Nazionale

Il diritto allo sport di infanzia e adolescenza alla prova dei Lep

Loredana Barra, responsabile Politiche educative e inclusione Uisp, audita sul tema dall'Autorità Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

 

I Lep sono i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, perché riguardano diritti civili e sociali da tutelare per tutti i cittadini. La definizione dei Lep in alcuni casi è implicita in norme già vigenti e nella Costituzione, in una serie di altri settori (come quelli sociali e socio-educativi) invece, non sono ancora stati individuati i livelli del servizio da garantire perché troppo disomogenei sul territorio nazionale. La Costituzione affida allo stato, come competenza esclusiva, il compito di definire i Lep. Anche se ancora i Lep non sono stati definiti, per colmare i divari esistenti sono stati introdotti gli obiettivi di servizio (Os), che rappresentano un avvicinamento  ai livelli essenziali delle prestazioni, poiché fissano un livello minimo che tutti i comuni dovrebbero conseguire nell'erogazione di un servizio. Ad oggi, la definizione dei Lep resta uno degli aspetti più rilevanti che mancano per l'attuazione del federalismo fiscale ma, l'implementazione degli obiettivi di servizio attuata di recente, dapprima ai servizi sociali poi agli asilo nido e al trasporto per gli alunni con disabilità, può essere vista come un passo verso l'adozione dei Lep e quindi verso il federalismo fiscale.

Giovedì 21 marzo l’Autorità Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha tenuto un’audizione cui è intervenuta anche Loredana Barra, responsabile Politiche per educative e inclusione Uisp, per evidenziare eventuali dati o informazioni in merito allo stato di implementazione dei LEP attualmente definiti, riguardo all’area delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza.

“Per capire profondamente la complessità dell’argomento di cui parliamo - ha detto nel suo intervento Loredana Barra - e in che modo lo sport sociale e per tutti può e si deve inserire nell’implementazione dei livelli essenziali delle prestazioni riferiti all’infanzia e all’adolescenza è necessario parlare dei diritti civili e sociali di tutte le persone, compreso quel 16,2% dei minorenni che, alla luce dei dati di numerose ricerche, non stanno bene. I temi della povertà materiale (13,4%) e della povertà relativa (23,5%) disegnano una situazione nella quale più di un terzo dei minorenni nel nostro Paese vive una condizione di deprivazione e di impossibilità a fruire di beni e servizi; l’abbandono scolastico è all’11,5%; la dispersione implicita pari all’ 8,7%. Questi dati sono già di per se allarmanti e diventano drammatici se li analizziamo nelle differenze tra centro nord e mezzogiorno: ne emerge un Paese tagliato in due, in cui nascere nel posto sbagliato vuol dire non avere strumenti, opportunità, libertà di scegliere e costruire il proprio percorso, non poter sviluppare autonomamente il proprio personale progetto di vita. Il diritto all’uguaglianza, sancito dalla Costituzione italiana di fatto non c’è, ed è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che non permettono la piena realizzazione della persona. Il problema dei Lep riferiti alle giovani generazioni è che hanno uno sguardo settoriale rispetto alla globalità di servizi che garantiscono il pieno sviluppo della persona di minore età. Ad esempio, l’inserimento del Livello essenziale di prestazione per i servizi educativi per la prima infanzia rappresenta un miglioramento nella vita di bambini e bambine perché garantisce un buon inizio della loro storia, ma se a questo investimento non corrisponde una visione olistica del bambino, prevedendo oltre che l’accessibilità materiale ai servizi, anche e soprattutto i servizi di supporto alle famiglie, alle loro competenze genitoriali, alle possibilità di avere spazi e luoghi dove incontrarsi, ricevere supporto da personale formato, come continua la storia di quel bambino o quella bambina? Lo sforzo che bisogna fare è proprio quello di superare i singoli settori e guardare al benessere complessivo delle ragazze e dei ragazzi, lavorando per mettere in sinergia i servizi socio educativi e sanitari, e soprattutto i bisogni delle persone minorenni, con la giusta differenziazione per fasce d’età. Le necessità dell’infanzia e dell’adolescenza hanno, infatti, caratteristiche simili in tutto il territorio nazionale ma quello che cambia sono le risposte dei singoli territori, con conseguenze gravi perché impattano sulla possibilità per molti loro di accedere ad opportunità educative che potrebbero consentire di disegnare il proprio futuro in maniera diversa. Per servizi educativi si devono intendere le opportunità educative formali e non formali, che vanno dalla scuola, alla possibilità di avere accesso ad altre opportunità educative non formali con infrastrutture (che possono essere le scuole stesse) adatte alla promozione di attività extracurriculari, come sport, arte, programmi culturali, ricreativi.

Cosa manca nell’ implementazione dei Lep già esistenti riferiti ai giovani? Se parliamo di istruzione in riferimento all’area di competenza specifica di cui ci occupiamo, sicuramente possiamo indicare che è necessario garantire le stesse opportunità di formazione per tutti i bambini italiani, con strutture scolastiche adeguate e sicure, tali da rendere la scuola il fulcro di una comunità educante più allargata che possa permettere azioni significative e accessibili per opportunità di apprendimento formali e non formali. In questo senso sarà cruciale la presenza di palestre scolastiche, sia per l’educazione motoria che è parte del curricolum dell’alunno, sia per creare coesione sociale e rigenerazione urbana nei vari territori, dalle grandi città ai piccoli comuni sino alle aree interne.

Da una recente indagine sulla presenza di impianti sportivi in Italia sappiamo che le palestre scolastiche nel centro nord sono presenti nel 76% e nel sud nel 26% degli edifici. Sono circa 550mila alunni delle scuole primarie (66% del totale), 328mila alunni della scuola secondaria di I grado (57% del totale) e ancora sono 550mila gli allievi nella scuola secondaria di II (57% del totale) che frequentano scuole che non sono dotate di una palestra.

Da più voci arriva la certezza che lo sport può essere il grimaldello del cambiamento in una situazione complessa come quella che vivono le nuove generazioni. Oltre al suo valore riconosciuto ormai anche nell’art. 33 della Costituzione, lo sport rientra anche tra le materie, individuate dal Comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie, riferibili a livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Ma di quale sport parliamo?

Oggi il valore della performance individuale (non solo nello sport) è esasperato a discapito di competenze socio-emotive-relazionali che sono, invece, fondamentali nella crescita di ciascun bambino. Abbiamo raccontato ai giovani, attraverso i media e i social, di esperienze straordinarie facendole passare per ordinarie, facendo credere loro che siano normali. Abbiamo dato vita ad aspettative asfissianti da parte di adulti che non tengono in considerazione il bisogno umano di procedere al proprio passo. Dalle forze politiche ci aspettiamo che mettano in discussione in tutti i settori, compreso lo sport, l’intero sistema merito centrico e competitivo, riportandolo a misura di bambino e di attività, in questo caso lo sport, da svolgersi per tutta la vita, al fine di favorire il ben-essere complessivo delle persone, perché sappiamo bene che le esperienze straordinarie e le eccellenze non sono per tutti.

E questo i bambini lo sanno e ce l’hanno dimostrato con i dati: già dopo la scuola primaria cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa, e se finora l’età spartiacque dell’abbandono sportivo era tra i 14 e i 15 anni, nell’ultimo anno si è osservato che il trend negativo comincia già a 11 anni. Una delle motivazioni individuate è l’alta competitività che, già in età giovanile, si vive in alcuni contesti sportivi, che può generare livelli insopportabili di stress.

Quindi, quando parliamo di sport non dobbiamo pensare necessariamente allo sport di alta prestazione, lo sport dei record, della selezione e della specializzazione precoce, in cui la performance individuale comprime la crescita sociale e le stesse relazioni. Lo sport non può prendersi cura dei giovani solo nel momento in cui c’è da “tirar fuori” un campione: nello sport possono trovare il loro riscatto sociale, fortificandoli con la cultura dell’impegno e non con la cultura del risultato. Noi dobbiamo orientarli a vivere in maniera equilibrata il rapporto con lo sport, non necessariamente orientato all’alta prestazione, ma col fine primario del divertimento e del benessere psicofisico, così come è riconosciuto in Costituzione. Questo concetto deve estendersi anche a livello scolastico e in particolare nella scuola primaria, in cui l’inserimento dell’insegnante specializzato di scienze motorie, non deve essere disciplinaristico, nè tanto meno pretesto per reclutare giovani atleti, visto che sono state coinvolte solo le ultime classi della scuola primaria, quindi fascia d’età 10/11 anni. Alcune criticità sono state sottolineate anche dal CSPI-Consiglio Superiore Pubblica Istruzione in merito ai titoli per accedere al concorso, che appaiono inadeguati perché poco rispondenti all’impianto pedagogico, educativo e metodologico della scuola primaria, con una scarsa attenzione alle specificità dell’età dei bambini e delle bambine. L’attività, in questo grado di istruzione deve essere garantita attraverso un approccio integrato e multidisciplinare, che metta in relazione il processo cognitivo con il linguaggio del corpo. Il valore interdisciplinare proprio delle attività motorie e sportive è, infatti, in questa fascia d’età, quello di promuovere sinergie tra le diverse aree di conoscenza.

Il ruolo del movimento e dello sport è primariamente quello di garantire il benessere psicofisico dei minorenni perché fa bene al corpo e alla mente; in particolare, come indica il Libro Bianco per lo sport della Commissione Europeala mancanza d’attività fisica aumenta la frequenza dei casi di sovrappeso e obesità e di una serie di disturbi cronici come le malattie cardiovascolari e il diabete, che riducono la qualità della vita, mettono a rischio la vita delle persone e rappresentano un onere per i bilanci sanitari e per l’economia”. In Italia i bambini obesi o in sovrappeso sono il 31,5%, 1 bambino su 5 nell’età compresa fra i 6 e i 10 anni non pratica sport e nel 30% dei casi le ragioni sono di tipo economico: per molte famiglie l’attività fisica dei propri figli è un lusso.

Purtroppo molto spesso il primo ostacolo alla promozione della pratica sportiva diffusa tra bambine e adolescenti è il certificato medico per l’attività non agonistica, obbligatorio quando i minorenni della fascia di età 6-17 anni praticano l’attività sportiva all’interno di un’organizzazione sportiva (ovvero nella quasi totalità dei casi visto che, soprattutto per i più giovani, è improbabile che pratichino sport in maniera autogestita). Non sono invece sottoposti ad obbligo di certificazione medica i bambini di età compresa tra O e 6 anni, ad eccezione dei casi specifici indicati dal pediatra.

Il certificato medico rappresenta un serio impedimento in quanto ha un costo considerevole che non sempre le famiglie possono o sono disposte a sostenere, e questo con grave preclusione del benessere psico-fisico del minorenne al quale non è data l’opportunità di scegliere. Come sappiamo, in Italia, la sanità è tra le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, materie relativamente alle quali la legge dello Stato può semplicemente determinare i «principi fondamentali». Questo ha fatto sì che alcune Regioni (vedasi l’Emilia Romagna), abbiano approvato delle norme che rendono gratuito per i minorenni, dai 6 ai 17 anni, il certificato medico per l’attività non agonistica, compresi eventuali esami o accertamenti che si dovessero rendere necessari.

Configurandosi la pratica sportiva nei giovani come un fondamentale strumento di prevenzione sanitaria, si ritiene che la tutela sanitaria sportiva debba essere riservata alla competenza legislativa dello Stato, attraverso l’adozione di un provvedimento che inserisca i certificati medici per l’attività sportiva agonistica e non agonistica dei minorenni, nei livelli essenziali delle prestazioni in quanto trattasi di un diritto civile e sociale che deve essere garantito in pari modo su tutto il territorio nazionale.

Inoltre, lo sport dovrebbe essere accessibile a tutte le persone, il che vuol dire che dobbiamo tenere conto, nell’individuazione dei Lep riferiti all’infanzia e all’adolescenza nell’ambito sportivo, delle esigenze specifiche e della situazione della popolazione di minore età, le persone minorenni con disabilità e quanti provengono da contesti fragili. 

Esiste una grande disparità tra lo sport agonistico e quello di base nell’accesso a fonti di finanziamento provenienti da operatori economici.  Nello sport di base e nello sport per tutti, opportunità e accesso aperto alle attività sportive possono essere garantiti soltanto attraverso aiuti pubblici, in considerazione dell’impegno diretto sui territori in condizioni di disagio e di svantaggio sociale, con attività non necessariamente orientate all’alta prestazione.

Quando ci sono risorse importanti da destinare all’infanzia e all’adolescenza per garantire i servizi socio educativi strutturali bisognerebbe allocarli seguendo il criterio del fabbisogno e non solo della capacità di vincere o presentare bandi da parte di enti e amministrazioni pubbliche, proprio per evitare l’ulteriore disomogeneità di servizi nei territori". 

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