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Alfonsina Strada, la prima donna al Giro d'Italia

Cento anni fa la prima donna al Giro d'Italia: "una pagina di prepotente femminismo", come la definisce lo storico dello sport, Sergio Giuntini

 

E’ passato un secolo da quel 1924 che fa spartiacque nella storia dello sport femminile (e non solo) italiano, e oggi un francobollo commemorativo ne celebra la straordinaria impresa, l’incredibile profanazione. Chi mai, prima d’allora, avrebbe potuto immaginare che una donna potesse scendere in competizione con gli uomini nel massacrante Giro d’Italia? In quella che appariva, sin lì, una loro esclusiva koinè? 

E invece, anche allora, in molti (e molte) non la pensavano così: “Già nel 1946 il Fronte della Gioventù aveva aperto al ciclismo femminile, nella convinzione che anche a colpi di pedale potessero cadere dei tabù, convinzione che sarà raccolta e portata avanti dal 1948 dai progetti dell’Uisp”. Ancora oggi l'Uisp continua a dedicare alla Strada manifestazioni ciclistiche in Emilia Romagna e altre regioni italiane.

Eppure c’è sempre una prima volta e a scrivere questa pagina di prepotente femminismo fu Alfonsina Strada, la “corridora” delle pianure di Gianni Celati. Secondogenita di dieci fratelli e sorelle, Alfonsina nacque a Riolo di Castelfranco Emilia, in provincia di Bologna, il 16 marzo 1891 e sfruttò un’occasione unica. Nel ’24 la corsa della “Gazzetta dello Sport” fu boicottata dalle grandi case costruttrici e dai nomi di grido del pedale, che chiedevano premi più alti e maggior voce in capitolo nell’organizzazione. Il “patron” della competizione, Armando Cougnet, resistette a
queste pretese e decise di far gareggiare in loro vece gli “isolati”. Di più, pensò che anche il richiamo ambiguo d’una donna-ciclista potesse far gioco in quel Giro che partiva gravemente azzoppato. Una ciclista che però, sino all’ultimo, doveva apparire un uomo. Tanto che nell’elenco degli iscritti al via da Milano, col numero 72, figurava un certo Alfonsin Strada. La trovata doveva risultare perfetta, la vera identità di quel “concorrente” misterioso andava tenuta debitamente nascosta per non suscitare scandalo nei benpensanti. Tanto, riteneva Cougnet, Alfonsina avrebbe resistito poco, qualche tappa appena, sufficiente a far dimenticare l’assenza di tanti campioni.

Ma come ben sa chi frequenta l’epica greca, in questo caso l’epica ciclistica, la nemesi storica è sempre in agguato. L’eterogenesi dei fini si rivolta contro chi crede di aver previsto tutto. E così fu con Alfonsina che, a ritirarsi non ci pensava affatto, e con la sua resilienza di contadina adusa alle grandi fatiche, giunse sino in fondo portando a termine, in 174 h. 54’ e 11”, le 12 infinite frazioni della corsa concepita per soli maschi. Senza saperlo, quel primo giugno 1924, tagliando l’ultimo traguardo era entrata nel mito. Aveva abbattuto un altro tabù di genere, smentiti tutti gli stereotipi sulle fragilità (fisiologiche, psicologiche ecc.) attribuite alla donna. Di Giuseppe Enrici, il vincitore di quell’edizione del Giro, non si ricorda più nessuno. L’unico nome restato scolpito nella memoria, in quello che sarebbe stato ribattezzato l’immaginario collettivo, è il suo: della rivoluzionaria Alfonsina.

"Alfonsina, Alfonsina/ che dovunque passa – come recitava una canzoncina composta a ritmo battente in suo onore – sente che le dicon birichina"

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