La facoltà di giurisprudenza dell’università Roma 3 ha ospitato mercoledì 11 febbraio la seconda giornata del seminario nazionale di comunicazione organizzato dall’Uisp. Il programma prevedeva molti interventi di giornalisti, docenti, esperti di comunicazione ed ha apportato molti elementi di interesse alla riflessione aperta sul tema “Comunicare il sociale attraverso lo sport, comunicare lo sport attraverso il sociale”. L’evento è inserito nella serie di conferenze organizzata dall’università, dal titolo “In facoltà per sport”, promosso da Diego Mariottini.
La giornata è stata aperta dall’intervento di Filippo Fossati, parlamentare: “Vorrei parlarvi di come lo sport viene raccontato nella dimensione istituzionale, nelle leggi ma mi sono scontrato con la realtà del fatto che una definizione di sport al momento non c’è, le leggi che parlano di segmenti del tema sportivo lo fanno senza sapere ciò di cui parlano. La cosa da cui partire, quindi, è riuscire a dare una definizione di sport per sapere di cosa vogliamo parlare quando scriviamo le leggi. È necessario fare chiarezza con le parole, definire lo sport in modo moderno, così che poi tutte le decisioni che si prenderanno saranno adeguate ai tempi che viviamo”.
Il secondo ospite a intervenire è stato Riccardo Cucchi, caporedattore Radio 1 Rai: “Raccontare una storia è il succo del lavoro di un giornalista, raccontarla mentre succede è il lavoro del radiocronista. Lo sport è da sempre alla base del canale radiofonico, io intendo la diretta radiofonica dello sport come servizio con la consapevolezza che lo sport porti con sé valori sociali. Lo sport professionistico è stato inquinato da altro, business, pubblicità, ascolti, ma è inutile ora rimpiangere il passato. Il primo a comprendere il valore sociale e quindi giornalistico di Vivicittà, in quanto corsa per tutti, è stata di Massimo De Luca, e da allora il via è scandito dai microfoni di Radio1 Rai. Io partecipai da inviato alle prima cronache di Vivicittà, sono ricordi emozionanti, è un punto di riferimento importante per me ed anche una scommessa audace: Vivicittà rappresenta una sintesi perfetta tra sport e sociale, ci sono gli sportivi, gli amatori, i temi, la solidarietà, l’attenzione alle realtà marginali. L’anno scorso abbiamo fatto la cronaca dal carcere di Rebibbia, la prima volta nella storia di Radio1, per farlo abbiamo superato molte difficoltà anche burocratiche. Abbiamo portato ai nostri microfoni i protagonisti, chi di solito la voce non ce l’ha perchè sta scontando la sua pena. Io non mi illudo che lo sport possa risolvere i problemi e i conflitti delle società contemporanee, ma coagulare emozioni e partecipazione intorno ad un evento può creare dialogo, cosa di cui oggi si sente molto bisogno. Si corre, ci si confronta, ci si misura, dimenticando le differenza di lingua, di religione, di provenienza, abbattendo i confini dell’incomprensione reciproca, di chi è diverso da me, che sono alla radice di ogni forma di razzismo”.
“C’è un modo di comunicare il sociale? – ha continuato Cucchi - Credo di no, il giornalista deve essere capace di difendere la sua libertà, schiavo solo della notizia. La stessa logica può essere applicata alla comunicazione sociale, cercando di non ghettizzarla. L’occasione per raccontare in modo diverso, con maggiore attenzione etica, esiste, è una scelta editoriale. Non si può scegliere di non parlare delle Olimpiadi, Champions o eventi del genere, perderemmo quote di mercato pubblicità e ciò che serve per esistere sul mercato, ma bisogna raccontare anche le storture, le contaminazioni, le corruzioni, il razzismo, perchè sono tutte cose che esistono nello sport, come nel resto della società. Raccontare, smascherare, spesso però si rinuncia al giornalismo d’inchiesta. Sarebbe, invece, il mestiere del giornalista, che non deve mai rinunciare alla prerogativa di raccontare tutti i fatti, in maniera chiara, perchè chi ascolti si faccia la sua opinione. Un pubblico informato è alla base dell’esistenza di un paese civile”.
“Io sogno uno stadio in cui i bu razzisti si trasformino in applauso, i tifosi esultino alla bella giocata del giocatore avversario, dove i bambini possano divertirsi, dove vengano fischiati i giocatori che hanno truccato le partite. Chi racconta gli eventi può lavorare in questa direzione, senza indulgere ad assecondare la pancia del tifoso. Cercando quei momenti in cui lo sport racconti se stessi attraverso i suoi valori fondanti, perchè ne risultino ampliati, e ci riportino al discorso su tolleranza e rispetto reciproco. È facile farlo raccontando Vivicittà, ma c’è una volta l’anno, quindi dovremo cercare di farlo anche raccontando altre cose”.
La parte scientifica del seminario è stata poi rappresentata da Fabio Lucidi, della facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma: “Lo sport è tradizionalmente metafora della buona vita sociale, il suo sportivo è origine di un linguaggio metaforico nella società, come nella politica, che rende la comunicazione facile anche per il giornalista che quindi lo sfrutta. La formazione è una premessa necessaria per diventare comunicatori sociali, ma il ruolo dell’università non è formare la superstar, quanto evitare che nell’ambito della professione esistano gli incompetenti. L’università non forma una persona “pratica” nella professione, il suo insegnamento si fonda sulla teoria, la parte comune tra tutte le diverse prassi. Se l’università fornisce questa idea di teoria ha fatto il suo lavoro, anche se poi non insegna a fare le cose. L’università fornisce competenze non cultura né conoscenza. La figura del comunicatore non viene formata dall’università. Non si può chiedere all’università di formare professionisti”.
Un’altra interessante riflessione sul linguaggio giornalistico è arrivata da Massimo Filipponi, giornalista de l’Unità: “Lo sport rappresenta una sezione fissa di ogni giornale cartaceo o telegiornale, spesso però quello di cui si parla è molto lontano dalla pratica sportiva. La cultura sportiva spesso non passa sulle testate generaliste, come la stessa pratica. Informazione etimologicamente vuol dire “informare poco a poco”, quindi fornire al lettore gli strumenti per formarsi un’opinione. Nei siti di informazione on line oggi non esiste più la gerarchia delle notizie classica, “scrollare” la pagina cancella la gerarchia. Sui siti più che informazione si fa ormai intrattenimento, che sono cose molto diverse. L’immagine sta soppiantando il testo, le tecnologie ci hanno reso pigri. Come far passare un’iniziativa di sport di base su un giornale o un sito? il rischio è che lo sport sociale diventi notizia solo se vive le stesse storture dello sport professionistico, se sconfina nel puro intrattenimento o se incrocia il piccolo prodigio. Un modo di far passare le iniziative può essere di utilizzare le storie: la storia viene percepita come una cosa nuova. Quindi bisogna capire e cogliere l’originalità dell’evento che si sta comunicando. In epoche passate si credeva che il lettore fosse un utente che andava educato, adesso non è più così: il lettore è diventato un cliente, che va soddisfatto”.
È poi intervenuto un altro giornalista, Alvaro Moretti, direttore di Leggo: “Nelle redazioni dei giornali cartacei spesso si è vissuto l’avvento di internet come un trauma e si è giunti ad una scansione verticale delle notizie nelle piattaforme: prima c’è il giornale di carta, poi il passaggio al web, dopo una selezione, e l’ultimo stadio è il passaggio sui social network. Leggo, invece, ha tre piattaforme che hanno una scansione orizzontale, infatti, Leggo nel 2011 è diventato e ha scritto anche in testata un “social press”, perché guarda al social network, ma anche come fine oltre che come mezzo,e questo provoca modifiche della filiera interna al giornale, e i messaggi vanno declinati in base alla diversità dei mezzi. Abbiamo anche inserito in testata il Qr-code che collega direttamente all’homepage del sito, e all’interno con lo stesso sistema in alcune sezioni c’è il collegamento con i video. La gente non ha interessi e attenzione divisi in compartimenti stagni, ora informazione poi intrattenimento. Bisogna sostenersi, per farlo c’è bisogno della pubblicità, in particolare per la free press. Leggo ha scelto di essere social press per necessità di mercato ma anche per adesione, infatti lo è anche sul cartaceo e sul sito”.
L’ultimo intervento della mattina è stato affidato a Piero Damosso, caporedattore Tg1 Rai: “Perchè lo sport è importante anche nell’informazione non specificamente sportiva? Perchè lo sport unisce, ha un impatto a livello sociale molto forte; lo sport può essere importante per promuovere il dialogo tra le persone, uno strumento al servizio della pace. È necessario creare degli avvenimenti dove poter rafforzare questo messaggio di forte condanna della violenza. Lo sport può veicolare il messaggio della convivenza pacifica, del rispetto dell’altro e delle regole, dello sviluppo integrale delle persone, lo sport ci educa a diventare “migliori”. C’è la possibilità di diventare migliore e lo sport lo rappresenta molto bene, anche nella vita sociale. La capacità di offrire storie facilita la creazione di una notizia di sport sociale, mettendo in evidenza le finalità dello sport. Lo sport è novità, perché una competizione sportiva non è mai uguale alla stessa competizione dell’edizione precedente. Dobbiamo raccontare anche ciò che non va, ma tendenzialmente le notizie sono positive, mostrano un’attività positiva delle persone, dei gruppi, della società. L’operazione, anche culturale, da considerare è che ciascuna notizia o avvenimento sportivo può entrare facilmente all’interno di un sommario. Se riusciamo ad entrare nelle dinamiche delle scelte di una redazione, comprendendo i criteri di notiziabilità, abbiamo più opportunità di incidere all’interno del sommario. Sarebbe importante anche incidere sui processi culturali che stanno dietro al sommario. Far sì che i criteri di notiziabilità, i criteri culturali che presiedono alla scelta delle notizie, non restino nel chiuso di una redazione ma si aprano alla società. Ho riflettuto molto su come poterli migliorare: il pluralismo si gioca nel confronto tra criterio di inserimento nel sommario e responsabilità sociale di una emittente. In questa partita lo sport può avere un ruolo fondamentale”.
La sessione pomeridiana è stata aperta dall’intervento del direttore di RaiSport, Carlo Paris, che ha recentemente presentato il piano editoriale alla sua redazione in diretta televisiva: “Il mio non è stato un atto eroico, a me sembra quasi un obbligo far sapere ai cittadini cosa dobbiamo raccontare, è un impegno molto importante. Anche nello sport mi sembra un obbligo, non è un giornalismo di serie b, molti grandi del giornalismo hanno iniziato con lo sport. Lo sport racconta non solo il risultato di una partita, ma la vita di tutti i giorni. Noi non dobbiamo guardare solo ai personaggi noti, ci sono dei campioni nascosti, molto importanti… che sicuramente guadagnano meno e hanno meno notorietà. Ci sono storie che deve essere la Rai a raccontare, l’editore privato non lo farà perchè pensa che non portino pubblicità e ascolti. Il servizio pubblico deve dare qualcosa in più, andare dove gli altri non vanno. Nel mio piano editoriale ho riservato un capitolo, e quindi trasmissioni, al sociale e a quello che altri non vogliono raccontare. Abbiamo moltissime prove che se fatta bene la comunicazione sociale può portare anche ascolti maggiori, anche se il servizio pubblico non dovrebbe fare caso ai numeri. Con i mezzi e l’attenzione giusta possono raggiungere gli stesi effetti a livello di immagine e attrattiva dello sport professionistico: cominciamo a mettere i contenuti sociali nella domenica sportiva non in fasce orarie sacrificate. La ghettizzazione dello sport sociale, dei non campioni, è una cosa che noi del servizi pubblico non possiamo concedere”.
“Sono stato a Beirut con l’Uisp, per seguire Vivicittà in Libano e le Palestiniadi e ho portato con me un bravo operatore: abbiamo trovato le storie dove lo sport è spettacolo per la sua funzione. Si tratta di raccontare e far capire al mondo, non tutti sappiamo come si vive nei campi profughi, non ce lo mostrano nemmeno i programmi che dovrebbero farlo. Attraverso lo sport si possono raccontare i campi profughi, i bambini cinesi schiavizzati per raggiungere le medaglie,le squadre di rifugiati e richiedenti asilo, come i Liberi Nantes. Può insegnare più cos e lanciare messaggi più importanti un allenatore di judo di Scampia che mille interviste allo sportivo famoso e professionista. Quello che ti rimane dentro e ti fa sentire un giornalista vero, che va a scavare nella notizia, è tutto il resto rispetto alla partita, ciò che ti permette di raccontare il mondo. Serve la voglia di raccontare e la curiosità, anche quello che accade sotto casa. Nel mio piano editoriale ho voluto sintetizzare questo, dando spazio allo sport sociale, inteso come educazione allo sport per la popolazione,se pensiamo che nelle scuole l’educazione allo sport non c’è per niente. Il servizio pubblico deve aiutare anche in questo senso a far crescere il paese. Io vado avanti come se fossi ancora un inviato perchè mi consente di essere più libero. Da marzo realizzeremo un telegiornale quotidiano che si chiamerà RaiSport regione: conterrà una decina di servizi al giorno imperniati quasi totalmente sul sociale, un racconto dell’Italia attraverso lo sport. Dal mondo, ad esempio, della disabilità possono uscire storie meravigliose, perché dietro ci sono le persone, persone che sono più forti di tutti noi”.
La chiusura del seminario è stata affidata agli interventi di Andrea Volterrani, sociologo della comunicazione, e Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp.
“Quelle di Paris – ha detto Volterrani - sembrano affermazioni scontate se pensiamo che la tv pubblica è un bene comune, così esce dalle sue parole. Riuscire a far sì che questo diventi cultura condivisa nel contesto Rai, costruire questa cultura nella televisione pubblica può essere uno degli elementi su cui lavorare anche dal punto di vista associativo. Ora manca la cultura condivisa su cosa potrebbe essere la comunicazione sociale, se la porta avanti il direttore di Rai Sport da solo diventa un Don Chisciotte. Le associazioni devono assumere un ruolo differente, anche con forza, perché gli strumenti ci sono”.
Manco: “Un’associazione come la Uisp, che ha accompagnato la storia della Costituzione, la Liberazione, deve cercare una nuova soggettività, tendendo in considerazione il deficit culturale storico relativamente allo sport. C’è un’assenza di cultura sportiva, per questo abbiamo proposto al Coni di organizzare gli Stati generali della cultura sportiva. La nomina di Carlo Paris alla direzione di RaiSport apre una sfida anche nei nostri confronti. Abbiamo la necessità oggi di costruire una massa critica al nostro interno per far emergere questo tratto distintivo, noi siamo nati come sport popolare perhè c’era la necessità di allargare la base dei partecipanti alle discipline sportive. Siamo una realtà di terzo settore accreditata per parlare di questo, come quando si parla delle Olimpiadi, che noi chiediamo siano Olimpiadi della gente”.