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I nuovi carovanieri siamo noi: terzo settore e cambiamento sociale

“Dalla percezione al cambiamento: il terzo settore oltre il fare” incontro con Bonomi, Borgomeo, Pallucchi, Vittadini promosso dal Forum

 

Come il terzo settore puó essere soggetto di cambiamento? E soprattutto: fino a che punto si autopercepisce come tale? Da queste due domande, riassunte in premessa da Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore, ha preso le mosse l’incontro “Dalla percezione al cambiamento: il terzo settore oltre il fare”, moderato da Elisabetta Soglio, caporedattrice di Corriere Buone Notizie. L’incontro si è tenuto oggi a Roma, come evento di apertura dell’Assemblea nazionale del Forum del terzo settore.

Il sociologo Aldo Bonomi ha fissato alcuni punti che il terzo settore deve saper mettere a fuoco e trasmettere in maniera convincente all’esterno di esso, con la consapevolezza di essere nel mezzo di una metamorfosi che riguarda il rapporto tra flussi (migrazioni, Pnrr, ecc) e luoghi, ovvero i territori in quanto costruzioni sociali. Bonomi ha posto l’attenzione su un mondo in continua crescita, una moltitudine che “tra i denti ha tanto senso e poco reddito”. Il terzo settore è una società di mezzo, tra capitale e lavoro, che ha ilcompito di attraversare il deserto” alla ricerca dell’acqua”, ovvero di un nuovo modello economico e sociale, protagonista di “un terzo racconto” della società. Il terzo settore produce “coesione sociale” e capitale sociale, a cominciare dal Mezzogiorno. C’è bisogno di nuova rappresentanza e nuova rappresentazione, c’è bisogno di superare i “carovanieri” del Novecento (i soggetti economici, politici e sociali del secolo scorso) occorre che il terzo settore acquisisca maggiore soggettività e alzi di più la voce.

Carlo Borgomeo, già presidente di Fondazione con il Sud, ha posto l’accento su quattro punti che richiamano ad un ruolo politico del terzo settore: il capitale sociale come fattore di sviluppo; il futuro è nella cogestione (coprogettazione e coprogrammazione); coincidenza tra sostenibilità ambientale e sociale; innegabile propensione imprenditoriale. Allora, che fare? Borgomeo ha abbozzato alcune proposte: individuare meccanismi mobilitanti condivisi e convincenti anche all’esterno; no a denunce fini a sé stesse; ricerca di alleanze; cercare il momento giusto per “alzare la voce”.

Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la sussidiarietà, ha analizzato gli aspetti e i riflessi economici delle trasformazioni del e nel terzo settore: “Non è vero che l’egoismo dei singoli porta al benessere collettivo” come ha cercato di farci credere il thatcherismo, ha detto. Per mettere insieme democrazia e mercato, contro la dittatura delle autocrazie, occorre partire dai “desideri socializzanti”, l’uomo relazionale diventa paradigma essenziale per lo sviluppo, il terzo settore è “economia sociale”, la persona è un nuovo soggetto.

L’aspetto economico è stato ripreso anche da Borgomeo, che l'ha coniugato con l’azione politica della quale deve essere portatore il terzo settore, insieme all’assunzione di una sua dimensione imprenditoriale: chiedere allo stato più risorse laddove, attraverso la sua azione sussidiaria, ci sono risparmi in termini di spesa pubblica, ovvero una oggettiva convenienza da parte dello stato. All’interno di questa cornice un giovane sarà portato a preferire un lavoro che ha più “senso” rispetto ad un altro lavoro che promette maggiori guadagni.

Vanessa Pallucchi non ha tirato alcuna conclusione, registrando l’estrema complessità dei temi e le prospettive future. Ha parlato della necessità della dimensione politica, “dell’incertezza che si prova di fronte agli attuali fenomeni che prima non si conoscevano”, della necessità di approfondirli nella complessità e nella necessaria differenza di vedute delle quali il terzo settore è portatore. “Non mi piace parlare di biodiversità sociale riferita al nostro mondo - ha detto - preferisco parlare di rispetto della diversità, ovvero saper stare insieme nella diversità”.

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L’incontro è nato dalla volontà del Forum del Terzo settore di dare il via a un percorso di riflessione e di analisi del ruolo sociale, economico e politico del Terzo settore, alla luce delle trasformazioni socioeconomiche in atto e dei cambiamenti normativi più recenti. 

Il Terzo settore è, dai più, riconosciuto principalmente come quell’universo operoso e silenzioso che, mosso da solidarietà, si attiva spontaneamente a sostegno di chi ha più bisogno, sopperendo sempre più spesso alla carenza dei servizi e alle lacune dello Stato. Visto dall’esterno (e spesso anche dall’interno), il Terzo settore è dunque soprattutto quello che “fa”, ovvero che opera, e che lascia – quasi per necessità – in secondo piano l’esigenza di sviluppare consapevolezza di ciò che effettivamente rappresenta nella società e di cosa potrà rappresentare in futuro.

Ma nel dna degli ETS c’è il codice del cambiamento: il loro “fare”, operando al fianco delle persone sui territori, è veicolo di trasformazione sociale, che passa attraverso l’elaborazione e la realizzazione delle politiche pubbliche (nazionali, locali, di comunità), nelle quali il Terzo settore offre – e può offrire ancor di più – un contributo prezioso.

Da un lato la riforma (in primis con la definizione nel Codice di “Terzo settore”), dall’altro i progressi compiuti sul piano dell’amministrazione condivisa (a partire dall’introduzione del principio di sussidiarietà nell’articolo 118 della Costituzione e poi dal nuovo profilo costituzionale riconosciuto agli ETS con la sentenza 131 del 2020), consentono il rafforzamento e l’affermazione di una lettura del ruolo del Terzo settore meno schiacciata sulle emergenze sociali da curare, una lettura più evoluta e costruttiva, che può riconoscere nel Terzo settore un attore di dignità pari a quella dello Stato e del mercato nel contribuire allo sviluppo del Paese.

Si tratta di un lento processo culturale, di auto-percezione e presa di consapevolezza di sè, di cui gli stessi ETS devono essere protagonisti, per poter passare dal piano del fare a quello del cambiare. “Cambiare” inteso come irrompere nella visione binaria pubblico- privato, al cui esterno c’è spazio solo per la “buona volontà” o la carità; scardinare l’idea di ineluttabilità di un modello di sviluppo centrato sul profitto e non sulla persona; creare e popolare luoghi di espressione della cittadinanza attiva, dando nuova linfa alla partecipazione democratica e politica (di Ivano Maiorella)