Completiamo la pubblicazione dell’intervista a Patrick Clastres, docente all’Università di Losanna. Chi ha seguito le prime due parti dell’intervista, concessa in esclusiva a Uispress dallo storico dello sport, ha chiaro il filo rosso che collega la severa critica di Clastress al Cio e alla sua mancata democratizzazione, ad una possibilità di rinnovamento degli ideali olimpici proprio attraverso un’apertura del Comitato Olimpico Internazionale, alle nuove istanze sociali che si sono fatte larghe in questi decenni, molte anche all’inerno dello stesso mondo sportivo, come ad esempio la parità di genere e l’impegno per i diritti umani.
In questa terza parte dell’intervista, che pubblichiamo alla vigilia dell’apertura dei Giochi di Parigi, quando mancano esattamente due settimane, Clastress affronta temi di attualità politica, come ad esempio quelli legati al patriottismo e al nazionalismo, fissando precise demarcazioni tra i due concetti, spesso confusi in una generica retorica sportiva che, molto spesso, tutto confonde e narcotizza. Infine analizza il tema della paura del Cio e del mondo sportivo rispetto ad una presunta, o possibile, sua politicizzazione. Anche se in fondo, afferma, è già così da tempo.
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Professor Clastres, lei parla spesso di nazionalismo e di razzismo come di due fenomeni deteriori dello sport. Perché attecchiscono proprio nello sport?
"Diciamo che lo sport, come spettacolo di massa e televisivo, mette in luce le differenze e quindi nel pubblico, ma anche negli attori in campo, può generare pregiudizi derivati dalla morfologia corporea delle persone. Ovvero se siano alti, bassi, grassi, belli o brutti, secondo i canoni di bellezza forgiati nell'Ottocento. E poi vediamo anche il colore della pelle. E questo genera molto spesso nei commenti del pubblico, ma spesso anche tra i partecipanti, tutta una serie di pregiudizi, perché è facile fare equivalenze tra ciò che vediamo e ciò che comprendiamo.
Quindi è facile abbandonarsi a pregiudizi nazionalistici dati dal comportamento delle squadre e pregiudizi razzisti legati all'aspetto fisico, e in particolare dal colore della pelle delle persone. Perché lo sport, nella sua dimensione di confronto, di competizione, esaspera le passioni. Le passioni da stadio, le passioni identitarie e comunitarie, e poi le passioni politiche, anche religiose.
Lo stadio è un calderone, in un certo senso, in cui ribollono le emozioni. Di esempi di fraternizzazione nello stadio sappiamo ben poco. Fanno notizia, invece, le rivalità e le tensioni. Lo sport non è solo produttore di pace sociale e di fraternità, richiede un continuo lavoro educativo.
Soltanto dal 1908 hanno fatto il loro ingresso nella storia dei Giochi olimpici le delegazioni nazionali, si incominciavano ad indossare le maglie nazionali, ad ascoltare gli inni e le bandiere inizavano ad accompagnare gli atleti. E questa nazionalizzazione dei Giochi Olimpici, a partire dal 1908, non ha smesso di crescere con i conflitti, i grandi conflitti ideologici del secolo, e poi ovviamente con la cassa di risonanza offerta dai media, prima la radio e poi la televisione".
Oggi siamo di fronte a questo impasse ed è probabile che il Cio incominci a pensare di temperare il nazionalismo dei Giochi.
"Forse potremo continuare a fare le selezioni nazionali, ma probabilmente dovremo pensare di togliere le maglie nazionali durante le competizioni, se il Cio vuole davvero servire la causa della pace. Questo aiuterebbe ad evitare di escludere alcune nazioni. Pensiamo al caso attuale della Russia e della Bielorussia, i cui atleti vorremmo integrare ma allo stesso tempo controllare. Se tutti gli atleti fossero “neutralizzati”, ovvero resi neutrali, senza maglie nazionali, senza bandiere, senza inni, sarebbe molto più semplice. Il che non impedirebbe a ogni Paese di essere orgoglioso delle proprie nazionali. Ma almeno nello spazio olimpico avremmo un esempio di fraternizzazione umana. Il Cio lo prevede nei Giochi Olimpici della Gioventù, dove ci sono squadre contraddistinte da colori, nelle quali i giovani concorrenti di diverse nazionalità sono mischiati tra di loro.
E anche la Federazione Internazionale degli Sport Universitari sta cambiando logica. Invece di avere competizioni tra studenti che rappresentano diverse nazionalità, avremo competizioni tra Università. Nelle Università ci sono giovani studenti che vengono da tutto il mondo.
Quindi avremmo squadre colorate e ci sarebbero meno sollecitazioni: tutti devono essere orgogliosi della propria patria, ma quando il patriottismo diventa nazionalismo, cioè quando diventa aggressivo, allora si perde l'obiettivo che è comunque quello di servire la pace tra i popoli".
Qual è la differenza tra patriottismo e nazionalismo?
"Nelle scienze sociali e umane spieghiamo la distinzione in questo modo. Il patriottismo è espressione di orgoglio, di appartenenza ad un Paese, che può essere anche la difesa di questo Paese, se viene attaccato, è la difesa della terra degli antenati, dei patres, in latino.
Il nazionalismo presenta aspetti molto più aggressivi, con l'idea di proiettare la propria nazione verso l'esterno per prevalere sul terreno economico, politico o militare. Questa distinzione è assolutamente necessaria perché lo sport è in crescita, e c'è il rischio di passare da un sano patriottismo a un nazionalismo che diventa aggressione verso l'altro e assume forme di xenofobia".
Il Cio afferma che i Giochi non vogliono essere politici. Che Giochi saranno quelli di Parigi 2024 dal punto di vista diplomatico?
"Il Comitato Olimpico Internazionale si è posto, a differenza delle Federazioni sportive internazionali, grandi ambizioni in termini di impatto sociale, educativo, ambientale. Anche in termini di diritti umani. Quindi fa politica, perché questa è la politica. È bene agire sulla società, quando è chiara la direzione verso la quale vuole andare”. Clastres sottolinea cioè la necessità che il Cio renda trasparenti i criteri di negoziazione tra forze sociali, economiche e “benefici per l’’umanità”.
“Il Comitato Olimpico Internazionale è un'organizzazione che si presenta come apolitica, anche se ha una politica di impatto sociale e si presenta come neutrale dal punto di vista delle relazioni internazionali. In effetti, i Giochi Olimpici sono il luogo in cui le nazioni vengono ad esprimere la loro forza e vengono a competere. Se questo è il quadro, il Cio non può rimanere neutrale di fronte alle nazioni in guerra che violano il diritto internazionale, altrimenti fornirebbe loro una platea. Questa è la domanda che ci si è posti recentemente riguardo all'aggressione militare della Russia contro l'Ucraina. E il CIO si trova di fronte a un dilemma. Dovrebbe accogliere oppure no gli atleti russi e bielorussi? Per la prima volta nella sua storia, ha imposto un certo numero di nuove regole per cercare di rendere neutrali gli atleti.
Al governo francese va bene che a prendere questo tipo di decisioni sia il Cio. In questo modo non dovrà prenderle lui. Ma nel 1924, ad esempio, la Francia rifiutò la partecipazione degli atleti tedeschi. E avremmo potuto immaginare che nel 2024 la Francia avrebbe negato l’ingresso nel suo territorio agli atleti russi e bielorussi. Visto che rientra nelle prerogative di uno Stato aprire o meno le proprie frontiere ai cittadini stranieri. Ma la scelta del presidente della Repubblica francese è stata quella di lasciare la responsabilità al Cio che quindi si è trovato di fronte a queste difficoltà. E bisogna ammetterlo, ha posto delle condizioni molto alte, ad un livello mai conosciuto prima, poiché non solo gli atleti russi e bielorussi non potranno indossare le maglie nazionali, ma non ci saranno né inno né bandiera e non avranno diritto a partecipare sotto forma di sport di squadra, poiché gli sport di squadra rappresentano troppo la nazione. Inoltre, degli atleti, verrà controllato il loro curriculum: hanno partecipato ad azioni di guerra? Appartengono a club dell'esercito, ai servizi segreti o alla polizia? In tutti questi casi, il Cio rifiuta la loro ammissione ai Giochi Olimpici. Questo vale sia per i russi che per i bielorussi, il che significa che le loro delegazioni saranno estremamente ridotte. Siamo in un universo abbastanza nuovo, anche se una prima esperienza storica c’è stata ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia, in occasione dei Giochi di Barcellona del 1992, ma in quel caso era l’Onu che aveva bandito Serbia e Montenegro dal partecipare a manifestazioni sportive internazionali e aveva imposto questo vincolo al Cio. L'allora presidente Juan Antonio Samaranch aveva negoziato con l'Onu la loro partecipazione ai Giochi di Barcellona e in quel caso fu l'Onu a introdurre l’idea di rendere neutrali le maglie ed eliminare inni e bandiere. Questa volta, il Cio ha in un certo senso ripetuto quell’esperimento, ma lo ha elevato a un livello maggiore perché esso stesso è preso di mira dalla Russia. Il Cio non si sarebbe mosso se non fosse stato destabilizzato dalla Russia. Questa è la novità rispetto ai tempi della guerra nell'ex Jugoslavia”.
“Negli anni ’90 la Serbia e il Montenegro non si schierarono politicamente contro il Cio. Questa volta è completamente diverso, perché ad un certo punto, poco prima della guerra, la Russia aveva influenza diretta su sette presidenti di Federazioni internazionali. In quel momento annunciò i Brics Games, con Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa (ndr: si sono svolti a Kazan, in Russia, 13-23 giugno 2024)
“Inoltre la Russia ha annunciato i World Friendship Games che si svolgeranno a Mosca e Ekaterinburg dal 15 al 29 settembre 2024, con l’intento evidente di creare pressione sul Cio attraverso manifestazioni sportive internazionali in competizione con i Giochi Olimpici”.
“Questa situazione internazionale determina un impatto diplomatico molto forte sui Giochi di Parigi. Ciò ne farà una sorta di laboratorio della situazione internazionale, con effetti collaterali che saranno importanti, poiché potremmo ritrovarci con il mondo diviso in due. Da un lato un mondo democratico-conservatore-liberale attorno ai Giochi Olimpici, così come li conosciamo. Dall'altro lato un universo sportivo internazionale dirompente che verrebbe mobilitato da Cina e Russia, con incursioni trasversali”.
“In ogni caso si potrebbe finire con una suddivisione del mondo, un po' come durante la Guerra Fredda, quando la Russia sovietica aveva le sue Spartachiadi e l'Occidente aveva le sue Olimpiadi. E' un'ipotesi che non possiamo escludere, che rende i Giochi di Parigi ad altissima intensità. Aggiungiamo anche la questione israelo-palestinese, nel contesto politico francese con la presenza di molte persone di origine arabo-musulmana e quella della popolazione ebraica in Francia. Forse sarà possibile controllare le delegazioni degli atleti, anche se sarà più difficile controllare il pubblico e le sue reazioni quando entreranno in pista atleti di questo o quel paese”. (a cura di Ivano Maiorella. Ha collaborato Francesca Spanò)