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“Lo sport imbroglione. Il doping da Dorando Pietri ad Alex Schwazer”

Nel suo nuovo libro, lo storico dello sport Sergio Giuntini, ricostruisce le vicende storiche e politiche del doping e le suddivide in quattro stadi

 

Com’è giusto che sia per i devastanti effetti che produce sulla salute psico-fisica di chi lo assume (professionisti e semplici amatori) e per le responsabilità anche penali di chi lo diffonde, il doping è stato sempre prevalentemente studiato sotto un profilo scientifico o legale. Esiste in proposito una sterminata bibliografia d’ordine chimico-biologico-farmacologico e giuridico in continuo aggiornamento. Una letteratura che s’ingrossa esponenzialmente poiché quella del doping è una corsa contro il tempo, tra “guardie” e “ladri”. Si è appena riusciti a scoprirne una nuova forma che già se ne insinua un’altra più sofisticata.

Logico quindi che a occuparsene con assiduità abbiano dovuto provvedere le scienze e i giuristi: il doping si sconfigge conoscendolo, prevenendolo culturalmente e, in un ultima istanza, sanzionandolo. Meno approfonditi ne sono stati invece stati fin qui gli aspetti psico-sociali e soprattutto la storia. Non si è mai fatta, o quasi (tolti i coraggiosi pamphlet di denuncia di Alessandro Donati), una storia un minimo organica ed esauriente del doping in Italia. Un lacuna vistosa che, proprio il saggio dello storico dello sport Sergio Giuntini (Lo sport imbroglione. Storia del doping da Dorando Pietri ad Alex Schwazer - Portogruaro, Ediciclo Editore, 2022, p. 333, Euro 20.), si sforza con impegno di colmare. Mancava, sino a oggi, una storia del doping moderno e contemporaneo che sapesse coglierne le connessioni con le strutture politiche e sociali in cui ha avuto la sua genesi e si è poi maggiormente sviluppato: il sistema di produzione capitalista da un lato, i totalitarismi del Novecento dall’altro (fascismo, nazismo, comunismo sovietico).

In assenza d’un solido quadro storico di riferimento è sembrato addirittura che il doping sia spuntato d’improvviso, come un fungo, solo con i regimi comunisti dove veniva indubbiamente promosso su larga scala. In tal modo si è rimosso semplicisticamente o volutamente tutto il resto: ciò che esisteva da prima. Ovvero le sue radici nell’età del positivismo (la filosofia che con la sua illimitata e fideistica fiducia nella scienza, su un progresso umano infinito pone le basi della nozione di record alla base dell’ideologia del doping), del cosiddetto “darwinismo sociale”; l’evolvere in parallelo con il “fordismo” industriale (anch’esso ispirato al superamento del limite per accrescere produttività e profitto); i rapporti intessuti con le necessità belliche del primo e secondo conflitto mondiale (le guerre hanno sempre favorito il consumo di sostanze volte a combattere la fatica e la sofferenza); e quanto il suo proliferare sia dipeso, nella seconda metà del secolo scorso, da un fenomeno storico e ideologico preciso: la Guerra Fredda. Con URSS e USA impegnati a superarsi nel medagliere olimpico ad ogni costo, ricorrendo a qualsiasi mezzo anche biochimico.

"Il quarto stadio è proprio quello della guerra fedda - dice Giuntini - all'intrno di un mondo spaccato in due, anche lo sport rappresentava la cartina di tornasole per verificare quale fra i due sistemi, quello capitalista democratico liberale o quello comunista, fosse il migliore Ecco che, soprattutto in campo Olimpico, per far prevalere il proprio sistema sociale, il doping diventava uno strumento accessorio. Infine, dopo la caduta del muro di Berlino, il doping è diventatato un fenomeno legato alle teorie economiche liberiste, alla globalizzazione, perché è diventato alla portata di tutti".

Ascolta l'intervento di Sergio Giuntini nell'edizione di venerdì 18 novembre del Giornale Radio Sociale

In un simile contesto la stessa Italia ha fatto la sua parte. I casi del dottor Daniele Faraggiana, del professor Francesco Conconi di Michele Ferrari bastano e avanzano. In piccolo o in grande, a seconda dei punti di vista, anche noi abbiamo contribuito a scrivere questa storia così poco lodevole. Il libro ne ripercorre con cura la lunga traiettoria - soffermandosi in particolare su atletica leggera ciclismo e calcio - da Dorando Pietri, il primo grande caso di doping all’italiana, fino al complotto internazionale ordito contro Alex Schwazer e Sandro Donati. Una storia con cui fare i conti senza ipocrisie e falsi moralismi e senza dimenticare chi si è battuto per limitarlo: tra questi l’Uisp, una delle prime organizzazioni sportive italiane ad occuparsene seriamente, ospitando un interessante dibattito sulle pagine del suo organo, “Il Discobolo”, tra il 1964 e il 1965. 

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