Nazionale

Linguaggi, spazi e progetti: lo sport sociale per le persone LGBTQI

Nel pieno dell'Onda pride, prosegue la riflessione Uisp sul diritto allo sport per le persone trans, con approfondimenti sui vari aspetti del tema

 

Questo 2024 sempre di più si caratterizza per l'Onda Pride che si snoda per tutto l’anno e che sempre di più vede città capoluogo e città di provincia protagoniste sul tema dei diritti delle persone LGBTQI+. Giugno è il mese di massima visibilità, nel quale si ricordano i moti di Stonewall del 1969, il locale di New York dove di fatto nacque il movimento di liberazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans.

In questo lungo periodo vi sono state conquiste e riconoscimenti di diritti per le persone LGBTQI+ in diversi Paesi nel mondo, ma occorre ricordare che ci sono ancora molte realtà dove le persone omosessuali e transgender non hanno nessun diritto, nessun riconoscimento, rischiano la vita ogni giorno.

Nel nostro Paese ancora c’è da fare e il rischio di un ritorno indietro è molto concreto. Basti pensare che proprio il 17 maggio scorso l’Italia non ha firmato il testo della Presidenza dell’Unione Europea sui diritti delle persone LGBT, un documento che ha visto la sottoscrizione da parte di 18 Paesi su 27. Si tratta di una scelta che va contro le battaglie e i riconoscimenti ottenuti in questi anni.

L’impegno della Uisp per i Pride ci vede al fianco delle associazioni impegnate per il riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQI+ e sempre in più realtà territoriali siamo tra gli organizzatori dei cortei e delle attività di sensibilizzazione. Ad esempio a Modena, Ferrara, Enna, Torino, nelle Marche, e altre se ne aggiungeranno.

Il nostro impegno non si limita alla collaborazione per i Pride, ma prosegue con progetti, sperimentazioni di attività, tornei sportivi, seminari, in un confronto continuo che deve far crescere la consapevolezza e il contrasto alle discriminazioni. E’ stato così anche nella giornata del 18 maggio, all’interno del seminario nazionale organizzato dalle Politiche di genere e diritti Uisp, intitolato “Futura 2024 – Genere, corpi, diritti nello sportpertutt*”. L'incontro è stato l’occasione per fare il punto sui diritti delle donne e delle persone LGBTQI+ nello sport e per confrontarsi sui diritti e una pratica sportiva sempre più attenta alle persone, al linguaggio, alle differenze.
In particolare, nella sessione pomeridiana, si è approfondito il tema delle persone trans in ambito sportivo, parlando di diritti, linguaggio e proposte, con la presenza di Matteo Marconi, ricercatore, Centro di riferimento per la medicina di genere, Iss; Giuseppe Burgio e Alessia Ale* Santambrogio, Università degli Studi di Enna “Kore”; Pasqua Manfredi, vicepresidente Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+; Mattia Peradotto, coordinatore Unar-Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – A difesa delle differenze.

Ad aprire lo scambio e introdurre gli ospiti, è stata Manuela Claysset, responsabile Politiche di genere e diritti Uisp: “L’Uisp ha scelto di promuovere al suo interno la carriera Alias fin dal 2017 - ha detto Claysset - siamo stati i primi e la decisione è nata anche dal confronto con le associazioni LGBTQI, partendo dalle esperienze del mondo accademico. La carriera alias rende accessibile l’attività sportiva alle persone trans, ma c’è tutto un tema che riguarda il benessere e la salute, bisogna iniziare a pensare delle attività per quelle persone che non si riconoscono nel genere maschile o femminile, persone che chiedono nuove attenzione e nuovi linguaggi. Le persone transgender chiedono alle associazioni sportive di poter essere libere e di essere sè stesse, quindi di partecipare a un'attività sportiva pensata in maniera diversa, a partire dalle strutture sportive e dagli spogliatoi: è difficile pensare a cambiamenti repentini ma in alcuni casi è possibile avere qualche accortezza in più. Molti Comitati sul territorio stanno lavorando su questo tema e stiamo costruendo una mappatura delle buone pratiche ed esperienze realizzate sul territorio”. 

Abbiamo chiesto ad alcune associazioni cosa rappresenta la carriera Alias e cosa chiedono allo sport e, in particolare, ha risposto il Gruppo Trans aps, GenderLens - Associazione famiglie, giovani, persone trans. Sull’importanza della carriera Aliasè intervenuto con un video Christian Leonardo Cristalli, referente persone trans di Arcigay nazionale: “La carriera alias è fondamentale per le persone trans in Italia. Noi oggi abbiamo ancora una legge del 1982 che impone alle persone trans dei lunghissimi percorsi legali nei tribunali per ottenere il cambio dei documenti d'identità. E’ molto difficile dover fare coming out ogni volta e spiegare come mai i dati di un documento differiscono dalla propria identità e per questo motivo sono davvero tante le persone trans che in Italia oggi rinunciano a fare sport, rinunciano ad accedere a percorsi formativi e universitari, rinunciano alla ricerca di un lavoro. La carriera alias incoraggia le persone trans ad esistere in vari ambiti della nostra esistenza, perché prevede l'identità e anche il nome di elezione di ciascuno di noi. Io ricordo bene quali sono state le difficoltà che ho dovuto attraversare, come persona transgender, quando ancora non avevo i documenti rettificati e so quanto è stato importante, laddove era prevista, l'utilizzo dell'identità alias. Il mio augurio è che finalmente anche il mondo dello sport, sia quello dilettantistico che quello di alto livello, permetta sempre più l'utilizzo di questo percorso e, inolre, riveda e ripensi anche tutti gli spazi, dalle docce agli spogliatoi, ma anche i linguaggi, affinché le persone trans possano anche sentirsi a loro agio nel frequentare questi spazi e fare attività fisica sportiva, permettendo loro di non sentirsi sempre impreviste e di non dover rinunciare”.

Il quadro giuridico sul tema è stato ricostruito da Pasqua Manfredi, vicepresidente Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+, associazione di avvocati presente in tutta italia che collabora con l'Uisp da molto tempo: “L'identità di genere compare nel nostro ordinamento con la legge 164 del 1982, all'epoca molto innovativa, che prevedeva la possibilità di fare il cambio di nome solo dopo gli interventi chirurgici, come esigenza nata dalle donne trans operate all’estero che avevano ancora documenti maschili. Nel 2011 è arrivata la prima riforma di questa legge, che prevede il passaggio a un procedimento monofasico, con cui si può chiedere contestualmente l’autorizzazione agli interventi chirurgici e il cambio anagrafico. Un altro momento rilevante di questo percorso sarebbe stato il Ddl Zan che prevedeva una definizione di identità di genere, ma purtroppo come sappiamo non è arrivato a compimento. La riforma Cartabia ha nuovamente riformato il rito, ma bisognerà aspettare ottobre per un correttivo che dovrebbe far rientrare il tema nella modifica degli status personali. Sul piano normativo la legge 164 ha rappresentato un’apertura perchè per la prima volta veniva riconosciuto il diritto all’autodeterminazione dell'identità che prima era ignorato, anche se non prendeva in considerazione il diritto alla salute e al benessere psicofisico delle persone, perchè era obbligatorio avere fatto prima gli interventi per ottenere il cambio anagrafico, secondo un procedimento bifasico che prima doveva fornire l'autorizzazione agli interventi chirurgici poi, dopo la verifica di questi ultimi, l'autorizzazione al cambio anagrafico. Nel 2011 c’è stata una nuova modifica con decreto semplificazione: l'intervento chirurgico viene finalmente ritenuto facoltativo e la valutazione affidata alla singola persona, la norma è divenuta effettiva nel 2015 grazie a una decisione della Corte di cassazione e poi della Corte costituzionale, che hanno ritenuto incostituzionale l’obbligo della sterilizzazione forzata. Con questa modifica ognuno può essere libero di decidere qual è il percorso per la propria affermazione di genere, quindi la necessità o meno di interventi chirurgici. Prima del 2015 pochissime persone trans chiedevano il cambio di documenti perchè pochissime facevano tutti gli interventi richiesti, dopo il 2015 le procedure sono aumentate. Ora la questione si sposta sulle persone non binarie, che non sentono e non vogliono riconoscersi in uno dei due generi. Il primo caso è arrivato alla Corte costituzionale, con la richiesta di introduzione del terzo genere e della possibilità di interventi chirurgici senza autorizzazione del tribunale. Noi stiamo studiando nuove linee difensive, adeguate al nostro sistema giuridico che è strettamente basato sul binarismo di genere: la difficoltà maggiore, quinid, è quella di essere riconosciuti come persone con una identità non binaria. L’identità alias può essere una soluzione”.  

Una fotografia dello stato attuale delle carriere alias, tracciando una connessione tra quello che la scuola fa o non fa per collegarlo alla situazione delle associazioni sportive, è stata realizzata da Ale* Santambrogio, dell'Università degli Studi di Enna “Kore”: "Nella scuola non esiste un protocollo univoco per le carriere alias ma ogni scuola si dota di sue procedure. In misura minore si basano sull'autodeterminazione di genere, mentre la maggior parte delle scuole secondarie di secondo grado richiede la presentazione di una relazione psicologica che attesti disforia o incongruenza di genere. Questa modalità delinea una corsa a ostacoli, oltre a sancire un approccio patologizzante, perchè non tutte le persone possono accedere a questo percorso, per motivi familiari, economici o di altro tipo. Questi criteri di accesso aprono una piccola porta a poche persone ma allo stesso tempo stabiliscono criteri di esclusione. La carriera alias può essere un'occasione per smontare la cultura che discrimina le persone trans e non binarie e che quindi impatta sulla possibilità di queste persone di accedere a diritti costituzionalmente sanciti. E' anche l'occasione per uscire da una logica adultista, che dal vertice decide chi può accedere e chi no, preferendo un approccio affermativo che considera le persone trans non come una categoria monolitica, portatrice di uguali bisogni, ma le considera le più esperte e titolate ad avviare processi di cambiamento informato, promuovendo dei cambiamenti dal basso verso l’alto, animati dalla voce e dall'esperienza delle persone e delle associazioni. Per promuovere benessere nella partecipazione alla vita sociale, educativa e sportiva, con ricadute sulla promozione del benessere personale, la carriera alias deve basarsi sull'autodeterminazione ed essere attivabile da persone trans e non binarie, deve guardare anche agli spazi, per promuovere cambiamenti che coinvolgano gli spazi fisici che ospitano le attività a cui prendono parte persone trans e non binarie. Un'impostazione di questo tipo può avere impatti positivi per la promozione di benessere fisico, relazionale e psicologico, riducendo l’abbandono di attività scolastiche e sportive, e rendendo queste realtà agenti di trasformazione e promozione dell’equità di genere". 

Giuseppe Burgio, pedagogista,  docente dell'Università degli Studi di Enna “Kore” ha sintetizzato le caratteristiche educative dello sport, ricordandoci che la scuola è sempre stata un passo avanti rispetto alla società in tema di inclusione: “Le pratiche educative esistenti sono diverse: la famiglia, i posti di lavoro, i mass e i social media, il gruppo dei pari ma anche lo sport, che è un dispositivo educativo non intenzionale ma efficace. Nello sport il lato educativo non è il primo, ha principalmente a che fare con il movimento e lo stare insieme, ma ha anche questi effetti, sia lo sport praticato, con cui apprendiamo il fair play, il gioco di squadra, l'attenzione al corpo, sia quello da divano che, eliminando la soggezione che sentiamo a scuola o all’università, ha anche maggiore effetto. Entrambe le forme, comunque, sono dispositivi educativi che hanno effetti sul genere, perchè la costruzione del corpo nello sport è fortemente polarizzata, ed esistono sport considerati maschili e altri femminili, mentre sembrano assenti le persone trans o non binarie. La storia recente della formazione e le trasformazioni delle società sono andate di pari passo: prima la formazione era riservata alle classi sociali più alte, poi con la scuola dell’obbligo tutti sono stati ammessi all’istruzione; prima era un ambito prettamente maschile poi si è aperto alle donne; il mondo della formazione ha poi incluso le persone con disabilità e infine l’ambito multiculturale, con le persone di origine straniera. La scuola, in maniera più avanzata della società, ha incluso queste minoranze e ora le tematiche lgbt+ saranno il prossimo tema di inclusione, sia nella formazione che nella società. Tutte queste trasformazioni della formazione e della società in direzioni inclusive sono un vantaggio, non solo per le persone direttamente interessate ma per la società nel suo insieme: la scolarizzazione maggiore è sempre un vantaggio per l'intero Paese, in particolare per ottenere un beneficio economico. La carriera alias è una questione di diritti ma è rilevante anche in termini economicisti, si tratta di un apporto di cui come società non possiamo fare a meno. Quindi l’alias non è solo una questione di rispetto dei diritti di una minoranza, ma anche di valorizzazione di dinamiche sociali che, anche nello sport, vanno tenute in conto”. 

Al centro della riflessione sulle persone LGBTQI c'è anche il tema della salute, affrontato in particolare dal Centro di riferimento per la medicina di genere dell'Istituto superiore di sanità. Matteo Marconi è un ricercatore che lavora al tavolo di medicina di genere dell’Iss, studiando come le difficoltà legate alle discriminazioni ricadono sulle questioni relative alla salute: “L’Iss è il principale centro di ricerca in Italia su salute, ambiente, salute animale. Da 90 anni ci occupiamo di fornire al decisore politico dati che riguardano la salute: nel 2017 è nato il centro di riferimento per la medicina di genere, dove studiamo gli effetti che il genere ha sullo stato di salute o malattia delle persone. Partiamo dal presupposto che le persone trans sono cittadini italiani e quindi hanno diritto ad uno stato di salute che sia il migliore possibile. La popolazione trans è riconosciuta a livello internazionale come fragile, perchè socialmente incontra ostacoli che rendono complesso l'accesso al servizio sanitario e ad altre risorse fondamentali che hanno un impatto sulla salute, come lavoro, casa, etc, con effetti negativi sulla salute mentale ma anche su quella fisica. Noi abbiamo costituito, in collaborazione con Unar, il progetto Infotrans, una galassia di progetti che possono essere racchiusi in 3 aree: ricerca, formazione e comunicazione. Abbiamo studiato lo stato di salute della popolazione trans in italia, coinvolgendo associazioni e centri di ricerca sulla salute delle persone trans, con un questionario rivolto a 961 persone sul territorio nazionale, tra il 2020 e il 21. L’attività fisica è importante per tutti, però in Italia se ne parla poco, i medici non segnalano la rilevanza dell’attività motoria e non suggeriscono ai propri pazienti di praticarla. Gli stili di vita sono fondamentali per la prevenzione, ma la popolazione trans ha numeri doppi di inattivi, in particolare sono i più giovani a praticare di meno; assumono troppo alcool, sintomo di depressione o ansia: si tratta di elementi sociali che portano le persone ad assumere comportamenti che non sono salutari. Infine, gli screening oncologici: tre di questi sono compresi nei Lea-Livelli essenziali di assistena e lo Stato deve garantire l’accesso a tutta la popolazione, ma il numero di persone trans che accedono a questi servizi sono molto bassi. In alcuni casi questo accade perchè non risultano nei sistemi di recall delle aziende sanitarie per alcuni screening di base, come mammografia e pap test, mentre per ambiti in cui la differenza di genere non conta, come per lo screening del tumore al colon, i numeri si invertono, questo evidenzia l'attenzione delle persone trans alla prevenzione quando sono messe nelle condizioni di effettuarla".

L’ultimo intervento è stato quello di Mattia Peradotto, coordinatore Unar-Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, l’ente indicato dallo Stato per garantire la parità di trattamento di tutte le persone, a prescindere dalle caratteristiche personali, e quindi anche da quelle su orientamento e identità di genere: “Ringrazio l’Uisp per il percorso che su questi temi ha portato avanti in questi anni, quasi in solitaria: anche noi abbiamo messo in campo iniziative specifiche per proprre azioni sperimentali rivolte alla comunità transgender. L’Ufficio, infatti, ha solo la possibilità di lavorare su progetti sperimentali e non strutturali, con l’auspicio che le azioni possano poi entrare nell’agenda delle politiche strutturali e di lungo periodo del governo. Per i prossimi mesi abbiamo già in campo delle progettualità tese all’inserimento lavorativo della comunità transgender. L’obiettivo è provare ad incidere, con risorse pubbliche limitate, in alcuni ambiti della vita più a rischio di esclusione e marginalizzazione, come quello lavorativo, includendo ovviamente nel percorso le associazioni trans per confrontarci con le esigenze delle persone. La nostra idea è di continuare su questo e sul tema della salute, fondamentale come abbiamo visto dai dati, a cui aggiungiamo la questione della salute delle persone trans adulte e anziane: vogliamo mettere in campo progetti che forniscano risposte per garantire l'effettivo godimento del diritto alla salute. Accanto a queste direttrici inseriamo anche lo sport, su cui abbiamo una forte focalizzazione perchè l’abbiamo scelta come priorità per i prossimi anni. L’Ufficio affronta diverse discriminazioni, a partire da quella legata al background di provenienza, su cui abbiamo lavorato insieme all'Uisp con l’Osservatorio contro le discriminazioni nel mondo dello sport. In prospettiva potremmo pensare di ampliare lo sguardo e lavorare di più su altri fattori di discriminazione, in particolare quelli legata all’identità e all’orientamento di genere. Pensiamo ad una modalità di lavoro da costruire insieme per mettere in campo strumenti che siano effettivamente utili e possano tracciare degli indirizzi per il futuro. Questa è una sfida che prendiamo in carico, perchè è già nel nostro dna”.

L’incontro è stato concluso dall’intervento del presidente nazionale Uisp Tiziano Pesce che ha ringraziato tutte le persone intervenute e ha chiesto supporto nel proseguimento di questo percorso: "Occorre un lavoro di squadra per continuare a dare risposte all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. L'Uisp da sempre mette al centro le persone, per uno sport che deve essere attento ai diritti delle persone. Occorre certamente aggiornare la nostra proposta di tessera Alias, senza nascondere le criticità. La nostra tessera è il titolo per partecipare alle attività sportive, occorre grande sensibilità e attenzione. Non torneremo indietro, continueremo ad andare avanti con il supporto e il contributo delle persone che hanno partecipato a confronto".

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