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Cop26: no ad uno sport egoista, mettere al centro il territorio

La ricetta dello sport sociale e per tutti Uisp punta su decarbonizzazione, impatto zero e territorio. Parla Santino Cannavò

 

A Glasgow in questi giorni si sta svolgendo il 26° vertice dell'Onu sul clima, la Cop26, in cui si discute del futuro del pianeta, cercando soluzioni contro il riscaldamento globale e le conseguenze più pericolose per molte popolazioni che sono sempre più a rischio. Che ruolo può avere lo sport in questo confronto? Il Cio e molti atleti sono presenti alla conferenza attraverso l'iniziativa Sport for Climate Action, lanciata dall'Onu nel 2018, che però propone un approccio centrato sulle esigenze organizzative ed economiche del sistema sportivo, che sembra impermeabile ai problemi più grandi del mondo. “Lo sport invece deve diventare luogo di produzione di una nuova coscienza ambientale, sociale ed economica condivisa a livello mondiale”, dice Santino Cannavò, responsabile politiche ambientali Uisp

Come può caratterizzarsi una transizione ecologica dello sport? “Abbandonando regolamenti omologanti, formando dirigenti a tutti i livelli; realizzando sport a impatto zero, per la qualità della vita di tutti. Lo sport deve promuovere il territorio e mettere al centro i suoi equilibri ambientali, sociali ed economici, in una logica di redistribuzione delle ricchezze e di pari opportunità. Noi proponiamo la globalizzazione di un nuovo modello, alternativo all’omologazione delle Olimpiadi: un modello che metta al centro la sostenibilità dell’attività motoria, con proposte localizzate, legate alle tradizioni, alla cultura e ai rapporti sociali del territorio. La sfida da vincere è quella di organizzare attività migliorando la qualità sociale ed economica del territorio. E’ necessario rivedere gli obiettivi delle nostre azioni”.

Se l’obiettivo è che la gente si muova e sia in salute il territorio diventa una leva importante, mentre l’omologazione diventa una complicazione: “Possiamo trovare il modo di far muovere le persone adattandosi al territorio, ogni luogo può diventare uno spazio per educare all’attività motoria, non solo l’impianto sportivo. Questo approccio promuove la decarbonizzazione: praticando attività di vicinato o di quartiere si evita l’impatto degli spostamenti; si aumenta la capacità di progettazione dei luoghi; si partecipa alla gestione degli spazi urbani di prossimità, per cui ogni struttura può essere utile e non è necessario costruirne altre; inoltre gli impianti si possono riqualificare nel senso delle pari opportunità e del diritto di tutti allo sport”. 

L’impegno Uisp per la tutela ambientale nasce decenni fa: Corri per il verde, la storica manifestazione podistica dell’Uisp Roma che ha acceso i riflettori sul degrado della città, festeggia quest’anno 50 anni; per Santino Cannavò la strada corretta è stata tracciata basta rimanere su quel solco e continuare a produrre cultura ambientale. “In occasione del sessantesimo anniversario della nascita dell’Uisp, a Rimini nel 2008, avevamo prodotto un piano di azione ambientale che conteneva già gli elementi su cui lavorare: uso delle borracce per eliminare la plastica; riduzione della co2 prodotta attraverso il trasporto collettivo; riduzione spreco di acqua con erogatori di acqua pubblica; un piano di comunicazione ambientale con mappe utili per trasporti ecosostenibili. Basta rimanere su quel solco tracciato tanti anni fa, ad esempio con i giochi tradizionali: cultura, tradizione, territorio, si può ripartire dalle radici”.

Dal 7 al 10 novembre si svolgerà anche il People's Summit for Climate Justice, un controvertice che accoglie i rappresentanti delle popolazioni più colpite dalla crisi climatica: “Al tavolo della Cop26 si siedono i signori del mondo ma mancano le voci e i diritti delle vittime che hanno bisogno di una vera inversione. La lotta al cambiamento climatico deve stare dentro una nuova visione del mondo che dica no allo sfruttamento della terra, del lavoro, delle popolazioni e dei sistemi sociali. Separare il piano della trasformazione produttiva del pianeta dal piano ambientale è un errore di metodo. Dagli accordi di Parigi sono passati 6 anni e nulla è stato fatto. E’ necessaria una trasformazione economica e sociale dei rapporti di forza nel mondo, con conseguente redistribuzione delle ricchezze. Le procedure di mitigamento e adattamento perseguite fino ad ora allargheranno la forbice tra chi si può difendere e chi non può: la crisi climatica in atto colpisce chi è in condizioni di necessità, si può difendere solo chi ne ha la capacità economica. La crisi climatica va inserita nel tema della giustizia climatica: per capire come uscirne dobbiamo studiare le radici storiche delle ingiustizie climatiche e sociali, colonialismo, sfruttamento delle terre e dei popoli, capitalismo neoliberista e globalizzato, sono le radici dei mali che in questo momento si presentano sotto forma di ingiustizie ambientali, ma sono solo una delle rappresentazioni di storiche ingiustizie sociali”.

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