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Editoria sociale: sopravvivere alla tempesta e riguadagnare la rotta

Il "terzo racconto" alla ricerca dell'editore ideale: pubblichiamo la postfazione di Ivano Maiorella al nuovo Rapporto sull'editoria del terzo settore

 

"L'Osservatorio sull’Editoria sociale in Italia" offre uno sguardo d'insieme sulle tendenze in atto nella comunicazione sociale. Il sottotitolo della ricerca, appena pubblicata a cura delle edizioni Altraeconomia, è eloquente: "Numeri e tendenze di riviste, social network, podcast, siti web e pubblicazioni del non profit italiano". La panoramica offerta con questo lavoro a distanza di 10 anni dal precendete Rapporto e i riflettori sono stati puntati su "l'editoria e la comunicazione crossmediale (cartacea e digitale) che nasce da e nel mondo del terzo settore. La comunicazione delle organizzazioni del Terzo settore, attraverso i suoi tanti piccoli e grandi strumenti, le sue modalità talvolta originali e innovative, garantisce una sorta di “biodiversità” dell'informazione in Italia", come si legge nell'introduzione e nella nota metodologica scritte da Giulio Marcon, portavoce della Campagna Sbilanciamoci, e Sara Nunzi, curatrice della ricerca per l'associazione Gli Asini, con il sostegno della Comunità dei Valdesi in Italia.

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Nella postfazione al Rapporto, realizzata da Ivano Maiorella, responsabile del sistema di comunicazione Uisp e dirittore del Giornale Radio Sociale, si cerca di tirare qualche conclusione e di lanciare alcune proposte, in varie direzioni, all'interno e all'esterno dell'associazionismo: 1.più cultura editoriale nel terzo settore; 2.incoraggiare l’infrastrutturazione europea dell’editoria sociale, attraverso bandi specifici; 2.comunicazione sociale è progettazione; 3.il giornalismo sociale come stimolo per rilanciare la riforma e l'accesso alla professione; 4.sostenere la crescita di una nuova leva di comunicatori sociali, capaci di utilizzare il digitale come opportunità; 6.multimedialità, comunicazione sociale integrata e necessità di nuove norme.

"Questo rapporto è un affresco che incornicia alcune tendenze in atto. Se è vero che l’ambito del fare e quello del comunicare sono facce della stessa medaglia, quanto avviene nel terzo settore è un valido indicatore - scrive Ivano Maiorella nella postfazione dal titolo: "Sguardo lungo sull'editoria sociale - Più cultura editoriale nel Terzo settore: recuperare il senso e la responsabilità di percepirsi come editori" - Una delle tendenze più rilevanti che vanno registrate è quella della comunicazione sociale di comunità, ovvero la necessità per le grandi e piccole organizzazioni sociali di relazionarsi con comunità alle quali far arrivare il senso della propria missione e tutti gli aggiornamenti sul proprio “fare”. Anche le organizzazioni sociali più piccole, quelle di prossimità, sviluppano la medesima tendenza: parlare con continuità a una comunità, farlo con strumenti editoriali sempre meno costosi e diretti, alimentare le relazioni di vicinato anche tra singoli appartenenti alle reti territoriali. Questa tendenza ha gemmato, e continua a farlo, una miriade di produzioni editoriali simili a zine, piccole pubblicazioni indipendenti auto-prodotte da centri sociali, culturali e artistici con continuità varia".

ECCO LA POSTFAZIONE INTEGRALE "UNO SGUARDO LUNGO SULL'EDITORIA SOCIALE"


"Ci sono poi le comunità digitali da raggiungere e aggregare con produzioni specifiche, contenuti e organizzazioni editoriali per i “curiosi” della vita, che sfuggono alla definizione di testate di informazione perché non sono registrate ai Tribunali della stampa e che vengono realizzate da content creator, che a loro volta sfuggono alla definizione di giornalisti o qualcosa di simile e si ritrovano nella definizione di “creativi”. Eppure rappresentano anch’esse esempi di editoria sociale, capace di sviluppare relazioni e socialità".


"Lo sforzo fatto da gli Asini è ancor più lodevole in quanto punta i riflettori su un comparto, quello dell’editoria e dell’informazione in generale, in profonda crisi di mercato e di ruolo. Così come quello dei giornalisti, che una volta erano gli addetti alle macchine anche dell’editoria sociale ed oggi vivono sulla loro pelle il peso di una crisi che li sta progressivamente precarizzando ed espellendo dal mercato del lavoro. Una crisi di lavoro e di rango che non può essere liquidata soltanto con la resistenza a innovarsi tecnologicamente ma riflette una semplificazione del rapporto tra informazione e comunicazione. Che cosa rimane della coscienza di essere parte del binomio formazione/informazione  che è stata un asse permanente dell’attività editoriale del mondo associativo negli anni ‘80 e ‘90? Ovvero una sorta di “editore ideale”, per dirla con Piero Gobetti, un pò giornalista, scrittore, creatore e commerciante? Le ricerche condotte sull’editoria sociale alla fine degli anni ‘90, quelli in cui nasceva il Forum del Terzo settore, parlavano di circa 6.000 testate di terzo settore in Italia. Ogni associazione, grande o piccola, nazionale o territoriale, aveva la sua rivista, sotto-forma di testata giornalistica. Dietro ciascuna c’era la necessità di informare i soci, di farsi largo nell’agenda della notiziabilità, di aumentare la notorietà della sigla associativa".


Le veloci trasformazioni tecnologiche di questi ultimi vent’anni, internet, i social network e la progressiva digitalizzazione hanno reso l’orizzonte dell’editoria del terzo settore difficilmente definibile. Dalla sua metamorfosi si intravedono i segni che porta sulla pelle: pur se esprime una notevole capacità di adattarsi ai mutamenti, di parare i colpi, sembra non porsi obiettivi di sviluppo, all’altezza delle sfide. Sembra subire più che cavalcare le innovazioni tecnologiche e la rivoluzione digitale. Eppure le tendenze che indica questo Rapporto, seppur parziali, sono abbastanza nitide e univoche. Proviamo a esaminarne alcune e metterle in relazione con alcune proposte possibili, senza la pretesa di fornire un quadro sistematico e completo.

1. Più cultura editoriale nel terzo settore: dal dire al fare. Le tecnologie invecchiano in fretta, le tecniche sono una conseguenza ma si adeguano, i saperi si rinnovano: che cosa è meglio fare (dove è meglio guardare) per educarci al vivere? Questa è una delle domande che sembra porsi con forza questo Rapporto, dalla quale emerge un primo aspetto. Vivere in comunicazione, potrebbe essere la risposta. Una spinta a una nuova cultura della comunicazione che parta proprio dalla crisi. Il presente si muove a una velocità superiore a quella di tutte le epoche che lo hanno preceduto: le nuove dinamiche economico-politiche e sociali, insieme alla digitalizzazione, plasmano una realtà mutevole con cui è complesso stare al passo. Il sovrapporsi di narrazioni diverse, l’evolversi e l'accavallarsi  contraddittorio delle fonti di informazione e la percezione diffusa di trovarsi nel mezzo di un costante bombardamento di notizie, sono elementi tipici del nostro presente, e rischiano di allontanare tutti (i giovani soprattutto) dallo sviluppo di uno spirito critico pro-attivo e aperto rispetto ai cambiamenti, a cui stiamo andando incontro come società".


"Ci sono battaglie comuni da portare avanti come terzo settore per la coesione sociale e per sviluppare uno spirito critico e consapevole, contro i finti allarmi sociali, contro il sensazionalismo, contro il “brevismo”. Il giornalista (esso stesso in attuale crisi di ruolo, oltre che di lavoro) è il mediatore tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso. È un alleato dell’editoria sociale, soprattutto oggi: la scrittura del “terzo racconto” (titolo che abbiamo preso in prestito dal sociologo Aldo Bonomi) passa anche attraverso di esso, attraverso la sua crisi, la sua fragilità, la sua ricerca della verità, attraverso la coscienza che la sua funzione mediatrice è messa in crisi da una macchina in corsa che sentiamo chiamare hyper free market, che non ha tempo di rallentare per riflettere e dove pubblicità, intrattenimento ed evasione si impastano.

Il rilancio di questa funzione e di questo ruolo contribuisce a migliorare l’orizzonte educativo dell’intera comunità. Come? Sviluppando e incentivando, attraverso politiche pubbliche adeguate, la funzione editoriale del terzo settore, essa stessa considerata funzione sociale anche dal Codice del Terzo settore. Gli enti di terzo settore promuovono e realizzano attività di interesse generale, tra cui l’attività editoriale, prevista nell’articolo 5 del Codice del terzo settore, punto i) “organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale”.
Il punto j parla anche di “radiodiffusione sonora a carattere comunitario”.

Proposta: sviluppare politiche pubbliche e sostegni all’attività editoriale del terzo settore, anche incentivando la creazione di posti di lavoro in ambito editoriale e sviluppando una delle vocazioni-pilastro della legge di riforma del terzo settore: quella dell’economia sociale.

2. Incoraggiare l’infrastrutturazione europea dell’editoria sociale. Fare e comunicare sono la stessa cosa, si comunica facendo e viceversa. Le organizzazioni di terzo settore, le reti di comunicazione e le pubbliche amministrazioni sono collegati dal co-programmare e co-progettare: la comunicazione non viene dopo ma fa parte della strategia di riuscita di questa missione. Questo ci fa pensare che il terzo settore è collegato in maniera permanente a un reticolo di circa 12 milioni di persone. Il terzo settore è comunità. E allora? Servono politiche a sostegno, o anche bandi pubblici, in grado di premiare questa capacità di essere rete che va alimentata continuamente con flussi di contenuti/informazioni in andata e ritorno. Anche favorendo con incentivi o sgravi tributari, l’acquisto di tecnologie digitali e piattaforme.

L’Europa, ad esempio, alla vigilia delle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024, si è resa conto di un deficit di appeal verso i giovani under 35 e cerca di correre ai ripari. Servono piani e risorse per favorire la produzione permanente di informazioni che sappiano interessare e coinvolgere i giovani costruite da loro stessi. Ambiente, lavoro, diritti civili, solidarietà tra le generazioni, uguaglianza, democrazia sono soltanto alcune delle tematiche che chiedono vengano affrontate con forza e serietà dalla politica. Agevolando i Membri del Parlamento Europeo a essere più reattivi alle domande, anche perché le reti della solidarietà e del volontariato vengono percepite dai giovani come più credibili dei partiti. Eppure i loro punti di vista non vengono sufficientemente rappresentati dai media. Ecco, questa potrebbe essere la stortura da raddrizzare.

3. La comunicazione è progettazione. Il terzo settore rappresenta un’economia in espansione come dimostra, ad esempio, l’aumento degli occupati con 853.876 dipendenti (sempre secondo i recenti dati Istat). Un mondo che cresce ha bisogno di creare connessioni, infittire i canali, favorire l’interazione, arricchire il racconto. Il terzo settore è anche un’occasione di impegno civile, di occupazione in ambito comunicativo ed editoriale, settore in forte crisi da tempo. Come favorire questo percorso? Ecco qualche proposta: 1) introdurre nei bandi delle pubbliche amministrazioni un’attenzione specifica alla comunicazione, intesa come informazione e servizio ai cittadini, con il vincolo che sia oggetto di valutazione. 2) introdurre nei bandi delle fondazioni, così importanti con i loro contributi per il terzo settore, un prerequisito di partecipazione: accanto ai responsabili di progetto e amministrativi inserire anche responsabili di comunicazione, ovviamente in possesso dei requisiti professionali. La Fondazione con il Sud, ad esempio, ha iniziato a praticare questa strada. 3) in ambito europeo chiedere una maggiore attenzione al ruolo della comunicazione, anche in relazione all’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 (quello sull’istruzione di qualità). 4) chiedere al legislatore nuove modalità di sostegno all’editoria e all’informazione, quelle tradizionali non fotografano la nuova realtà del terzo settore: serve un sostegno diretto e sostanziale all’editoria non profit e cooperativa ormai prevalentemente digitale.

4. Il giornalista sociale: nell’attuale crisi del ruolo e della funzione dei giornalisti oggi, all’interno di una più generale crisi dell’editoria e in un contesto tecnologico, di gusti e di fabbisogni informativi/comunicativi in continua evoluzione, il giornalismo sociale del futuro deve saper ricollocare la propria identità e le funzioni educative, in un quadro in continua evoluzione. Lo scenario è quello di un’emergenza sociale: la povertà educativa cresce e si moltiplicano gli allarmi delle agenzie mondiali ed europee. Le agenzie educative storiche, scuola e famiglia, non ce la fanno da sole. L’orizzonte comunicativo è molto complesso e frastagliato.

Tuttavia c’è la percezione e la consapevolezza che questa funzione informativa/formativa, grazie all’avvento del digitale, sia alla portata di tutti. Una sorta di utopia realizzata: finalmente patroni dei mezzi di produzione dell’informazione. Sebbene poco inclini a considerare i canali di comunicazione estremamente accessibili grazie alle innovazioni tecnologiche, come portatori essi stessi di una sorta di “grammatica” del canale che influenza inevitabilmente anche le caratteristiche del contenuto, plasmate in virtù di regole editoriali imposte da chi detiene le piattaforme. La dittatura del “brevismo”, come viene chiamata la tendenza (in alcuni casi l’esigenza) di contenuti sintetici e la spinta all’intrattenimento, con caratteristiche di leggiadria, goliardia e spensieratezza, sconfinano in una nuova metrica dei gusti. Per cui un contenuto, per essere efficace, deve essere divertente. Il modello della commedia all’italiana applicato a tutto".

"I giornalisti,che all’inizio del Duemila, erano ancora al centro della produzione editoriale sociale, non lo sono più per svariate ragioni, vengono sostituiti da figure ibride e spesso confusi con chi ha la capacità tecnologica e la dimestichezza di “smanettare” in rete in maniera rapida e moderna. La funzione giornalistica e il ruolo di mediatore sociale perde centralità a vantaggio di figure fortemente caratterizzate da presunte competenze tecniche. Proposta: favorire start up e organizzazioni di produzione editoriale capaci di coniugare qualità, competenze, lavoro. E permeabilità al "nuovo" come opportunità, non come debolezza.

5. Una nuova leva di giornalisti sociali. Un aspetto critico sembra essere quello della mancanza di personale competente in ambito informativo ed editoriale, capace di rispondere con responsabilità alle sfide tecnologiche del futuro.
Questo significa anche mancanza della percezione “educativa” della propria funzione sociale. Se tutto è comunicazione, tutto è informazione, tutto è formazione, niente lo è davvero. I confini con la propaganda, l’autoreferenzialità e la pubblicità non sono chiari, né in chi scrive, né in chi legge. Neppure in chi dovrebbe investire, perché sceglie di investire altrove. Questa friabilità di senso editoriale si riflette sulla fragilità e sulla volatilità dell’editoria sociale".

"Così non dovrebbe essere tenuto conto della specificità “etica” di questo comparto. Fenomeno molto meno evidente a livello delle comunità sociali più piccole, più radicate sul territorio e più coese, strette intorno a missioni più caratterizzate e vicine ai bisogni sociali delle persone. Questa ricerca, tuttavia, non ha affrontato da vicino questa tendenza editoriale, molto interessante ma allo stesso tempo difficile da monitorare, molto pulviscolare.

Da questa criticità possono sorgere alcune indicazioni precise, anche se parziali. L’Ordine dei giornalisti sta facendo coraggiosi sforzi in questi ultimi anni per riformare gli accessi, aprirsi a nuove professionalità, agevolare la socializzazione di competenze in termini di regole deontologiche da rispettare ed errori da evitare, come le fake news e il linguaggio dell’odio. Per ridare credibilità al sistema bisogna recuperare i ferri del mestiere mutuati dal giornalismo, non sono solo strumenti tecnici. Ma anche verifica e incrocio delle fonti, rispetto delle regole deontologiche, lotta all’hate speech. Comunità informate e consapevoli, dotate di senso critico hanno bisogno di una grammatica condivisa. Attivisti volontari, giornalisti: siamo di fronte ad una squadra di attori, che insieme ad altre "squadre" di mediatori culturali (che hanno competenze ed esperienze affini ma diverse) contribuisce a costruire questa casa che si chiama “comunità educante”. Il terzo settore rimane molto sensibile a questo concetto. Va aiutato a trovare la sua strada chiedendosi anche come l’editoria sociale possa stare sul mercato ed essere “appetibile ai lettori”.

La comunicazione sociale di oggi deve avere una fortissima attenzione ai processi e non stare semplicemente sull’oggetto. Non possiamo limitarci a raccontare che in un determinato territorio è stato realizzato un progetto. Bisogna raccontare il processo che ha portato alla costruzione una determinata realtà, mettendo in risalto le buone pratiche.

6. Multimedialità, comunicazione sociale integrata e necessità di nuove norme. Le leggi sull’editoria hanno una configurazione che parte da un modello figlio degli anni ‘80 che coincidono con il boom di vendite di giornali in edicola. La legge di partenza è la 416 del 1981: “Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”. Una legge molto importante che riconosceva la centralità del ruolo dell’editoria nell’industria dell’informazione e allo stesso tempo teneva conto della necessità di sostenere quel tipo di produzione culturale per il suo ruolo di emancipazione dei cittadini, per aumentarne l’informazione e la consapevolezza nel loro ruolo di protagonisti della vita democratica del Paese.

Riconoscendo quindi all’industria editoriale la possibilità di concretizzare l’articolo 21 della Costituzione.
Quella legge, e le successive, hanno visto nella figura dell’editore il perno del sistema. Purtroppo nel corso degli anni, l’editoria italiana si è dimostrata non all’altezza di misurarsi con le sfide dell’innovazione tecnologica, del cambiamento dei gusti e dei fabbisogni del pubblico, della sfida con la televisione che soprattutto negli anni ‘90 e Duemila faceva man bassa del mercato pubblicitario. Da parte degli editori italiani non sono arrivate nè innovazioni in termini di processo, nè in termini di prodotto. A rimetterci è stata progressivamente sia la qualità dei giornali, sia il rapporto con i giornalisti, destinati a una lenta, progressiva, inesorabile marginalizzazione. Oggi c’è la necessità di contrastare l’esercizio abusivo della professione giornalistica, e, sul fronte sindacale, lo sfruttamento e il precariato.


La legge 198 del 2016, pur encomiabile nei propositi non è riuscita a invertire la tendenza: “Istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”. Il tunnel del Covid19 e il successivo aumento dei costi dell’energia hanno determinato un continuo aumento delle crisi aziendali, con conseguenti licenziamenti di giornalisti e poligrafici. In tutto il mondo si discute del futuro della carta stampata, si prevede il definitivo superamento della pubblicazione cartacea entro il 2030 e si cercano soluzioni imprenditoriali alternative. Nel nostro Paese, gli imprenditori impegnati nell’editoria sembrano per la maggior parte alla ricerca di sovvenzioni più che di soluzioni innovative.

"In questo percorso, le leggi sull’editoria che si sono succedute appaiono vecchie sul nascere, ancorate a un modello e a una logica morta e sepolta. C’è la necessità di un nuovo quadro normativo per l’editoria, capace di intervenire radicalmente in un settore agonizzante, a partire dalla definizione di prodotto editoriale. C’è la necessità di una nuova grammatica dell’articolo 21 della Costituzione, che rimane attualissimo: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Come? In questo quadro l’editoria del terzo settore ha qualche prospettiva?

Pur contribuendo a interpretare una funzione costituzionale attraverso l’informazione, il confronto delle idee e il pluralismo, l’editoria del terzo settore nel suo complesso non ha mai beneficiato di particolare riguardo, né di sostegni da parte del legislatore. Eccezion fatta per alcune forme di editoria consumeristica o destinata a persone con disabilità, così come per le minoranze linguistiche e per l’editoria diocesana. O meglio: le pubblicazioni del terzo settore hanno goduto dei cosiddetti “contributi indiretti”, ovvero sconti sulla postalizzazione e iva al 4% per i servizi tipografici di stampa. Oggi questo tipo di sostegni non procurano alcun vantaggio.

Servirebbero iniziative legislative più realistiche e al passo con i tempi se davvero si volesse sostenere questo tipo di editoria. Ecco alcune proposte in ordine sparso: rivedere i requisiti di accesso e i meccanismi di calcolo per l’attribuzione dei contributi; incentivare l’acquisto e l’ammodernamento di tecnologie e di software attraverso contributi dedicati e finalizzati a chi realizza produzioni editoriali; costi agevolati per l’utilizzo di servizi informatici e per l’affitto di piattaforme digitali per la diffusione dei prodotti editoriali del terzo settore.


Nel corso degli anni passati, la forma dell’editore del terzo settore è sempre rimasta ancorata alla configurazione dell’organizzazione sociale di riferimento, associazione di promozione sociale o di volontariato. Non c’è mai stato un affrancamento capace di creare imprenditoria editoriale autonoma. Potrebbero fare eccezione le cooperative di giornalisti che, nella forma, richiamano un importante comparto del terzo settore, quello delle imprese sociali, che ha ricevuto configurazione effettiva a partire dalla legge delega 106 del 2016, la riforma del terzo settore. C’è da auspicare che in futuro, anche le reti associative possano cominciare a intraprendere la strada dell’editoria autonoma e indipendente.
La loro articolazione sul territorio, il collegamento con varie centrali del terzo settore, di varia provenienza culturale e identità, possono rappresentare un buon viatico alla creazione di una nuova figura editoriale che oggi manca: disinteressata, plurale, autonoma, indipendente, non profit".

Infine: ancora qualche nota sul Rapporto: sono stati censiti 400 enti di terzo settore ed emergono tendenze interessanti: cresce l'interesse dei cittadini per tematiche sociali, le nuove sfide globali e l'impegno concreto dei giovani a favore di cause sociali. Il terzo settore, in profonda trasformazione, produce comunicazione e informazione, anche se negli ultimi dieci anni c'è stato un generale trasferimento della produzione editoriale cartacea verso il digitale. Il 29% delle organizzazioni sociali censite realizza una rivista e il 35% ha un Centro studi, una biblioteca o un Centro di documentazione. Osservazione utile ad indicarci una tendenza significativo: l'asse formazione/informazione viene ritenuta strategicamente importante per lo sviluppo associativo. Anche se sono in evuluzione i canali e gli strumenti di diffusione.

L'editoria del terzo settore è volta non solo a far conoscere le proprie opinioni e i punti di vista, ma ad informare su quello che si sta facendo: progetti, attività, iniziative. E si tratta veramente di una mole impressionante di pratiche sociali e culturali. 

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