienza particolare. Anche questa fu un trampolino di lancio perché, per caso, tramite mia sorella che già lavorava alla San Giorgio Impermeabili, mi arrivò la possibilità di avere un colloquio con il direttore commerciale. Nel frattempo era mancato mio padre e in casa dovevamo impegnarci per mandare avanti la famiglia. Partii dunque da Montecatini al mattino, andai al colloquio e venni assunta alla San Giorgio all'ufficio commerciale, nel quale mi occupavo delle linee della San Giorgio. Mi trovai molto bene, sino a che la San Giorgio non ebbe problemi essendo mancato il titolare quarantenne in India. L’azienda venne affidata ad un gruppo a Montesilvano, in un’azienda di 4.000 persone dove io gestivo un ufficio per conto mio. Gestivo l'avanzamento di questa linea, dove ho trovato tantissime difficoltà perché sì, c’erano 4.000 persone, certo, ma chi lavorava veramente erano in pochi. Mi spiace dirlo, ma erano in pochi.
Sono rimasta lì sino a che non ho ricevuto un'offerta, una proposta di lavoro con il gruppo finanziario Tessile a Torino, azienda con più di 8.000 persone, Facis, che lavorava già con Valentino, con Versace, con Armani. C'era l'idea di far nascere questa nuova linea, Mix & Match, disegnata da Armani, in concorrenza con la Ketch. Quest’ultima era una linea giovane della San Giorgio, disegnata da Ferrè, che stava praticamente scivolando nel dimenticatoio. Così mi fu offerta la possibilità di formare uno staff per gestire commercialmente tutta la parte, la creazione di questa linea del Gruppo Finanziario tessile di Torino Mix & Match, linea giovane disegnata da Armani, dalla A alla Z. Ogni volta che mi spostavo cercavo di migliorare la mia situazione, ma di avere anche la libertà di movimento, di non essere condizionata in certe scelte di mercato o altro”.
Quella di Maura Fabbri è una storia lunga, che unisce costantemente sport, famiglia e lavoro. Il tutto in anni di “battaglie”, quelli del Sessantotto. Nel colloqui con Maura emerge spontanea una domanda: in tutta questa lunga storia dove il calcio femminile stava effettivamente nascendo in Italia a tutti gli effetti, come ci hai raccontato, oggi, dopo quasi 60 anni, nel 2025, come lo vedi il mondo del calcio femminile e dello sport? Lo trovi cambiato a livello di inclusione? Migliorato? E tu, nella tua esperienza, hai vissuto episodi di discriminazione nello sport? Anche solo un “È una donna, non può giocare a calcio, no?”.
“All'inizio c'era curiosità più che discriminazione, perché stava nascendo qualcosa. La curiosità era quella di capire dove potesse arrivare questo sport e queste donne cosa potessero fare. Questa curiosità portava ad avere anche tutti questi tifosi, perché capivano che c'era del materiale e c'era un calcio praticamente non condizionato, un calcio istintivo, un calcio divertente, nel quale le ragazze comunque si impegnavano e non trascuravano nulla. C’era un senso di comunità, di amicizia, di rispetto. Il rispetto era fondamentale in ogni contesto. Se il movimento è migliorato? Trovo che ci sia molto scetticismo ancora, forse più di allora in certi casi, perché le ragazze sono cresciute, il movimento è cresciuto, però c'è questo ombrello del maschile che non lascia molti spazi ancora. Sicuramente alcuni hanno capito che ci sono delle capacità, che c'è dello spirito combattivo da parte delle ragazze. E che c’è anche la passione. E la passione, che è fondamentale per la crescita del calcio femminile e non è legata solo al mero guadagno: è proprio una questione di passione. Le ragazze giocano oggi con dei minimi di sopravvivenza, chiamiamoli così. Noi avevamo un problema, ossia non avevamo e non sapevamo il futuro cosa ci potesse riservare. Loro un po' questo ce l'hanno, lo sanno, e credo che stiano in parte ottenendo qualche cosa. La disparità che c'è tra il maschile e il femminile è ancora enorme. Nel 2025 questo è pazzesco”.
E che cosa si può fare, secondo Maura Fabbri, nel pratico, per provare a migliorare questo percorso di inclusione e in questo caso, tra calcio femminile e calcio maschile, di parificazione? “Per il momento credo che sia impossibile, però cominciando da stuzzicare tutto quello che è informazione, giornali, inviti, scuole. Anche nelle scuole c'è un po' di informazione, ma non è che sia così importante, così continuativa. Ci sono degli spot che vengono fatti, che parlano di calcio femminile, ma nel frattempo ci sono anche tante problematiche, tanti interrogativi. Ci possono essere delle conseguenze per una donna dal punto di vista sanitario? No, e lo dimostra il fatto che ci sono molte cose che noi avevamo già praticamente superato. Faccio un esempio: nella Nazionale, ad un certo punto, arrivò un certo professor Magrini, romano, che cominciò a dirci che era meglio metterci un reggiseno particolare e i parastinchi. Erano tutte piccole cose che sino ad allora noi non avevamo mai considerato. Oggi, invece, c’è attenzione verso le ragazze e credo che sia una cosa positiva. Tornando al discorso di Torino, dove sono stata cinque anni al gruppo finanziario tessile, ho dovuto cominciare a diradare un po' la mia presenza calcistica perché l'impegno era tanto. Lavoravo, avevo formato un gruppo di agenti in tutta Italia ed Europa, motivo per il quale mi dovevo muovere. Volevo gestire in una nuova modalità quello che concerne il settore commerciale della moda. Non volevo rimanere statica, in ufficio, alla macchina da scrivere. Volevo capire, volevo conoscere i clienti, volevo conoscere i miei rappresentanti, volevo essere presente per ogni problematica sul campo, per cui il mio tempo era limitato. Ho continuato un po' a giocare e ho continuato a farlo nel Tigullio, a Santa Margherita, dove mi sono trovata benissimo. Lì ho giocato quando sono venuta via dalla San Giorgio Impermeabili e da Montesilvano a Genova sono sempre stati 800 chilometri, fatti in treno, qualche volta anche in macchina. Erano pesanti da fare tra andata e ritorno”.