Comitato Territoriale

Genova

Progetto SIC, intervista a Maura Fabbri, pioniera e colonna del calcio femminile

 

Quando si parla di Maura Fabbri non si parla soltanto di una donna di sport e di un’allenatrice, ma
anche di una pioniera del calcio femminile in Italia e nel mondo.

Continuano le testimoninaze nell' ambito del progetto SIC, Sport, Integrazione, Coesione che mira a valorizzare il ruolo sociale dello sport quale strumento di inclusione e coesione sociale, sostenendo la creazione di network e promuovendo lo sviluppo di buone pratiche al fine di favorire tramite i presidi territoriali, la pratica sportiva e fisica el' attività di sensibilizzazione e diffusione della cultura e dei valori dello sport.

 

 Quando si parla di Maura Fabbri non si parla soltanto di una donna di sport e di un’allenatrice, ma
anche di una pioniera del calcio femminile in Italia e nel mondo. Maura Fabbri è un’enciclopedia
del mondo sportivo al femminile e del suo sviluppo, della sua crescita. Basti pensare che del suo
trasferimento dal CF Genova al Piacenza ne parlarono in tanti, persino in Brasile.
Si avvicinò al calcio ancora dodicenne, a Genova, là dove sulle alture si trovava il campo
parrocchiale di Bavari. Il periodo non era di quelli che avrebbero fatto avvicinare con facilità una
sportiva ad uno sport che, nell’immaginario collettivo, era appannaggio degli sportivi. E invece è
qui che nasce una storia di libertà. Quella libertà che Maura Fabbri racconta di aver avvertito
spesso nel suo percorso da calciatrice, trasferendoci un messaggio inclusivo attraverso il racconto
della sua vita, da atleta prima e da lavoratrice instancabile poi.
O forse è meglio togliere sia il “prima” che il “poi” dall’ultima frase perché, come si potrà leggere
tra poco, Maura Fabbri lavoro e sport li ha curati spesso in parallelo nella sua vita, sin da
giovanissima. Questa vita ce la siamo fatti raccontare in tre puntate, al termine delle quali vi
proporremo la video-intervista integrale.
In questo primo appuntamento, Maura Fabbri – vincitrice del primo scudetto femminile col CF
Genova nel 1968 e della prima Coppa Europa con la nazionale italiana di calcio femminile nel
1969 – ci racconta di come si sia avvicinata al calcio, del primo scudetto col CF Genova, della sua
esperienza a Piacenza (dove avrebbe vinto lo scudetto 1971) e delle prime avventure in maglia
azzurra, da Reims a Teheran sotto gli occhi di Farah Diba.

INTERVISTA PRIMA PARTE

 

CLICCA QUI PER LA TRASCRIZIONE della 1° PARTE ( di 3 )  dell' INTERVISTA a MAURA FABBRI

Quando si parla di Maura Fabbri non si parla soltanto di una donna di sport e di un’allenatrice, ma anche di una pioniera del calcio femminile in Italia e nel mondo. Maura Fabbri è un’enciclopedia del mondo sportivo al femminile e del suo sviluppo, della sua crescita. Basti pensare che del suo trasferimento dall’ACF Genova al Piacenza ne parlarono in tanti, persino in Brasile.

 

Si avvicinò al calcio ancora dodicenne, a Genova, là dove sulle alture si trovava il campo parrocchiale di Bavari. Il periodo non era di quelli che avrebbero fatto avvicinare con facilità una sportiva ad uno sport che, nell’immaginario collettivo, era appannaggio degli sportivi. E invece è qui che nasce una storia di libertà. Quella libertà che Maura Fabbri racconta di aver avvertito spesso nel suo percorso da calciatrice, trasferendoci un messaggio inclusivo  attraverso il racconto della sua vita, da atleta prima e da lavoratrice instancabile poi.

 

O forse è meglio togliere sia il “prima” che il “poi” dall’ultima frase perché, come si potrà leggere tra poco, Maura Fabbri lavoro e sport li ha curati spesso in parallelo nella sua vita, sin da giovanissima. Questa vita ce la siamo fatti raccontare in tre puntate, al termine delle quali vi proporremo la video-intervista integrale.

 

 In questo primo appuntamento, Maura Fabbri – vincitrice del primo scudetto femminile con l’ACF Genova nel 1968 e della prima Coppa Europa con la nazionale italiana di calcio femminile nel 1969 – ci racconta di come si sia avvicinata al calcio, del primo scudetto con l’ACF Genova, della sua esperienza a Piacenza (dove avrebbe vinto lo scudetto 1971) e delle prime avventure in maglia azzurra, da Reims a Teheran sotto gli occhi di Farah Diba.

 

“Quando si parla di calcio femminile io ci sono sempre, lo sanno tutti. Ho sempre cercato di dare il mio apporto per tutto quello che potesse essere informazione, storia, nozioni, tutto quello che potevo ricordare, anche perché io ho giocato molti anni, ma poi per molti anni sono stata assente. “Assente” nel senso che lavoravo nel settore dell'abbigliamento, della moda, con Armani, Versace, Ferretti, eccetera, per cui ero molto impegnata. Il calcio però mi ha dato tantissimo perché mi ha insegnato ad essere comunicativa, ad essere aperta a qualsiasi novità, a qualsiasi informazione alle persone, a qualsiasi conoscenza.

 

Il calcio, come gioco di gruppo, è uno dei giochi e delle cose che possono aiutare tantissimo i giovani e le giovani. Io ho iniziato, a tredici anni, sul campo parrocchiale di Bavari. Un campo terroso, che era stato donato al paese dall'allora Ministro Taviani e, ovviamente, dalla Curia. Questo campo è nei miei ricordi perché io da ragazzina, a 12-13 anni, anche prima, quando uscivo da scuola eravamo un gruppo di amici e amiche, ci trovavamo in piazza e poi sul campo a dare quattro calci al pallone.

 

E da lì è nata la passione, la voglia di essere partecipe nella compagnia, nel gruppo e nel calcio. È stato un caso perché un amico di mio padre conosceva l'allenatore Mignone, che stava formando una squadra di calcio femminile a Genova. Mio padre, grande sportivo, giocatore di ping pong, tennista, sciatore, non aveva preclusioni da questo punto di vista, anche se quegli anni erano anni in cui di calcio femminile non si parlava. Mi disse: “se ti fa piacere, vai a giocare”. Sono andata a fare il primo provino a Vignole Borbera e da lì non sono più uscita dal campo.

 

Mi sono divertita tantissimo. I primi anni, per far conoscere il calcio femminile in Liguria e nel Basso Piemonte, facevamo delle partite a sette tra di noi, su tutti i campi, e devo dire che è servito moltissimo perché gradualmente le persone diventavano tifosi e si divertivano a venirci a vedere.

 

È nata poi la federazione di calcio femminile. Si era formata, intanto, la squadra della CF Genova, successivamente altre squadre in altre città d'Italia tra cui la Juventus, il Real Torino, la Roma, il Piacenza, il Padova, il Napoli. Insomma, c'erano tantissime squadre che nel frattempo si erano formate. In questo frangente alcuni dei dirigenti di queste squadre si sono riuniti e hanno dato inizio ad una federazione. In questa federazione c'era la CF Genova, la Firenze, la Roma, il Napoli, il Cagliari. I dirigenti di queste società si sono uniti e hanno formato tale federazione. Da lì è nato il primo campionato di calcio femminile in Italia nel 1968. Le squadre erano diverse, divise in due gironi, il Nord e il Sud. Noi facevamo parte, ovviamente, del Nord, con Fiorentina, Juventus, Piacenza ed altre società. E poi dalla Roma al Napoli facevano parte del girone nel Sud. Alla fine di questi due gironi, le prime due si incontrarono per il primo scudetto. Queste due squadre erano la CF Roma e la CF Genova. Il primo scudetto fu giocato a Pisa e il Genova vinse per 1-0 con gol di Albertina Rosasco.

 

È stato un momento bellissimo perché noi avevamo già un gruppo di tifosi che ci seguivano. Sugli spalti dello stadio, come minimo, tutte le partite avevamo 3000 spettatori. E 3000 spettatori paganti ci permettevano di affrontare le spese delle varie trasferte, perché non c'erano fondi e non avevamo sponsor particolari. La federazione non aveva un tesoretto con cui aiutare le varie società. Le società dovevano aiutarsi da sole. Questo è stato il primo inizio, diciamo: andavamo e giocavamo senza remunerazioni, ovviamente.

 

Le nostre trasferte erano con un sacchettino, con un panino, una bibita, una Coca-Cola e un frutto: quando eravamo in treno o in pullman questo era il nostro pranzo. Poi magari la sera andavamo in qualche trattoria e quello ci permetteva di stare insieme, di mangiare, di avere una cena normale, insomma. Però non erano momenti facili. Piano piano siamo cresciute. Ho giocato tre anni nella CF Genova. Il secondo anno ha vinto la Roma lo scudetto e noi siamo arrivate chiaramente seconde.

 

Devo dire che furono due finali molto combattute sia per l'una che per l'altra squadra. Dopodiché, a Genova stava cambiando l'aria perché volevo entrare uno stilista a fare da sponsor. Non capivo bene come fosse la situazione e dove dovesse andare. Io avevo 18 anni, per cui non sono i diciotto anni di oggi dove le ragazze sono molto più scafate, molto più avanti.

 

Lavoravo e facevo dei corsi. Ad un certo punto mi arriva una proposta dal Piacenza di trasferirmi e non c'era in ballo denaro, ma c'erano in ballo un posto di lavoro, vitto e alloggio. Mi sembrava di poter provare una nuova avventura. E così andai a Piacenza, un po' con rammarico per le mie compagne, però con la sicurezza di trovare un ambiente sano, un ambiente dove potevo ambientarmi tranquillamente, perché conoscevo già molte delle ragazze della squadra, i dirigenti, eccetera eccetera.

 

Ero ospite di un convento di suore a Piacenza. Un convento abbastanza aperto, dove c'erano tutte ragazze studentesse da tutto il mondo, io e la camera insieme a una giocatrice del Piacenza, Stefania Bandini, e poi lì c'erano ragazze coreane, ragazze giapponesi che facevano l'università o studiavano al conservatorio. Avevamo il campo praticamente attiguo a questo convento. Devo dire che mi sono trovata benissimo perché non c'erano proibizioni: potevamo uscire, avevamo la libertà di rientrare, sapevano che noi quando giocavamo fuori arrivavamo ad orari particolari. Eravamo abbastanza libere e io sono stata bene. Il mio lavoro era alla Brevetti Gabbiani, che era una delle più importanti aziende europee nella lavorazione del legno. Erano due fratelli che si occupavano di questa azienda.

 

L'allenatore della società del Piacenza era Bertuzzi e il presidente era Paolo Gabbiani, che non aveva però nulla a che fare con l'azienda. Avevamo tantissimi tifosi che ci seguivano, come per il resto con la CF Genova, e avevamo persone molto vicine che per qualsiasi nostra esigenza erano disponibili a venirci incontro. Questa è stata la prima fase della mia entrata nel mondo del calcio.

 

Tra l'altro già i giornali brasiliani parlarono di questo mio trasferimento tra la CF Genova e il Piacenza, per cui erano tutte cose nuove, però devo dire che a me non è che interessassero particolarmente. A me interessava giocare, divertirmi e dare il mio apporto alla squadra”.

 

“Poi è arrivata la Nazionale. Inizialmente, il gruppo di persone che aveva creata la federazione, pensò anche di avere degli osservatori per poter creare il primo gruppo della Nazionale. La prima formazione azzurra giocò a Viareggio e ci furono diverse ragazze della CF Genova, della Roma, della Juventus, del Lazio, del Napoli. Insomma, c'era una varietà di elementi.

 

Giocammo a Viareggio e da lì iniziò la nostra avventura, nel senso che cominciammo a fare trasferte più importanti, con collegamenti anche con altre nazioni, tra cui la Spagna, la Francia, la Cecoslovacchia. Vincemmo quasi tutte le partite tranne una, con la Cecoslovacchia, ma per il resto vincemmo in Spagna, in una tournée che avevamo fatto molto bella, e in Francia, a Reims. Fu un'altra partita splendida, nello stadio locale, ospiti del sindaco della città. Tutte queste novità erano fonte anche di cultura per chi voleva apprendere delle novità.

 

Nel 1971 ricevemmo l'invito per giocare a Teheran. Sembrava impossibile una cosa del genere perché c'era molta preoccupazione, ma eravamo state invitate dallo Scià di Persia, da Farah Diba, in un momento in cui l'Iran si stava aprendo un po' all'Occidente. Era importante dare dimostrazione che c'erano delle possibilità e c'erano delle aperture. E così andammo a Teheran, partendo da Roma, con nuovi innesti anche nella Nazionale, con ragazze che giocavano in Serie B, ad esempio la Giovanna Assunta Gualdi, che giocava a Bergamo.

 

Avemmo l'onore, io e la Gerwien, mia compagna di squadra e di avventure in tante partite, di accoglierle all'aeroporto di Roma. Partimmo per Teheran e giocammo due partite importanti, vincendole entrambe. In quel momento, in quel frangente, c'era in Iran uno dei tornei più importanti di tennis al mondo, per cui vi era molto fervore da parte di tutti.

 

Abbiamo giocato con queste ragazze che non avevano né velo né altro, ma i calzoncini come noi. Vincemmo la partita, che fu seguita da Farah Diba che venne al campo in elicottero. Poi girammo la città e andammo al mercato coperto della città, molto interessante. Ci offrirono il tè in ogni possibile negozietto del mercato coperto. In quella tournèe sostammp in un albergo interessante, dove c'erano lavoratori e ingegneri austriaci che stavano costruendo nuove strade nella città, lavorando di notte perché di giorno il caldo era particolarmente feroce. Questa fu un'esperienza che mi porterò sempre dentro perché fu davvero carina: sotto le finestre dell'albergo avevamo questi ragazzi che venivano a salutarci e a fare il tifo. Per dare un po’ una svolta simpatica alla questione: ci sentivamo forse un po' delle dive, anche se non lo eravamo”.