Nazionale

La comunicazione sociale alla prova della transizione digitale

Quelle digitali sono comunità e la comunicazione sociale passa anche da lì. Perchè raccontano le nostre vite. Di Gaia Peruzzi e Andrea Volterrani

 

Come si comunica un progetto e qual è l’importanza da dare alle storie? Come rendere efficace la comunicazione di un progetto? Come interagire con le comunità di riferimento? Qual è il rapporto da stabilire con le comunità digitali? Per rispondere a queste domande, due prestigiosi studiosi di scienze della comunicazione, Andrea Volterrani (Università di Tor Vergata) e Gaia Peruzzi (Università di Roma La Sapienza), sono intervenuti nel corso dell'incontro nazionale Uisp sulla comunicazione sociale che si è tenuto a Roma il 19 e 20 febbraio. Una delle tesi di partenza era infatti legata all'impatto che il lavoro a progetti sta esercitando sull'Uisp (e sul terzo settore), sulla necessità di cambiare e di adeguare anche le modalità comunicative.  Cambiano di conseguenza il racconto che dobbiamo costruire e l’immaginario collettivo.

Andrea Volterrani, dell'Università degli Studi di Tor Vergata - Roma, ha esordito sottolineando i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni: “La comunicazione è cambiata profondamente, non solo per l'avvento del digitale. Ovviamente la rivoluzione digitale è un elemento importante, ma il primo computer è degli anni ’70 quindi non possiamo più parlare di rivoluzione digitale come se fosse qualcosa di totalmente nuovo. Il  cambiamento fondamentale è avvenuto quando ha iniziato ad entrare nelle nostre vite in modo più profondo e incisivo rispetto al passato. Alcuni parlano di mediatizzazione profonda per segnalare che è impossibile per ciascuno di noi fare a meno della comunicazione digitale nella nostra vita quotidiana. Ciò non significa che valga solo per comunicare un'organizzazione, per poter fare fund-raising, per poter comunicare e fare anche battaglie politiche e sociali su temi che riteniamo rilevanti”.

GUARDA L'INTERVENTO DI ANDREA VOLTERRANI

“Ad esempio, ormai utilizziamo strumenti digitali come lo smartphone per partecipare a riunioni, per scrivere e comunicare o per approfondire istantaneamente ciò che viene detto da un relatore durante un seminario (come magari sta avvenendo in questo momento). L'elemento dirompente è il non poter fare a meno di gestire le relazioni con l’altro a distanza, anche se si è fisicamente in un altro luogo. Il primo elemento su cui riflettere è questo, poiché incide ed è parte della vita quotidiana di ciascuno di noi”.

“Da questo piccolo esempio si può comprendere il valore della comunicazione anche nelle organizzazioni di terzo settore. Fino a non molto tempo fa un certo mondo e una certa cultura politica hanno avuto grande difficoltà a comprendere e ad accettare che la comunicazione fosse cultura della vita quotidiana. Questo è il primo aspetto da sottolineare e ha a che fare anche con il nostro modo di fare comunità. Non si può immaginare un modo di fare comunità che prescinda dal cambiamento della comunicazione, appunto per la sua valenza culturale. Cosa implica tutto questo per il terzo settore e per chi si occupa di comunicazione?”.

“All’interno di un’organizzazione di terzo settore tutti devono comprendere questi meccanismi, e non solo coloro che si occupano direttamente di comunicazione, perché moltissimi aspetti sono profondamente intrecciati con il mondo digitale e dei cosiddetti social media in tutte le sue articolazioni e nelle sue differenziazioni. Tutto ciò che viene detto da una persona dell’organizzazione di terzo settore è rilevante. Non è più come in passato, quando c'era l'ufficio stampa che parlava al mondo giornalistico, o ai canali televisivi broadcasting. Siamo in un altro mondo che è completamente diverso. Pertanto, gdevono acquisire competenze diverse e diffuse anche coloro che si occupano di altro, poiché è pervasiva”.

“Un elemento che invece viene spesso messo in secondo piano è l’acquisizione delle competenze sulla gestione dei dati. Non parlo di dati statistici ma della costruzione e della gestione dei dati e degli algoritmi. Sono tutti elementi che hanno un impatto sui processi democratici e lo avranno sempre di più in futuro. Quindi bisogna porsi il problema di come funzionano gli elementi di raccolta, gestione e cambiamento dei dati digitali. Le piattaforme digitali sono luoghi privati, gestiti da aziende globali che decidono sulla gestione dei loro spazi, nonostante vi siano miliardi di persone connesse”.

“La cosa fondamentale è iniziare a costruire piattaforme di prossimità, piattaforme che hanno a che fare con le caratteristiche del terzo settore, un mondo che vive nei territori e nelle comunità ed ha la capacità di aggiungere all'azione territoriale anche un'azione sul digitale, senza pensare che questi due mondi siano separati o in conflitto fra di loro. C'è una grandissima continuità tra i due mondi”.

“Ciascuno di noi sta nel digitale e sta on sight nel mondo fisico senza nessun particolare problema. Tutto è reale perché anche ciò che stiamo costruendo tramite questo collegamento, anche se sono a distanza, è assolutamente reale. Sicuramente cambia la natura delle relazioni ma non bisogna fare l’errore di contrapporre il reale al digitale. Ciò viene fatto continuamente e non fa percepire la rilevanza e le potenzialità del terzo settore. Partecipazione, protagonismo e coinvolgimento delle persone a livello territoriale sono gli elementi su cui lavorare: è chiaro che ci sono spazi delle piattaforme social in cui è possibile costruire comunità. Bisogna utilizzare le piattaforme social come occasioni di costruzione di relazioni sociali”.

“Delle piattaforme del sociale sono possibili ed è possibile costruirle insieme. Moltissime organizzazioni a raccontare sé stessi la propria attività pensando che il mondo riescono a incidere sull'immaginario collettivo e in realtà sono soggetti che vengono percepiti al pari di tantissimi altri. Anche le organizzazioni di terzo settore devono farsi promotrici di piattaforme sociali nel digitale per costruire relazioni. Delle relazioni tra persone per fare in modo che le organizzazioni di terzo settore siano fondamentali per costruire relazioni che non siano solo quelle sul territorio (caratteristica distintiva) ma anche nel mondo digitale. Pertanto, bisogna costruire relazioni e comunità nel senso plurale del termine. Chiaramente vanno acquisite competenze nuove ma bisogna ricominciare ad assumere e a incrementare la consapevolezza delle persone che stanno dentro al terzo settore rispetto alla rilevanza del tema della comunicazione. In alcune situazioni pesa molto di più la comunicazione rispetto alle attività che vengono realizzate perché quest’ultima ha il potere di entrare nell'immaginario collettivo.”

“Non si tratta di grandi costi da sostenere o investimenti da fare. Se voglio costruire una community web radio, per esempio, mi devo porre il problema di come costruire una comunità attorno ad essa e non preoccuparmi solo ed esclusivamente di fare radio.”

“Le piattaforme digitali di prossimità non è vero che sono così costose ma l’importante cominciare a perlustrare questo territorio. Ad esempio, a Barcellona c’è una piattaforma digitale di partecipazione adottata dal comune che ha costruito un software open source per far sì che vi siano processi decisionali ibridi, on line e in presenza. Questa esperienza è partita dal non-profit ed è un esempio perfetto del ruolo e della rilevanza che il terzo settore può avere” conclude Volterrani.

Gaia Peruzzi, Università degli Studi La Sapienza di Roma riflette sulle caratteristiche ed evoluzioni della comunicazione. “Nella comunicazione del terzo settore si investe poco per avere bravi comunicatori. Come sottolineavano il prof. Volterrani e gli altri relatori è necessario investire. Purtroppo l'esperienza mi dice che quando le realtà non sono strutturate e non sono di dimensioni notevoli se c'è una figura secondaria spesso è proprio quella del comunicatore. Bisogna investire perché la comunicazione si apprende ed è una professione complessa che richiede un insieme di punti di vista. Come si fa? Personalmente ho voluto un corso che si chiama comunicazione che si chiama Media, questioni di genere e diversità all'interno di una laurea in giornalismo. Per anni avevo insegnato nella comunicazione del terzo settore e ho pensato che questi temi dovessero essere patrimonio di tutti e quindi ho preferito un percorso dedicato al confronto con studenti che sono interessati a questi temi ma non è detto che conoscano il terzo settore”.

GUARDA L'INTERVENTO DI GAIA PERUZZI

“La comunicazione si è totalmente digitalizzata ma non solo la comunicazione dei professionisti ma anche quella delle nostre vite; viviamo in un mondo totalmente digitalizzato e i ragazzi più giovani, specie quelli che desiderano diventare giornalisti o comunicatori vivono immersi nei media. Ciò ha creato una fluidità enorme ma si è perso il valore del formato; i ragazzi che hanno vent'anni e che vogliono fare i comunicatori non hanno la percezione del formato giornalistico passando da una storia all'altra spesso senza conoscere questo aspetto. C’è difficoltà a distinguere un comunicato stampa da un articolo di cronaca o un’inchiesta da un reportage. Mi sono provata a dare delle risposte e ci sono due motivi secondo me: il primo è perché non fanno attenzione al formato e anche i nostri percorsi formativi non evidenziano abbastanza tutto ciò perché è tutto troppo teorico. Secondo: percepiscono il formato come un vincolo negativo invece che come una risorsa”.

“Dal punto di vista di cambiamento delle tecnologie l'altro cambiamento che ho notato invece è il confronto di temi che fino ad alcuni temi le questioni di genere; le questioni del mondo del sociale, delle migrazioni, della disoccupazione. I temi del sociale sono diventati mainstream, li troviamo ovunque e questa è una grande vittoria del mondo del sociale. Trattare i temi del sociale significa non solo occuparsi di temi di cui tutte le cronache si occupano ma occuparsene con grande sensibilità e attenzione all'inclusione.”

“I ragazzi, questa è la mia sensazione, non conoscono bene il terzo settore ma lo conoscono attraverso esperienze mirate (come volontariato o servizio civile) e non riescono a distinguere ciò che è pubblico e ciò che è privato.”

Suggerisco ai ragazzi di uscire e stare sui territori. I ragazzi fanno tutto per telefono: incontrare una persona vulnerabile, portatrice di disabilità, una donna che esce da un percorso di violenza non sono la stessa cosa se son fatti per telefono o in presenza. Questo senza svilire nessuna delle due forme ma sapendo che sono forme diverse. Il vincolo del formato è un vincolo positivo. Per la comunicazione sociale è fondamentale avere un'esperienza tout court” conclude Peruzzi. (a cura di Edoardo Arturo Scali)

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